CONFLITTO NEL CAUCASO

Ancora una volta Nicolas Sarkozy lascia Mosca facendo finta di aver strappato al suo interlocutore russo grandi concessioni: quando invece è evidente che è stato proprio il presidente di turno della Ue – insieme al presidente della Commissione Manuel Barroso e al capo della diplomazia Javier Solana – ad avallare col proprio timbro tutte le principali richieste del leader del Cremlino. Con ordine. Sarkozy vanta che «la Russia si è impegnata a ritirare le proprie truppe dalla Georgia, salvo naturalmente l’Abkhazia e la Sud-Ossezia , entro un mese, e comunque entro dieci giorni dal dispiegamento degli osservatori internazionali nella fascia di territorio a ridosso di Abkhazia e Sud-Ossezia». Ora, a prescindere dal fatto che il ritiro avrebbe dovuto avvenire già da tre settimane e ora viene procrastinato di un altro mese, viene in evidenza l’accoglimento di una delle più importanti richieste russe: cioè che degli osservatori internazionali (dell’Osce e della Ue, che manderà 200 uomini) sotto mandato Onu si schiereranno non più nelle due regioni secessioniste, come previsto dagli accordi del ’94, ma nella Georgia «propria»; e che solo allora le forze russe si ritireranno. Con ciò riconoscendo implicitamente che il pericolo di un nuovo conflitto viene da Tbilisi – tanto che ci sarà un impegno scritto del presidente georgiano, garantito dalla Ue, a non ricorrere alla forza verso le due regioni separatiste. Per controbilanciare il cattivo effetto del nuovo mese di proroga ottenuto dalle truppe russe, Sarkozy sbandiera che «già la prossima settimana verranno smontati i check-point russi sulla strada fra il porto di Poti e la città di Senaki». Forte di tanta generosità da parte di Mosca, il presidente di turno della Ue si lancia a suggerire quel che non ha potuto imporre direttamente ai recalcitranti membri «orientali» della Ue nel summit del 2 settembre: «Non c’è motivo per rinviare ulteriormente la ripresa del negoziato Ue-Russia» per il nuovo trattato di cooperazione, «sempre che Mosca metta in essere la sua promessa». In sostanza: l’unica misura anti-russa decisa dal summit europeo di una settimana fa viene sbrigativamente cestinata in cambio della promessa di togliere cinque check-point su una strada georgiana. E non basta. Il presidente russo Dmitrij Medvedev ha rispolverato davanti a Sarkozy il testo dell’accordo di cessate-il-fuoco da entrambi firmato il mese scorso, che all’ultimo punto parlava della necessità di una discussione internazionale sul futuro status di Abkhazia e Sud-Ossezia. La Georgia, spalleggiata da Washington e da una parte degli europei, si è opposta ferocemente a questo sesto punto (infatti nel testo firmato dal presidente georgiano Mikheil Saakashvili è stato cancellato) perché implicitamente esso mette in causa l’integrità territoriale georgiana – peraltro ormai ridotta ad articolo di fede senza nessi con la realtà. Sarkozy ha di nuovo abbozzato: la conferenza internazionale si farà, a metà ottobre, e partirà ovviamente dalla nuova situazione: cioè il riconoscimento da parte russa dell’indipendenza delle due regioni, «decisione definitiva e irrevocabile», come ha detto con durezza Medvedev ieri, senza che il presidente francese andasse oltre l’affermazione che su tutta la vicenda separatista «c’è da discutere». Con ciò, è chiaro che Tbilisi può dire definitivamente addio alle due regioni. D’altra parte, a Tbilisi sembra avvicinarsi anche l’ora della resa dei conti interna. Ieri un centinaio di intellettuali hanno reso pubblica una lettera aperta in cui chiedono le dimissioni di Saakashvili, reo di aver portato il paese al disastro, e la nascita di un nuovo governo che non si leghi né a Mosca né a Washington; la stessa posizione, più o meno, è stata adottata da diversi partiti – quasi tutti hanno rifiutato l’offerta di Saakashvili di entrare in un organismo di unità nazionale che abbia il controllo sulla gestione degli aiuti stranieri. E anche quella che fino a poco fa era la «Numero 2» georgiana, l’ex speaker del parlamento ed ex alleata di ferro del presidente, Nino Burjanadze, ha affermato di «vedere male» le prospettive politiche di Saakashvili. A rendere infine ancor più gravi le prospettive future della Georgia arrivano le notizie di un ormai quasi certo tramonto dei progetti di costruire nuove pipelines attraverso il paese per portare in occidente gas e petrolio del Caspio. Un colpo duro l’ha sferrato l’inglese Bp, che ha sospeso la propria partecipazione al progetto dell’oleodotto Baku-Supsa; uno ancor peggiore è venuto dal presidente dell’Azerbaigian Ilham Aliyev, che ha detto un secco «no» alle richieste del vicepresidente Usa Dick Cheney – recatosi appositamente a Baku nei giorni scorsi – di sostenere il progetto «Nabucco» per una pipeline che escluda la Russia. Secondo alcune fonti, Cheney si sarebbe talmente infuriato per il rifiuto di Aliyev (motivato con i buoni rapporti che Baku vuol mantenere con Mosca) da andarsene senza partecipare al ricevimento ufficiale in suo onore.