Le imprese la chiamano «flessibilità in uscita». Si legge: messa in discussione dell’articolo 18. A tre giorni dall’apertura del tavolo con i sindacati – dopodomani, su pensioni, mercato del lavoro, pubblico impiego – la Confindustria entra a gamba tesa sul confronto, e con il vicepresidente Alberto Bombassei torna all’attacco dell’articolo 18. Non paghi, evidentemente, dell’aspra battaglia del 2002, forse spinti dalla debolezza del governo e dalla forza delle ipotesi «riformiste» (presenti a destra e sinistra), mentre la sinistra «radicale» è più che abbacchiata, gli industriali ci riprovano. Bombassei, intervistato dal Corriere economia, spiega che «nella maggior parte dei paesi europei è oggi possibile licenziare con la sola tutela risarcitoria», e che dunque le imprese chiedono che «accanto agli argomenti del tavolo si parli anche di modernizzare il diritto del lavoro, partendo dai contenuti del Libro verde della Commissione Ue». Intervista uscita proprio nella mattina (ieri) in cui i tre segretari di Cgil, Cisl e Uil incontravano il premier Prodi e i ministri Padoa Schioppa e Damiano, in vista dei tavoli.
E ieri, tra l’altro, era anche il quinto anniversario dell’orrendo assassinio del giuslavorista Marco Biagi, e dunque molte forze politiche, commemorandolo, hanno parlato di questi temi: dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, secondo cui «bisogna approfondire le analisi di Biagi», fino all’ala «riformista» dell’Unione, che ha annunciato «mini-modifiche» alla legge 30: «Cancelleremo solo le tipologie non utilizzate dalle aziende», ha spiegato il diessino Vincenzo Visco, mentre per Tiziano Treu (Margherita), la 30 «va completata con gli ammortizzatori sociali».
Ma torniamo a Bombassei: il confindustriale spiega che «a livello europeo il lavoro subordinato a tempo indeterminato ha tanti e tali vincoli che inevitabilmente prevalgono le forme più flessibili». Agire dunque sull’«uscita flessibile» è per le imprese proprio un modo «per combattere la precarietà». Oltretutto, a fine intervista, Bombassei parla delle chiusure sempre più diffuse di aziende in Occidente, trasferite nei paesi «low cost», a Est: lasciando intendere che gli imprenditori sono sempre più intenzionati a delocalizzare la produzione se le tutele in Italia non diminuiranno.
Le posizioni di Bombassei sono state bollate come «inaccettabili» sia dalla Cgil (intesa come confederazione), che dall’ala sinistra del sindacato, rappresentata da Giorgio Cremaschi, segretario nazionale Fiom e leader della Rete 28 aprile. L’opinione del segretario confederale Fulvio Fammoni, che sarà presente al tavolo sul welfare, è che «la Cgil non è disposta a discutere sull’articolo 18: la trattativa si metterebbe su un binario morto» (le posizioni, per esteso, nell’intervista riportata qui sotto). «Confindustria parla addirittura di attacco all’articolo 18, tornando a posizioni precedenti all’attuale presidenza – dice Cremaschi – C’è l’intenzione di intervenire sui contratti, sugli orari di lavoro, su tutti i diritti dei lavoratori utilizzando quel “Libro verde” della Ue che propone la totale disarticolazione dei diritti del lavoro. E’ chiaro che in questi termini il tavolo sulla produttività è inagibile: non è possibile un negoziato, ma solo il conflitto. Chiediamo a Cgil, Cisl e Uil – è la conclusione – di affermare l’assoluta indisponibilità a discutere su queste basi».
Quanto alla trattativa, senza entrare nel merito della proposta di Confindustria, il segretario generale Cgil Guglielmo Epifani, uscendo dall’incontro con Romano Prodi ha spiegato che i sindacati vogliono «una trattativa vera, che affronti il merito» e chiedono al governo «una voce unica». Le priorità per il leader Cgil sono «sviluppo, welfare e lavoro, sostegno ai redditi bassi e innalzamento delle pensioni basse, il superamento dello scalone della legge Maroni». Si chiede chiarezza sulle risorse, sapere a quanto ammonta il surplus di entrate fiscali – il cosiddetto «tesoretto» – che potrà essere impiegato per i tavoli. Il ministro del lavoro Cesare Damiano ha detto in serata che «sarà Prodi a dare il segno di una poisizione unica del governo».