Si infiamma la polemica sulle pensioni, e nel dibattito entrano anche gli industriali. Il presidente della Confindustria Luca Cordero di Montezemolo sottolinea che «la crescita resta l’obiettivo numero uno», mettendo implicitamente in secondo piano la sostenibilità sociale delle riforme che si discuteranno ai tavoli. Entra più nello specifico Maurizio Beretta, direttore generale dell’associazione industriali, che lancia un messaggio preciso al governo sulla possibile abolizione dello scalone e sulla revisione dei coefficienti di calcolo dei futuri assegni pensionistici: «Lo scalone e i coefficienti di trasformazione sono leggi in vigore. Per modificarle servono interventi migliorativi in termini generali. Con il vincolo della finanza pubblica». Insomma, se proprio il governo vuole agire su quei due punti dovrà trovare altre voci da cui trarre le risorse, ingenti. E’ vero d’altra parte che lo scalone è legge vigente, varata dal governo Berlusconi e che entrerà in azione dal gennaio 2008, mentre per i coefficienti – come spiegava efficacemente Morena Piccinini della Cgil in un’intervista al Corriere della sera – «la legge Dini prevede l’obbligo di verifica, non di adeguamento».
«La revisione dei coefficenti – spiega la segretaria confederale Cgil – produrrebbe l’insostenibilità sociale del sistema previdenziale. Le pensioni diventerebbero ancora più inadeguate e scenderebbero tutte al di sotto del 50% dell’ultima retribuzione creando nuova povertà». L’intervento sui coefficienti, secondo Piccinini «provocherebbe un taglio del 5-6-7% sul livello delle pensioni già erogate, che pure sono basse. Le nuove saranno molto più basse, ai limiti della sostenibilità sociale».
Come dire: chi parla di «necessità di riformare le pensioni per rendere più eque quelle dei giovani», intende dimagrire gli assegni pensionistici di un ulteriore 7% proprio ai futuri pensionati, quelli che oggi sono «i giovani». E già senza la riforma dei coefficienti, a bocce ferme, l’attuale lavoratore che andrà in pensione tra 35 anni prenderà meno del 50% dell’ultima retribuzione. E’ questa l’enorme fregatura che ci sta proponendo il governo dell’Unione (o almeno la sua parte cosiddetta «riformista», Ds e Margherita) e occorre stare con gli occhi aperti. E i precari? Stanno ancora più inguaiati: non avranno neppure il 30% dell’ultimo salario, e se si incrocia questa emergenza con le proposte dei «riformisti» sul lavoro (no alla cancellazione della legge 30, mantenimento dei contratti cocoprò), la fregatura è doppia.
Il ministro del lavoro Cesare Damiano si è limitato a dire ieri che «sarà Romano Prodi a indicare le priorità al tavolo: quello del 22 sarà generale, si scenderà dopo nei singoli temi». Tiziano Treu (Margherita), interrogato sui coefficienti, risponde semplicemente che «se ne discuterà al tavolo».
Un «no» deciso alla «proposta Battafarano» (era stato proprio il segretario tecnico del ministro Damiano a lanciare due giorni fa la revisione dei coefficienti) è venuta anche ieri dalla sinistra dell’Unione. Stefano Zuccherini (Prc) giudica l’ipotesi «inaccettabile» e annuncia che sarà «in piazza con i lavoratori», qualora organizzassero uno sciopero. Anche Dino Tibaldi (Verdi-Pdci) invoca la mobilitazione di piazza. Gianni Pagliarini (Pdci) sottolinea che la «bussola deve essere il programma dell’Unione e il dodecalogo Prodi: il punto 8 impone di privilegiare pensioni basse e giovani».
Raffaele Bonanni (Cisl) ha «rimproverato» Battafarano: «Non ha fatto un buon servizio, il ministero ha bruciato le sue proposte».