Conferenza di organizzazione PRC 2007 – Intervento di Bruno Steri

Care compagne e cari compagni
Su questa Conferenza sono precipitati eventi che hanno in qualche misura modificato l’agenda dei nostri lavori. Ciò è stato inevitabile. La Conferenza del mio circolo si è celebrata il giorno successivo alla crisi di governo: è facilmente immaginabile quale sia stato in quel contesto il tema dominante. E’ giusto tenere la nostra discussione ancorata alle questioni specificatamente attinenti all’efficacia organizzativa del partito: è un punto di pulizia metodologica. Ciò non deve comunque significare che siano elusi i problemi generali. Anche perché sappiamo bene che il propellente prioritario di qualsiasi organizzazione politica è la convinzione in ciò che si fa: non c’è dispositivo organizzativo, innovazione alcuna che possa fare a meno di tale risorsa fondamentale. Convinti quindi del fatto che la Conferenza sia altro da un Congresso, parimenti riteniamo non aggirabili le questioni concernenti la linea politica. Tanto più in una fase così difficile come quella che stiamo attraversando. Nelle Conferenze di federazione cui ho avuto modo di partecipare ho registrato tra le compagne e i compagni una più o meno esplicita ma diffusa preoccupazione per tale difficoltà, per la complicata navigazione cui ci costringe questa esperienza di governo.

La nostra riunione ci sta offrendo l’occasione per mettere a punto la rotta. Sappiamo di essere stretti tra due scogli pericolosi: per un verso, non possiamo essere percepiti come coloro che scavano la fossa al governo e aprono la strada ad un ritorno delle destre reazionarie, xenofobe e guerrafondaie; per altro verso, non possiamo concedere a lorsignori di cuocerci a fuoco lento, in una logorante condizione di assenza di risultati tangibili, di concrete risposte alle esigenze della nostra gente. Dobbiamo cambiare spartito, sottrarci ad un gioco che non preveda vittoria alcuna. Questo è il senso della parola d’ordine: è l’ora del risarcimento sociale. Con essa diciamo che le lavoratrici e i lavoratori, i pensionati, le donne e i giovani precari e disoccupati hanno già dato, che le imprese hanno già beneficiato in Finanziaria di considerevoli sostegni, che adesso dobbiamo impiegare le risorse finanziarie derivanti da una gestione più virtuosa dei conti pubblici per aumentare salari e pensioni e per migliorare i servizi essenziali. Quelli che vengono, saranno mesi decisivi. Sarà fondamentale la capacità di spiegare bene le nostre proposte e, attorno ad esse, mobilitare il Paese. Solo così potremo reggere la sfida e sottrarci alle imboscate che i poteri forti continueranno a tendere a Rifondazione Comunista. Poiché è evidente che il nostro partito – la sterilizzazione del suo potere di condizionamento – insieme alla sinistra di alternativa, è la posta in palio di questa fase politica.

Per questo, compagne e compagni, è importante oggi prenderci cura di questo partito. In tal senso, credo che tra i risultati più importanti di questa Conferenza, una delle scommesse politiche che essa ci consegna, vi sia il miglioramento del clima interno: la possibilità di discutere e dividerci in opinioni diverse senza distruggerci. Sono convinto che, se perdesse Rifondazione Comunista, avremmo perso tutti. Sappiamo che quanto più il gruppo dirigente è in grado di fare sintesi, tanto meno stringente e asfissiante è la morsa delle correnti interne. Ma ciò presuppone anche che vi sia la più solare chiarezza riguardo la prospettiva del partito, che su tale materia si esca dalle allusioni e dalle metafore. Ho sentito ieri qualche compagno dire che è più interessato alle cose che ai nomi. In generale, concordo: anche a me interessa la sostanza delle cose, la materialità dei processi. Ma attenzione: vi sono nomi che detengono un possente carico simbolico, che rinviano a interi universi culturali, ad esperienze sedimentate. Voglio ricordare che la stessa Rifondazione Comunista è nata sulla scia di un cambiamento di nome. Vi sono insomma casi in cui il nome, il simbolo fanno sostanza.

Su tale tema vorrei essere inteso bene: non sto proponendo la difesa del fortino. Da tempo sono del tutto convinto che, per essere all’altezza della sfida lanciata dalla costituzione imminente del Partito Democratico, occorra farsi promotori di un’iniziativa che investa tutta la sinistra di alternativa (dall’alto e dal basso), tutti coloro che non si riconoscono in quel progetto moderato e che, al contrario, hanno già percorso un pezzo di strada dietro le insegne del no alla guerra e alle politiche liberiste. Occorre rafforzare tale interlocuzione, provvedere ad un sempre più serrato coordinamento dell’azione istituzionale e politica di queste forze. Ma perché tutto ciò dovrebbe tradursi in una sommaria “riduzione ad uno”? Perché il raggiungimento di quella “massa critica”, che opportunamente è stata evocata come condicio sine qua non per bilanciare la spinta moderata, dovrebbe significare una semplificazione coatta e arbitraria dei partecipanti? Non riesco davvero a capire questa ansia di semplificazione organizzativistica. Se, davanti alla soppressione dei Ds e alla costituzione del Partito Democratico, del tutto legittimamente Mussi dice: No, guardate che noi ci opponiamo alla derubricazione del filone socialista dal novero della sinistra italiana, non capisco perché noi dovremmo viceversa acconsentire alla derubricazione del filone comunista. Un filone che qualcosa ha pur contato anche nella storia del nostro Paese. No, non sono d’accordo: sono comunista e ho intenzione di lavorare ancora per la rifondazione comunista. Come si vede, si tratta di evitare una discussione male impostata. La verità è che non c’è alcuna contraddizione tra il permanere a pieno titolo di una o più forze comuniste e il coordinamento politico e programmatico della sinistra di alternativa. Su tutto questo, comunque, mi pare che il segretario abbia già detto parole chiare. Giudico questo un fatto molto positivo.
Per concludere, torno ai temi specifici di questa Conferenza. E mi riferisco ad alcuni dei dati fornitici in apertura da Rieser. Mi ha colpito sentire che un terzo dei nostri circoli non ha sede. Aggiungo per esperienza diretta che anche molti di quelli che la sede ce l’hanno, giungono molto stentatamente a pagare l’affitto mensile. E’ il problema delle risorse del partito, della loro consistenza e della loro ripartizione: il punto principale è che una quota più consistente di queste risorse deve arrivare ai circoli (senza fermarsi per strada). Per esser breve, voglio illustrare il tema avvalendomi di un aneddoto. A Roma abbiamo una compagna che è presidente del Comitato Politico Federale, che è stata partigiana e che è anche segretaria di circolo. Qualche giorno fa, casualmente, mi diceva di esser fuori di tasca sua, per spese riguardanti il suo circolo, – lei, che è una pensionata – di circa tre mila e cinquecento (sì, compagni, 3500!) euro. Ecco, io penso che noi in questi tre giorni avremmo chiacchierato inutilmente se non uscissimo da qui avendo posto le condizioni e le regole per metter mano a situazioni come questa. Penso che lo faremo.