Conferenza di organizzazione PRC 2007 – Intervento di Alberto Burgio

Marina di Carrara, 31 marzo 2007

Cari compagni, care compagne,

credo sia importante cogliere in tutta la sua portata la sfida che questa Conferenza pone al nostro partito e a ciascuno di noi. Riflettere su se stessi (in modo serio, rigoroso, non nascondendosi i problemi) è un cimento difficile. È, contro le apparenze, il contrario dell’autoreferenzialità: è il confronto con le sfide posta dalla realtà e con i compiti che essa affida.
I problemi più seri che abbiamo di fronte sono stai individuati (nel documento, nelle Conferenze dei circoli e delle federazioni; in diversi interventi in questa Conferenza Nazionale, a cominciare dalla relazione del compagno Ferrara). Non avrebbe senso un ennesimo elenco. Mi limito a segnalare quella che a me pare la priorità: radicamento, rafforzamento delle istanze territoriali: la costruzione di un partito pesante: una scelta nostra costitutiva, la cui bontà appare tanto più evidente considerando cosa succede ora a che nell’89-91 teorizzò il partito leggero. Ciò implica lasciarsi finalmente alle spalle un equivoco che ci ha molto danneggiato: la presunta alternativa partito/movimenti. Credo che occorra, al contrario, più partito per meglio essere in grado di interagire con i movimenti e per fare la nostra parte nei movimenti, nei conflitti, nelle lotte.
Radicamento e attenzione al territorio mi pare costituiscano anche la soluzione di un altro problema: la distanza tra centro (gruppi dirigenti nazionali) e periferia (corpo diffuso del partito): tra vertice e base. Sono problemi non solo nostri, ma in qualche misura di ogni organizzazione, certo di tutti i partiti. E sono problemi non facili da risolvere, ma che secondo me oggi possiamo affrontare con maggiore efficacia che in passato per la nostra maggiore consapevolezza e – credo – anche per la maggiore unità del partito, che è stanco di contrapposizioni laceranti non sempre motivate ed è, per contro, cosciente dell’importanza dell’unità. Unità che non significa indistinzione, bensì capacità di costruire nella molteplicità degli apporti, dei punti di vista, delle prospettive e delle sensibilità una posizione condivisa da tutto il partito e una linea davvero comune. Questo un tempo non lontano si chiama fare sintesi. Credo che sapere fare sintesi per un partito e in primo luogo per un gruppo dirigente sia importante e mi pare che di questo maturi tra di noi, oggi, una preziosa consapevolezza.

Siccome il tempo è poco, vorrei trattare sommariamente due temi che – a dispetto delle apparenze – sono strettamente legati a questa nostra discussione sul partito.
Il primo riguarda la situazione sociale del Paese con la quale dobbiamo fare i conti come partito e come forza politica di maggioranza impegnata nel governo. Situazione sociale significa molte cose, a cominciare da: pensioni, salari , contratti; lotta contro la precarietà e le privatizzazioni, ricostruzione dello Stato sociale. Su ciascuna di queste questioni il governo parla voci diverse e spesso non dice – a fronte di misure che abbiamo condiviso in particolare sul terreno fiscale – non dice cose rassicuranti, né condivisibili. Questo noi dobbiamo dircelo e dobbiamo dirlo al Paese senza remore.
Dobbiamo dire che su molte cose non siamo d’accordo con quanto viene prospettato. E che non asseconderemo né l’addolcimento della legge 30 proposta dal senatore Treu che della legge è il vero ispiratore e anticipatore, né la miseria degli aumenti salariali e di stipendio di cui sentiamo parlare, né la cosiddetta “riforma” delle pensioni con gli “scalini” e la riduzone dei coefficenti. Le pensioni sono un tema essenziale, in primo luogo per una ragione materiale: ci sono cinque milioni di pensionati sotto i 500 euro mensili; e i lavoratori che, quando il sistema contributivo sarà a regime, percepiranno pensioni pari al 30-35% del salario: per questo è inevitabile la previdenza complementare, che non è altro che un gigantesco scippo del salario e del Tfr. Ma le pensioni sono una questione cruciale anche per una ragione per così dire culturale, non meno rilevante: l’attacco alla previdenza è il punto chiave dell’offensiva contro il modello europeo, perché sancisce la negazione stessa della previdenza come sistema di sicurezza sociale: significa innalzare l’ansia a sistema di regolazione e di controllo sociale, un sistema tanto più feroce in quanto puntato contro persone non più in grado di difendersi e di competere sul mercato del lavoro. Per questo dobbiamo prendere posizione su questo problema, che configura una vera e propria sfida di civiltà!
E ancora, dobbiamo dire con forza – come ha fatto ieri il segretario – che è inaccettabile che, dopo avere regalato alle imprese i benefici del taglio al cuneo fiscale ed enormi risorse, un governo di centrosinistra si rimangi la promessa di tassare finalmente le plusvalenze finanziarie con un’aliquota europea, e questo proprio mentre l’Eurispes ci dice che in Italia i salari sono di gran lunga più bassi che in tutto il resto dell’Europa e la Guardia di Finanza conferma che viaggiamo intorno ai 300 miliardi di base imponibile nascosti al fisco ogni anno!
Su questa materia non possiamo essere timidi e il vincolo unitario non può valere a senso unico. Perché su questa materie – a cominciare dalla lotta alla precarietà e dalle pensioni – ci giochiamo non solo la faccia, ma la nostra stessa ragion d’essere, perché poi saremo giudicati per quello che avremmo saputo fare o impedire soprattutto su questo terreno. Ci sono milioni di givani, milioni di lavoratori e di pensionati che contano su di noi. Che vogliono che difendiamo il governo Prodi, ma anche che ci facciamo carico dei loro bisogni e delle loro richieste. E, come tutti noi ben sappiamo, noi non possiamo permetterci di fare l’una cosa senza l’altra.

L’altra questione alla quale vorrei accennare, sia pure fugacemente, riguarda la discussione sulla sinistra, che si è sviluppata in queste settimane sullo sfondo del travaglio dei Ds alle prese con il Congresso che porterà definitivamente a compimento il percorso distruttivo inaugurato dalla Bolognina.
So che su questa partita dei nuovi assetti della sinistra vi sono diverse posizioni, anche tra di noi. Non credo che questa molteplicità di opinioni sia un problema. Non dobbiamo temere la discussione, dobbiamo confrontarci tra noi e con tutte le soggettività che si collocano a sinistra del nascente Partito Democratico. Per parte mia vorrei solo dire che ho molto apprezzato le parole del segretario nella sua intervista uscita su Liberazione domenica scorsa, nella quale il compagno Giordano ha detto con nettezza che l’autonomia culturale, politica e organizzativa di Rifondazione Comunista non è in discussione, come non lo sono né il nostro nome né il nostro simbolo: quella falce e martello che per molti, anche a sinistra, è un retaggio superato del passato, ma che per tanti di noi (e, sono sicuro, per la stragrande maggioranza delle compagne e dei compagni di Rifondazione Comunista) è il simbolo delle lotta di popolo per la giustizia sociale, il riscatto del lavoro, la democrazia vera e la pace, nel rispetto dell’autonomia e dell’indipendenza di tutte le popolazioni del mondo.
A sinistra vivono molte culture politiche. Ci sono socialisti e ambientalisti, si confrontano le sensibilità dei femminismi e del pacifismo, che è anch’esso una galassia di posizioni. Si tratta di identità molteplici e ibride, che si contaminano creativamente tra loro. E ci siamo noi, noi comunisti. Che siamo aperti alle altre culture, siamo impegnati nella ricerca del nuovo e siamo consapevoli della necessità di trasformare noi stessi alla luce dei cambiamenti della realtà e delle lezioni, anche dure, impartite dalla nostra esperienza. Ma che siamo anche convinti della necessità di preservare le ragioni delle nostre scelte e di batterci per esse. Non ci scoraggia né tanto meno ci ferma il fatto che tanti oggi siano impegnati in forsennate abiure e in liquidazioni. Credo che noi siamo diversi. Come lo eravamo nel 1991, come abbiamo saputo esserlo nel ’98.
Abbiamo accolto tra noi molte compagne e molti compagni che sui destini della sinistra italiana hanno convinzioni in parte diverse dalle nostre. Li abbiamo accolti perché siamo convinti che, insieme, possiamo fare molta strada e combattere molte battaglie importanti. A questa unità della sinistra di alternativa teniamo perché crediamo che l’unità programmatica e il coordinamento delle forze politiche e sociali della sinistra di alternativa siano oggi una necessità primaria e inderogabile. Ma a queste compagne e a questi compagni che non si definiscono più (o non si sono mai definiti) comunisti noi diciamo con serenità ma con fermezza che noi invece comunisti siamo e restiamo. E ci battiamo oggi, come ci siamo battuti ieri e continueremo a batterci domani, perché in questo Paese non sia cancellata la presenza di un forte partito comunista di massa. Questo è il nostro impegno, questa è la nostra battaglia!

Dicevo – e qui chiudo – che questi temi politici sono strettamente legati ai temi dell’organizzazione. Il fatto è che quando discutiamo del partito e della sua organizzazione stiamo in realtà discutendo di aspetti essenziali della battaglia politica: dentro il governo, nella maggioranza e nelle istituzioni, perché la nostra influenza sul terreno della dialettica politica sia efficace; e nella costruzione di alleanze e di relazioni con le altre forze della sinistra di alternativa perché il quadro politico sia il più avanzato possibile, il più favorevole per le nostre battaglie.
Per questo ho voluto accennare anche alle questioni del governo e della sinistra di alternativa: questioni che ci confermano nella necessità di un impegno sempre più intenso per la costruzione di un partito forte, unito, radicato, capace di conquistarsi sul campo – giorno dopo giorno – il diritto di chiamarsi come ci siamo chiamati ormai sedici anni fa: partito della Rifondazione comunista. Con orgoglio e con la coscienza della portata del compito che questo nome comporta.