La fedeltà al modello ’93 è solo apparente: l’impresa chiede mano libera e un «limite» agli scioperi
Altro che manutenzione degli accordi del ‘93. Il modello contrattuale proposto da Confindustria più che «aggiornare» ribalta quel protocollo e in nome del recupero della competitività chiede che l’impresa abbia mano libera nell’organizzazione del lavoro,
negli orari, nelle tipologie di contratti al momento dell’assunzione. Tutto deve essere flessibile. Restano i due livelli ma il contratto nazionale ne esce depotenziato e si arriva a ipotizzare una «stretta» sugli scioperi che devono costituire l’«estrema ratio» cui ricorrere con «nuove regole per la proclamazione e l’effettuazione». Insomma le moderne relazioni industriali devono essere «più collaborative e meno conflittuali». E a tutto questo secondo gli industriali, ci si deve arrivare attraverso la contrattazione collettiva.
Il documento è stato approvato all’unanimità dalla giunta di Confindustria e propone un «patto costituzionale» da ricercare «con lo spirito della concertazione». Vengono confermati i due livelli contrattuali. La parte economica ha l’obiettivo di ridurre quanto più il salario fisso e di aumentare l’incidenza di quello variabile. Così il contratto nazionale definisce «con periodicità diversa dall’attuale la crescita dei minimi tabellari» recuperando solo l’inflazione programmata. Il secondo livello determinerà la «variabilità dei premi» che devono essere collegati all’efficienza, alla redditività, e alla produttività dell’impresa. Aumenta il salario variabile e su questo Confindustria chiede un fisco più leggero per ridurre il cuneo tra salario lordo e netto: tra l’altro, si propone lo sgravio del 50% degli oneri sociali «senza penalizzare le pensioni dei lavoratori», si legge. Non viene però specificato come la penalizzazione si possa evitare.
L’organizzazione del lavoro deve essere flessibile. La contrattazione deve cioè assicurare alle imprese la possibilità di poter contare su una maggiore quantità di ore di lavoro attraverso una migliore distribuzione dei «nastri orari» e «adeguando la durata settimanale alle esigenze produttive». La base è la recente direttiva europea sull’orario di lavoro. Nuove regole, ma anche sanzioni se non vengono rispettate. Vanno ampliate «le clausole di tregua sindacale» durante la quale ogni azione a sostengo delle piattaforme va vista come «danno ingiusto». Infine un cenno alla necessità regolare la rappresentanza sul lavoro, ma non si dice come.
«Chiederò un incontro ai leader sindacali e al governo per illustrare il documento», ha annunciato il presidente Luca di Montezemolo, mentre il vice Alberto Bombassei ha assicurato che con questa proposta «non si vogliono bloccare i rinnovi in corso nè influenzarli». Parole che non rassicurano la Cgil, «la prima cosa utile che dovrebbe fare Confindustria – è stato il commento a caldo di Carla Cantone – è rinnovare i contratti aperti, a partire dai metalmeccanici». Quanto al merito della proposta la Cgil intende approfondirli, ma ad una prima lettura «mi sembra complicato – continua – che possano portare ad un’intesa». Critica, anche se con toni diversi, la valutazione della Uil: «Gli aspetti di conservazione prevalgono sulla capacità di immaginare un moderno sistema di relazioni», ha detto Paolo Pirani. «Troppo prudente e conservatore», è il giudizio di Giorgio Santini per la Cisl.