Conferenza di organizzazione PRC 2007 – Intervento di Claudio Grassi

Care compagne e cari compagni, ritengo positivo il modo con cui abbiamo svolto questa Conferenza di organizzazione. Vi è stata nei circoli, nelle federazioni e anche in questa sede una interlocuzione vera, trasversale. Pur non essendo scomparse le differenze, si è discusso tra di noi senza rigide contrapposizioni, si sono aperti varchi, spiragli che lasciano intravedere una discussione più libera e proficua. Sono processi non semplici da attivare dopo anni di rigide contrapposizioni ma ritengo sia questa la strada da perseguire con grande determinazione se vogliamo costruire un grande partito plurale, unitario, capace di incidere nella realtà. Penso che dobbiamo mettere a frutto questo lavoro e dargli continuità anche per il futuro. E’ una precondizione necessaria per mettere in pratica quelle riforme organizzative di cui il nostro Partito ha bisogno. Per ragioni di tempo accenno solo per punti alcuni dei cambiamenti che io reputo necessari: – ristrutturazione degli organismi dirigenti nazionali; – corretto rapporto tra Partito e istituzioni; – maggiore presenza delle compagne; – radicamento sui territori e nei luoghi di lavoro; – impegno per Liberazione.
A proposito del governo, compagni, forse non avevamo tutti i torti al congresso nel dire che un chiarimento più preciso su alcuni punti decisivi di politica estera ed economica, che sapevamo ci saremmo trovati di fronte, sarebbe stato più opportuno farlo prima delle elezioni e non dopo. Ma non voglio dilungarmi sul passato: pur avendo avuto al Congresso un dissenso forte su questo, oggi dobbiamo guardare avanti perché abbiamo tutti lo stesso problema, e cioè come ottenere dei risultati in questo contesto, poiché anche noi riteniamo che sarebbe un grave errore politico far cadere questo governo. Tra l’altro mi chiedo se, chi avanza questa proposta di rompere con il governo, valuti concretamente quello che potrebbe determinare se essa si realizzasse. Gli scenari che si aprirebbero potrebbero essere due: un nuovo governo appoggiato da una parte del centrodestra senza Rifondazione: ed è facile immaginare che provvedimenti prenderebbe. Mi basta un esempio: il disegno di Legge Lanzillotta non sarebbe di certo bloccato come è adesso, da mesi, grazie a Rifondazione Comunista al Senato, ma sarebbe già stato approvato con tutte le privatizzazioni che contiene, acqua compresa. O peggio se la nostra azione determinasse la caduta del governo ed elezioni anticipate: ve lo immaginate in che condizione faremmo la campagna elettorale? Con quale connessione, consenso e simpatia con il nostro popolo?
Per queste semplici riflessioni ritengo sbagliata oggi la proposta di una nostra collocazione diversa rispetto al governo. A questo punto vorrei fare una riflessione sulla vicenda di Turigliatto. Io credo che il compagno Turigliatto con quel voto abbia commesso un grave errore politico: in primo luogo perché un’imboscata di destra è diventata, nell’immaginario collettivo, l’ennesima prova dell’inaffidabilità di Rifondazione. Ed invece di andare noi all’attacco, e potevamo farlo se non vi fosse stato quel voto, ci siamo ritrovati con i dodici punti che sono stati, indubbiamente, un arretramento rispetto al programma.
Inoltre, compagni, un conto è il dissenso e un conto è l’autonomia e la separatezza. Quando il Collegio di Garanzia, che non è, come è stato volgarmente scritto in queste settimane, un luogo dove persone sadiche si divertono a cacciare i compagni del Partito, ma uno strumento essenziale di garanzia per tutti noi e di tutela della vita democratica del Partito. Dicevo, quando il Collegio di Garanzia prima di prendere il provvedimento, ha chiesto al compagno Turigliatto cosa intendeva fare nelle future votazioni, il compagno Turigliatto ha risposto che avrebbe deciso di volta in volta sulla base delle sue valutazioni, a prescindere dalle decisioni del gruppo e del Partito. Allora compagni forse occorre riflettere sul fatto che non è il Partito che allontana Turigliatto, ma Turigliatto che ha scelto di autonomizzarsi dal Partito.
Detto questo, è anche vero che noi non dobbiamo avere il timore di dire che il bilancio del governo sino ad ora è insoddisfacente, e che se una crisi di governo prodotta da noi sarebbe un grave errore e spianerebbe il ritorno delle destre, è altrettanto vero che continuare così per cinque anni rischia di consegnare il Paese alle destre e noi saremmo criticati per il fatto di non essere stati capaci di ottenere i cambiamenti promessi e necessari.
E’ qui che propongo una riflessione sulla nostra azione politica: anche una critica su come abbiamo gestito alcuni passaggi. Il limite è che abbiamo teso ad edulcorare le difficoltà, a dire che certe cose andavano bene anche se non era vero. Prendiamo ad esempio la legge finanziaria: abbiamo sbagliato a dare un giudizio positivo, fino al punto di produrre quel manifesto con scritto “Anche i ricchi piangano”, salvo poi trovarci con i dati, ieri l’altro, dell’Eurispes che ci dicono che i nostri salari sono i più bassi d’Europa. Abbiamo sbagliato noi e la Cgil. Una finanziaria che aumenta le spese militari e introduce i tickets crea problemi non ai ricchi, ma a Rifondazione Comunista e ai sindacati.
Gli stessi gravi problemi che abbiamo avuto con la finanziaria li abbiamo avuti sull’Afghanistan e con Vicenza: e su Vicenza, compagni, il nostro Partito deve rilanciare una forte iniziativa contro la base, non dare l’impressione di considerarla ormai una battaglia persa, dobbiamo stare al fianco del movimento che sul territorio è ancora attivo.
Dobbiamo riconoscerlo, compagni, questi passaggi, finanziaria, Vicenza, Afghanistan hanno prodotto un disagio che serpeggia nel nostro elettorato. Noi non dobbiamo avere il timore di manifestarlo, anzi è un elemento che ci può aiutare assieme al sostegno dei movimenti nella società per strappare dei risultati. Nelle prossime settimane si gioca una partita importantissima, dove noi dobbiamo dimostrare di sapere realizzare almeno in parte i nostri obiettivi: parlo di pensioni, della redistribuzione del tesoretto. In questo passaggio si può produrre una svolta che rilancia il nostro ruolo. E qui non possiamo sbagliare. C’è l’abolizione dello scalone, che non può essere sostituito dagli scalini, l’aumento delle pensioni minime, il rinnovo dei contratti e l’abolizione dell’Ici. E non ci dicano che non ci sono i soldi, perché non hanno più nemmeno questa scusa: i soldi ci sono e vanno usati per il risarcimento sociale. Se riusciamo, con la nostra azione, assieme alle altre forze della sinistra di alternativa, e con l’aiuto dei sindacati, ad ottenere questo, la partita diventa interessante. Ed è questo il vero cimento su cui si può costruire la sinistra di alternativa, sui contenuti e non sui contenitori, su un programma condiviso e sulle lotte da fare assieme. E’ positivo che, parallelamente alla costruzione del Partito democratico la sinistra Ds decida di guardare a sinistra e si autonomizzi da questo processo moderato.
E abbiamo fatto bene a proporre un luogo di lavoro comune: da sempre noi siamo per costruire la sinistra di alternativa, per mettere assieme tutte le forze che hanno lottato per l’articolo 18. Siamo quindi d’accordo a realizzare questo progetto. E sarebbe esiziale se questo progetto entusiasmante per tutta la sinistra venisse ucciso, sul nascere, da forzature organizzative e politiciste sulla costruzione di nuovi partiti e questo si anteponesse ai contenuti. Al contrario noi dobbiamo lavorare per un progetto inclusivo e plurale, entro cui poter spendere la forza organizzata di Rifondazione Comunista. Rifondazione Comunista che ci sarà, per l’oggi e per il domani. Non perché qualcuno di noi ha bisogno della coperta di Linus, ma perché, pur con tutti i suoi difetti, Rifondazione è uno strumento utile ai lavoratori, e serve per tenere aperta la prospettiva di superamento del capitalismo. D’altra parte sarebbe paradossale che, alla fine della transizione politica italiana, l’unica cultura politica a non avere cittadinanza fosse quella comunista. Nel paese di Antonio Gramsci e di Enrico Berlinguer ciò non è possibile e, in ogni caso, noi non lo accetteremo.