Conferenza nazionale di organizzazione PRC 2007 – Intervento di Silvia De Bianchi

Cari compagni e care compagne,
vorrei partire da una considerazione sui Gc prima di allargare l’analisi al partito in generale. Penso che le cifre che ci vengono fornite da V. Rieser, in cui si dice che i giovani sotto i 30 anni rappresentano solo il 17,5% del Prc, siano un dato emblematico e cifra di un problema non solo da un punto di vista numerico ma anche sostanziale. Penso che la presenza dei GC, disomogenea su territorio nazionale, presente a macchia di leopardo, sia indice del tanto lavoro che ancora c’è da fare e del fatto che dobbiamo puntare su un maggiore radicamento della nostra organizzazione giovanile su tutto il territorio nazionale, a partire proprio dalla nostra internità ai conflitti che si sviluppano nei territori.
Penso anche però, proprio perché non si tratta di una questione di cifre, che ci siano delle considerazioni politiche a monte da svolgere. Infatti è chiaro che se dobbiamo andare a promuovere un intervento incisivo su territorio nazionale come GC, dobbiamo anche avere chiari in mente quelli che sono gli obiettivi strategici fondamentali dell’organizzazione giovanile.

Il Rafforzamento della nostra struttura è fondamentale per la strategia complessiva del Prc. Infatti, i Gc impegnati quotidianamente nelle vertenze territoriali e nazionali rappresentano una risorsa fondamentale che il partito tutto deve saper valorizzare, salvaguardandone al tempo stesso, anche l’autonomia. Questa organizzazione giovanile che vive e si rafforza su territorio a partire dal conflitto sociale deve anche fare i conti con quella che è stata la linea politica assunta dalla dirigenza di questo partito anche in passato.
Per dare un contributo alla discussione come “Giovani e Comunisti” non riteniamo che la forma partito e l’idea di un’organizzazione giovanile comunista radicata e con basi di massa sia superata o debba essere superata come patrimonio di un secolo che non c’è più e da chiudere in un armadio. Noi riteniamo che le modificazioni profonde del sistema produttivo (la frammentazione dei luoghi di produzione, la parcellizzazione delle forze produttive) abbiano sì inciso sulle forme dell’organizzazione politica, ma non al punto da implicare un cambiamento sostanziale di paradigma e l’abbandono dell’idea di partito, di quello che comunque è un patrimonio, una risorsa da spendere e da saper spendere in prospettiva, in una prospettiva complessiva di tutto il Prc. In questo senso non bisogna parlare in maniera vuota dell’importanza dei Gc, ma collocarli in un quadro più ampio.

Il nostro partito, compagni e compagne, è in difficoltà, non possiamo nascondercelo, ma questo non significa che non dobbiamo o non possiamo lottare, anzi è venuto il momento per un confronto serio su una prospettiva che dia un futuro al nostro partito e gli dia un futuro garantito, forte.
Quello che penso è che abbiamo difficoltà e contraddizioni al nostro interno a causa della nostra internità al governo, una presenza peraltro che a monte è il frutto di una scelta politica che non ha visto una proposta programmatica autonoma, dei punti irrinunciabili, che il Prc avrebbe dovuto far valere sulla coalizione di centro- sinistra.
Chiaramente si registra la necessità di uscire da un circolo vizioso di una fase politica, di cui, però, dobbiamo essere consapevoli. Abbiamo una responsabilità di fronte alle italiane e agli italiani, ai lavoratori e alle lavoratrici, ai compagni e alle compagne che ci ha votato e che hanno avuto fiducia in noi, in base alle attività che il Prc ha portato avanti in questi anni, mostrando loro solidarietà, portando avanti le loro lotte, stando all’interno del conflitto sociale e sostenendoli nel far valere e salvaguardare i propri diritti.
E quindi non dobbiamo permettere che torni la destra, che torni Berlusconi o chi per lui, un centro moderato, che si nasconde dietro a questa parola “moderato” e poi porta avanti politiche di natura anche repressiva. E questo si può vedere in una realtà come Roma, dove si sono chiuse le università alle iniziative pubbliche, o anche sul piano nazionale abbiamo assistito al ritorno delle BR a ridosso di Vicenza. Queste sono cose che non si devono dimenticare e devono invece essere tenute ben presenti. E non si può permettere dunque con leggerezza che questo governo cada, ma non si può neanche permettere che il Prc perda la sua autonomia e perda la sua capacità di incisività.

E vengo al punto. Qualcuno a destra avrebbe voluto tapparci la bocca, e invece noi dobbiamo continuare ad agire e ad incidere strutturalmente ed in modo determinato. E vengo a quella concretezza a cui prima mi richiamavo, necessaria ai Gc, ma penso a tutti quanti noi compagni e compagne del Prc.
Ci sono dei punti nodali, strutturali su cui dobbiamo incidere come partito comunista.
Bisogna bloccare o ancora cancellare “leggi vergogna”, provvedimenti che sono espressione dell’ingiustizia sociale.
Bisogna continuare la battaglia contro la base di Vicenza, è un punto nodale questo. il Prc deve continuare ad opporsi con la consapevolezza che quella base sarà la più grande base militare d’Europa, da cui partiranno i cacciabombardieri per tenere aperto e continuare a dilaniare il fronte mediorientale, in Afghanistan, in Iraq.
Questi punti, quello della base di Vicenza e quello della guerra sono due punti strategici da legare e tenere insieme, poiché inscindibilmente connessi.
Cosa possiamo fare come compagni e compagne del Prc, e anche come GC? Possiamo lanciare una campagna su territorio nazionale, cercando di allargare sulla base di una piattaforma condivisa la mobilitazione contro la guerra e per il ritiro delle truppe dall’Afghanistan senza per questo concedere il paese alle destre.
Penso inoltre che questo partito non debba rinunciare ad un punto centrale, che è stato oscurato in passato, ma che oggi con la legge Biagi ci mette definitivamente davanti agli occhi che cosa sia lo sfruttamento capitalista. Questo punto centrale riguarda il conflitto capitale-lavoro. Esso è il conflitto per eccellenza, è la contraddizione su cui noi dobbiamo essere capaci di incidere e queste non sono vuote parole. Come incidiamo su questo? Per esempio, come ci rapportiamo col sindacato? A partire dai dati che ci ha fornito ancora V. Rieser risulta, infatti, che la maggior parte dei compagni e delle compagne del Prc è iscritta alla CGIL. Come facciamo a non far rimanere isolata la Fiom, costituendo un fronte comune per andare contro all’ulteriore irrigidimento posizioni CGIL, a seguito della formazione del Partito Democratico?
Vi è inoltre l’assoluta necessità di spingere una nuova Legge sulla rappresentanza sindacale e di continuare a lavorare sul terreno delle pensioni, su cui fin ora il partito si è mosso molto bene e spero che continui così.

Questo partito, oggi, si avvia alla conclusione della conferenza nazionale di organizzazione e già voi, come me del resto, avete contribuito dalle conferenze di federazione a questo processo.
C’è un dato eclatante su tutti: questo partito è vivo, non è morto come molti fuori dal partito e alcuni dentro il partito pensano o vorrebbero far pensare. Questo partito ha ancora molto da dire e lo deve fare a partire dalla valorizzazione dei propri circoli territoriali e penso alla formula, che ha usato il compagno segretario Giordano alla conferenza di organizzazione di Roma, della necessità di “ripartire da sé”. Bene! Ripartiamo da noi, ripartiamo da Rifondazione Comunista, ripartiamo dalla sua ricchezza che risiede anche e soprattutto nei suoi circoli territoriali. Facciamo una campagna che sia in grado di garantire una copertura economica ai circoli, affinché essi possano proliferare sul territorio e abbiano più mezzi per incidere positivamente rispetto alle carenze che investono anche i GC nella loro presenza a macchia di leopardo. Penso infine che il partito debba investire sulla formazione, ma soprattutto sulla battaglia dell’antifascismo. Gli episodi di violenza contro i compagni e le compagne del partito e non solo, sia a Roma che a Milano, stanno aumentando ed è un dato preoccupante e su questo il nostro partito deve far leva sulla società civile e garantire l’organizzazione di un numero di forze civili, istituzionali e di movimento per dare una risposta a questo attacco.

In questa fase così difficile sembra impossibile realizzare un’altra società, cioè sembra impossibile abbattere il capitalismo e allora voglio dirvi quello che forse in questa occasione direbbe Ernesto Che Guevara: “Siamo realisti, esigiamo l’impossibile, se per noi l’impossibile si chiama comunismo”.

Silvia De Bianchi
Carrara, 30 marzo 2007