CONFERENZA INTERNAZIONALE DI SOLIDARIETA’ CON IL POPOLO IRACHENO IN LOTTA

Lo scorso 15 maggio, a Parigi, si è svolta la prima conferenza di solidarietà con il popolo iracheno in lotta. Circa un migliaio di organizzazioni militanti hanno dato la loro adesione o hanno assistito a questo incontro. La lista delle adesioni da tutto il mondo – provenienti da oltre una quarantina di paesi – è impressionante. A fianco di responsabili politici come l’ex presidente algerino Ahmed Ben Bella o l’ex primo ministro portoghese Vasco Gonçalves, figurano prestigiosi intellettuali progressisti, come il franco-egiziano Samir Amin, lo statunitense James Petras o la cubana Isabel Monal. Anche alti responsabili di movimenti sociali o di partiti politici di tutti i continenti hanno firmato l’appello di appoggio a questa conferenza. Numerosissime le firme pervenute dall’America Latina, specialmente dal Brasile: dal Partito Comunista del Brasile (PCdoB) al coordinamento nazionale del Movimento dei Lavoratori “Sem Terra” (MST).

Il comitato organizzatore, che comprendeva in particolare l’iracheno Subhi Toma e i francesi Georges Labica – che ha presieduto la discussione -, Jean-Pierre Page e Bruno Drweski, aveva invitato ed è riuscito a far venire in Francia numerosi compagni iracheni della resistenza interna. Le loro testimonianze hanno fatto riferimento soprattutto ai combattimenti che hanno avuto luogo in questi ultimi giorni a Fallujah, cercando di spazzare via la cortina fumogena della disinformazione diffusa dalle truppe statunitensi, e hanno provocato profonda emozione tra il pubblico presente. Tutti adesso comprendiamo che è un popolo intero a lottare contro l’aggressore imperialista, e non solo qualche elemento isolato oppure proveniente dalla vecchia guardia presidenziale o dal partito Baath. Tutti sappiamo che quando un popolo intero si getta in questo modo nella lotta, è invincibile. Le sue sofferenze potranno anche essere immense e protrarsi a lungo, ma la sua vittoria è solo questione di tempo. Gli Stati Uniti saranno sconfitti in Iraq, come lo sono stati nel passato in Vietnam.

I compagni presenti hanno dichiarato che a Fallujah, ad esempio, migliaia di persone venute dalle campagne hanno tentato di entrare in città, per portare il loro sostegno ai combattenti iracheni, che sono arrivate donne e vecchi trasportando munizioni e rischiando la vita, che i medici si sono visti obbligati a rompere l’accerchiamento dei loro ospedali per soccorrere i feriti, ridotti in condizioni orribili. La resistenza irachena è riuscita ugualmente ad unire, di fronte al nemico imperialista comune, componenti eterogenee del popolo – che qualcuno sosteneva si odiassero a tal punto, che solo la presenza dell’occupante sembrava impedire che si massacrassero l’un l’altre -: sunniti, sciiti ed anche cristiani…Si sono visti anche operai tipografi comunisti, venuti da una lontana regione del paese, difendere le moschee esposte ai colpi dei soldati della coalizione imperialista. Gli Stati Uniti conducono la guerra per il petrolio, gli iracheni quella per la libertà. “Ci hanno tolto tutto, non abbiamo più nulla da perdere”.

I compagni hanno anche affermato che i maltrattamenti inflitti ai prigionieri iracheni non rappresentano assolutamente fatti isolati, perpetrati da individui che disobbediscono agli ordini dei loro superiori e che abusano dei poteri ricevuti. Le torture vengono organizzate dall’alto. Le violenze perpetrate contro civili iracheni (in particolare contro donne e bambini) sono sistematiche. L’obiettivo degli Stati Uniti è quello di annientare completamente un popolo. Più di 130.000 iracheni sarebbero attualmente incarcerati dalle truppe di occupazione, in differenti punti del paese. Tra essi, un migliaio di donne che non sono state accusate di alcun crimine, se non di quello che non si è riusciti a catturare i loro mariti. Più di 600 bambini di meno di 13 anni sono ugualmente trattenuti come ostaggi dall’esercito statunitense, per esercitare pressione sui padri che stanno nella resistenza. Si sono registrate numerose violenze anche sui bambini. Non c’è dubbio che il numero degli iracheni uccisi sia di gran lunga più alto dei 50.000 dichiarati dai media occidentali.

Sono giunti da ogni parte messaggi di appoggio al popolo iracheno. A nome di un popolo, la cui cultura della resistenza provoca l’ammirazione di tutto il mondo, ha parlato l’ambasciatore di Cuba in Iraq, Ernesto Gomez Abascar, che è rimasto a Baghdad fino al 18 aprile, molto tempo dopo la partenza delle altre rappresentanze diplomatiche. Il suo discorso è stato salutato da nutriti applausi e da grida di “Viva la revolucion cubana, viva!”. Anche uno dei massimi responsabili della Federazione dei Sindacati di Siria ha preso la parola per richiedere il ritiro delle truppe di occupazione, lo smantellamento di tutte le armi di distruzione di massa in Medio Oriente e la pace nella regione. Compagni spagnoli, portoghesi, italiani, britannici, ecc., hanno espresso il loro appoggio al popolo iracheno in lotta per la sua liberazione. Perché è proprio in Iraq che si trova oggi il primo fronte della lotta antimperialista. “Noi combattiamo anche per voi…Abbiamo bisogno della vostra solidarietà!”.