Il 27 aprile inizia la Conferenza dei Lavoratori e delle Lavoratrici del PRC di Roma, che vedrà impegnati tutti i circoli territoriali e di luogo di lavoro in una discussione sui temi del lavoro, che devono tornare prepotentemente ad essere centrali nella agenda politica e di lavoro di tutto il Partito e, in questo caso, a partire da questa Federazione.
E’ una conferenza un po’ anomala, nel senso che non prevede l’organizzazione statutaria relativamente alla presentazione degli emendamenti ed alla individuazione dei criteri per i delegati che parteciperanno; infatti, d’accordo con il Dipartimento Nazionale Lavoro, che ha approvato l’iniziativa ed il relativo documento proposto ai compagni e alle compagne per la discussione ed il confronto, la Federazione di Roma del PRC ha inteso privilegiare la massima partecipazione per cui non ci saranno delegati/e, ma tutti/e sono invitati a partecipare e il documento sarà realmente emendabile.
Al termine del lavoro dei circoli ci sarà una plenaria di tutti/e gli/le iscritti/e dove, alla presenza della compagna Roberta Fantozzi Resp.le Area Lavoro della Segreteria Nazionale, verrà licenziato il documento definitivo, aggiornato ai dati più recenti della crisi, che sarà il programma dei/lle comunisti/e romani/e del PRC sull’analisi della crisi e sulle nostre proposte per uscirne.
E’ una operazione ambiziosa ed altrettanto indispensabile, che si svolge solo a Roma e sulla quale il PRC Nazionale nutre l’interesse necessario prima di istruire, come da documento finale di Chianciano, la Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici nazionale, che potrebbe svolgersi in autunno.
Daniela Cortese
responsabile Dipartimento Lavoro Federazione di Roma del PRC
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Il Partito Comunista è lo strumento e la forma storica del processo di intima liberazione per cui l’operaio da esecutore diviene iniziatore, da massa diviene capo e guida, da braccio diviene cervello e volontà; nella formazione del Partito comunista è dato cogliere il germe della libertà che avrà il suo sviluppo e la sua piena espansione dopo che lo Stato operaio avrà organizzato le condizioni materiali necessarie.
Antonio Gramsci
L’Ordine Nuovo, 9 ottobre 1920
DIAMO I NUMERI
Eurispes: nel 2006 le famiglie che possedevano un capitale superiore ad un milione di euro erano 359mila e sono destinati ad aumentare; si stima che alla fine del 2009 saranno 712mila. I poveri sempre più poveri ed i ricchi sempre più ricchi. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI) il trasferimento di risorse economiche dal lavoro al capitale è di 120 miliardi di euro all’anno ed ha provocato una perdita di salario reale di 7.000 euro all’anno.
Evasione Fiscale
Il governo dichiara un recupero del 46% rispetto allo stesso periodo del 2007, quantificabili in un rientro per il Fisco di 2,3 miliardi di Euro. Ma la CGIL controbatte che sono dichiarazioni false e propagandistiche che invece preoccupano, intanto perché il governo si attribuisce i meriti delle attività di accertamento fatte nell’anno precedente; poi perché la cosa più grave è che nei dati statistici del recupero della evasione fiscale non fanno testo gli accertamenti ma l’adesione spontanea, che con gli interventi correttivi in negativo degli ultimi mesi (leggi vantaggi per gli evasori), è già diminuita ed è destinata a diminuire ulteriormente in maniera sensibile già dall’immediato futuro. Inoltre non va dimenticato che solo una piccola parte della evasione fiscale accertata viene poi effettivamente incassata; infatti al 31 dicembre 2006, secondo un rapporto della Corte dei Conti, l’Agenzia delle Entrate non ha mai riscosso 136 mld di Euro (equivalente più o meno al 10% del PIL) – considerati irrecuperabili cioè perduti – a fronte dei 160 mld che avrebbe dovuto riscuotere.
“Se lo Stato ti chiede un terzo di quanto guadagni, allora la tassazione ti appare una cosa giusta; ma se ti chiede il 50-60% ti sembra una cosa indebita e ti senti anche un po’ giustificato a mettere in atto procedure di elusione e a volte di evasione” questo è quanto ha recentemente dichiarato il capo del governo.
Ecco, noi viviamo in questo Paese qui, dove le rendite vengono tassate molto meno degli stipendi e dove i lavoratori e le lavoratrici sono gli unici a pagare le tasse fino all’ultimo centesimo con la ritenuta alla fonte, mentre gli imprenditori sono autorizzati a dichiarare liberamente redditi di fantasia come meglio credono, tanto poi ci siamo noi a pagare le tasse anche per loro. Può continuare così? La risposta è no.
Retribuzioni
Secondo l’ultimo rapporto dell’Ires CGIL i salari sarebbero cresciuti nel 2008 del 3,5% ma alla pari con l’andamento della inflazione, il che significa che questo “incremento” è stato interamente mangiato dall’aumento del costo della vita quantificato in un +5,9% come riferiscono le Associazioni dei Consumatori (nell’ultimo decennio i prezzi sono aumentati del 32%).
Quindi in verità i salari sono rimasti fermi.
In più va registrato che i redditi delle famiglie di lavoratori/trici dipendenti nel periodo 2002 – 2008 sono diminuiti di circa 1.600,00 Euro mentre quelli delle famiglie di imprenditori o liberi professionisti sono aumentati di oltre 9.000,00 Euro. Nonostante ciò, la riduzione del costo del lavoro, dal centro sinistra prima e dal centro destra dopo, invocata come unica soluzione per favorire la crescita del Paese, non ha nemmeno evitato la crisi, mentre le famiglie italiane, più povere di prima, non vedono all’orizzonte un miglioramento delle proprie condizioni di vita e, se la situazione restasse invariata, come probabilmente sarà ancora per lungo tempo, continueranno a non poter spendere impedendo quindi la ripresa dei consumi.
Crisi come questa non significano automaticamente la fine del capitalismo, che anzi in queste condizioni può rigenerarsi e riorganizzarsi a proprio vantaggio; se ne può uscire da destra o da sinistra, cioè si può continuare a ridurre i salari e ad aumentare i prezzi, favorendo l’aumento della forbice tra ricchi e poveri, oppure si deve avere il coraggio di pretendere – come noi pretendiamo – un aumento dei salari a partire da minori tasse in busta paga e da un contenimento dei prezzi, che vanno consolidati entrambi come obiettivi nella nostra agenda. Va da sé che la situazione non solo non cambia, ma può solo peggiorare, se pensiamo ai due milioni di lavoratori e lavoratrici con contratto di lavoro scaduto e ancora non rinnovato (enti locali, sanità, trasporto pubblico tra i principali) oltre a quelli rinnovati male, al limite della inflazione programmata quindi fortemente in ribasso rispetto a quella reale e spesso sottoscritti separatamente.
Insomma per noi comunisti e comuniste desta scandalo l’intervento del capitale pubblico a sostegno degli imprenditori (ai quali non si chiedono in cambio neanche garanzie occupazionali o piani industriali credibili) e, se richiesto, anche delle Banche, che avevano già inspiegabilmente usufruito del cuneo fiscale sotto il governo Prodi. Noi dobbiamo rivendicare che lo Stato dirotti questi finanziamenti per un intervento diretto a sostegno dei redditi.
I lavoratori e le lavoratrici non sono il problema, semmai sono la soluzione della crisi, per questo devono tornare ad essere un valore centrale ed assoluto per il nostro Paese.
Redistribuzione del reddito subito
Non serve scomodare Keynes per ricordare che non si rilanciano i consumi se non si rilancia l’occupazione e se non si redistribuiscono i redditi, a partire dalle classi più povere. In più non è affatto vero che accettare bassi salari e aumento incontrollato della produttività siano significativi per garantire e difendere la piena occupazione; a questo proposito bisogna prestare attenzione al controllo del governo sui mezzi di informazione perché sta riuscendo a far passare mediaticamente tra la gente l’idea della disponibilità alla perdita dei diritti anche quando è in cambio solo di ulteriori incertezze. Necessità primaria è inserirsi anche concettualmente in questo percorso e riuscire a riaprire un dialogo con la nostra classe, (intesa come percezione politica dell’agire e come autodifesa – per sé – della classe), che restituisca il giusto ruolo agli sfruttati e agli sfruttatori ed al loro rispettivo peso specifico nella società; per questo il compito della nuova gestione di Liberazione in questo senso per noi è molto importante e la ritrovata qualità, con l’esposizione delle vertenze, e con loro la nostra solidarietà militante, potrebbe meglio favorire un importante aumento dei lettori e delle lettrici (tra l’altro già iniziato) per uscire dalla nicchia della sua scarsa diffusione. Va quindi valorizzata la significativa ripresa dei conflitti nei posti di lavoro, che noi sosteniamo quando riusciamo ad intercettarli o quando ne siamo tra gli organizzatori, e che abbiamo il dovere di condividere per tornare ad essere riconoscibili ed utili anche se extraparlamentari.
Guerra e Lavoro
Tra l’altro basterebbe recuperare le risorse economiche destinate alle guerre per dare un contributo significativo al miglioramento della vita dei poveri e degli sfruttati di questo nostro Paese.
E’ per questo che i temi della pace sono strettamente connessi ai diritti del lavoro, solo apparentemente possono essere considerati separati: il pane e il lavoro al posto dei fucili deve tornare ad essere un diritto esigibile per ricostruire una società solidale e più giusta.
E’indispensabile per noi rivendicare una tale inversione, utile anche a rilanciare il movimento per la pace dal momento che la stagione delle guerre permanenti purtroppo ancora non è terminata.
Perdite di posti di lavoro e difficoltà delle famiglie
A detta di tutti, nonostante fastidiosi inviti all’ottimismo per lo più impraticabile, il prossimo biennio vedrà una terribile perdita di posti di lavoro, sia relativamente a ristrutturazioni di grandi Aziende prime fra tutte Alitalia e Telecom Italia, continuando per la grave crisi mai cessata dei settori dell’Informatica, dell’automobile e della piccola e grande distribuzione, e sia per la scadenza naturale di migliaia di posti di lavoro precari che cominceranno ad emergere in maniera più o meno definitiva già entro Marzo 2009; non si può non evidenziare che il recente accordo truffa per il settore del Pubblico Impiego prevede la cessazione di almeno 60.000 posti di lavoro entro giugno 2009, per i quali doveva invece esserci l’impegno del governo per la loro assunzione a tempo indeterminato. Complessivamente le stime di perdita di posti di lavoro nel pubblico impiego, secondo le ultimissime notizie, si aggirano sulle 400.000 unità che, se confermate, sarebbero una vera tragedia.
Le cifre di questa vera mattanza sociale, che detteranno l’agenda delle prossime iniziative di lotta per la difesa dei posti di lavoro ma anche per la tenuta democratica dell’Intero Paese, sono le seguenti:
600.000 secondo Confindustria
900.000 secondo la CISL
Fino a 1.500.000 secondo la CGIL
1.900.000 secondo le associazioni di categoria del commercio
300.000 precari solo a dicembre (10.000 apprendisti, 193.000 tempo determinato, 16.000 somministrati, 64.000 co.co.pro., 35.000 non specificati)
Richieste di Cassa Integrazione a fronte di un tasso di disoccupazione che sarà dell’8,2% contro il 6,7% del 2008 (stime di Bruxelles) e di una inflazione al 3,3% (+1,5%) e il massimo aumento dei prezzi registrato da dodici anni a questa parte:
Aumentate del 60% nel periodo gennaio-novembre
Aumentate del 250% nel solo novembre
7 milioni di lavoratori e lavoratrici, cioè il 50% del totale, che non ha diritto agli ammortizzatori sociali pur non essendo precario/a. La fonte è della CGIA Ass.ne artigiani piccole e medie imprese, il richiamo è evidentemente al limite dei 15 dipendenti.
A questi numeri già drammatici di per sé bisogna aggiungere chi aveva già perso il posto di lavoro e non l’ha ancora ritrovato e chi ormai può considerarsi inoccupato cronico, dati che non sono affatto irrilevanti. E ancora il dramma dei nostri fratelli e delle nostre sorelle migranti perché la loro eventuale perdita del posto di lavoro nella maggior parte dei casi comporterà la perdita del permesso di soggiorno e quindi il dramma del ritorno alla illegalità ed al lavoro nero; vale per loro, come per noi, l’estensione più ampia della solidarietà di classe piuttosto che gli interventi caritatevoli. Nel frattempo a loro pensa il governo che, con il decreto anticrisi, ha chiesto una ulteriore tassa per ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, che sarà definita tra 80,00 e 200,00 Euro: una vera vergogna di chiaro stampo razziale.
Interrompere presto la macelleria sociale
Chiediamo a Confindustria, soprattutto ora che le previsioni sono pessime, prevedendo che il PIL nel 2009 scenderà di ben 2 punti, una immediata cessazione/sospensione dei licenziamenti e l’estensione degli ammortizzatori sociali ed il rinnovo dei contratti a tutto il mondo del precariato, a partire dalle grandi aziende, prima di aprire qualunque trattativa. Preoccupano dati come il crollo della produzione industriale in tutta Europa che in Italia diventa allarme con -46,4% del comparto dell’auto.
Dietro a questi numeri ci sono persone e volti, storie private con il proprio futuro negato o fortemente compromesso. Ci sono intere famiglie a rischio povertà, quantificate in circa 900.000 dall’Istat, molte delle quali già oggi spesso usufruiscono almeno di un pasto giornaliero presso le mense pubbliche della Caritas e simili, che non riescono a curarsi, che non comprano abiti e scarpe, che devono chiedere ai propri figli di rinunciare alla scuola perché diventata economicamente insostenibile; anzi la dispersione scolastica è diventata la più alta degli ultimi anni e va registrato che c’è una buona parte della attuale generazione degli adolescenti che sono senza scuola e senza lavoro e possono trasformarsi troppo facilmente in quel sottoproletariato che diventa coltura fertile per gruppi politici di estrema destra, che comunque esercitano un discreto fascino nei loro confronti e che noi facciamo fatica ad intercettare. Se il problema è serio dal versante studentesco, non è meno grave dal versante del lavoro, infatti i lavoratori della Conoscenza precari saranno sottoposti a un vero massacro nella nostra Regione dove la disoccupazione toccherà punte storiche.
Molti precari della Scuola lavorano a Roma, ma abitano a Cassino o nel Frusinate, addirittura viaggiando giornalmente. Neanche questo sacrificio permetterà loro di continuare ad avere un contratto. E’ un tipo di disoccupazione, unito a quello dell’Università e della ricerca, che ha poche possibilità di riconversione, essendo di natura intellettuale.
Italia, un Paese fermo
Ecco quindi che dobbiamo monitorare in maniera adeguata la Formazione e la ricerca promossa dalle Istituzioni pubbliche perchè essa dovrà essere particolarmente incisiva in questo periodo per ridare speranze a questi/e giovani e perché sia adeguata anche per reinserire nel mondo del lavoro gli adulti che lo hanno perso. A questo proposito non va altresì sottaciuto che il nostro è un Paese fermo nel quale il figlio del Notaio farà il Notaio, il figlio del Medico farà il Medico e via di questo passo mentre ai proletari restano le mansioni più umili, più ripetitive e meno qualificate per le quali non servono particolari abilità; non ci riferiamo solamente all’organizzazione fordista e taylorista delle fabbriche, ripetitiva e dequalificata ma anche, per esempio, al lavoro orribile dei call center. In questi casi, va detto che la svalorizzazione della forza lavoro, insieme ai costi pressochè nulli della formazione che in questi casi viene ritenuta inutile, aumenta ovviamente solo la valorizzazione del capitale aumentando il pluslavoro.
Casualmente su questo argomento di recente interviene anche il Governatore della Banca d’Italia dichiarando che il profitto è connesso alla modernizzazione e che gli imprenditori devono ricercare un sistema politico che permetta l’innovazione economica e l’alternarsi tra i gruppi che invece ormai sono sempre gli stessi. Vale la pena ricordare che subito il Ministro della Economia Tremonti ha tuonato contro queste affermazioni di Draghi definendole “esercizi congetturali”, sostanzialmente sconfessandole e affermando di contro che prevedere oggi l’andamento dell’economia è un mestiere da astrologi (è chiaro in che mani stiamo?). Saranno gli stessi astri che dopo l’annunciata robiante campagna pubblicitaria della social card non l’hanno consegnata né caricata dei 40,00 euro alla stragrande maggioranza di coloro che potenzialmente ne avevano diritto: una doppia vergogna, non solo sono umilianti ma pure scariche.
NON PAGHIAMO NOI LA VOSTRA CRISI
Questo più che indovinato slogan degli studenti e delle studentesse rappresenta al meglio il rischio che questa crisi non la paghi chi l’ha generata e che si tenti ancora una volta di farla pagare a chi l’ha pesantemente subita: e, fatto non meno importante, rimanda ad una nuova alleanza tra loro ed il mondo del lavoro.
Ricordiamo lo slogan ancora vivo degli anni settanta Operai, studenti, uniti nella lotta! ma, mentre in quel periodo il movimento anticapitalista e comunista era all’attacco e strappava accordi importanti che intaccavano la stabilità dello stato borghese (primo fra tutti lo statuto dei lavoratori) oggi siamo in una fase in cui il movimento dei lavoratori è stato pesantemente sconfitto, il nostro Partito è diventato extraparlamentare dopo il grave insuccesso dell’esperienza della nostra partecipazione al governo Prodi, ed in più con il nostro popolo si è creata una frattura difficile e complicata da risanare a seguito di eventi negativi come la debole opposizione alla privatizzazione del TF ed in seguito soprattutto dopo l’accordo del 23 luglio 2007 su Welfare e Pensioni. Anzi a questo proposito va rilanciata con forza la richiesta che chi aveva aderito ai Fondi Pensione, visto il nefasto esito delle perdite economiche che ne sono derivate come era facilmente prevedibile, possa tornare indietro sulla propria adesione e restituire il proprio TFR alle aziende, dove invece il rendimento si è rivalutato positivamente e si è confermato più sicuro. Ricordiamo anche che dovremo tornare presto a denunciare che i lavoratori e le lavoratrici dipendenti pagano con denaro proprio, circa un miliardo e trecento milioni di Euro all’anno, l’erogazione delle pensioni d’oro dei dirigenti d’azienda oggi a carico dell’INPS nel quale è confluito il loro Fondo Pensioni, dopo il suo fallimento. Proviamo ad immaginare se fosse accaduto il contrario cioè che, fallito l’INPS, le nostre pensioni diventassero a carico dei dirigenti d’azienda; sicuramente solo in questo caso sarebbe esploso lo sdegno! Bisognerebbe rilanciare una vecchia proposta di iniziativa popolare lanciata dal PRC qualche anno fa che chiedeva di imporre la forbice da uno a dieci tra gli stipendi dei dirigenti e quelli dei/lle lavoratori/trici, soprattutto oggi che il sistema conquista il consenso dei manager con le indecenti e milionarie stock options e costringe troppo spesso le persone normali a fare acquisti a credito indebitandosi continuamente.
Precarietà del lavoro e del vivere
Dall’appoggio esterno all’approvazione della Legge Treu alla richiesta minimalista di modificare la Legge 30 e di non chiederne l’abrogazione, gli anni passati – volenti o nolenti – hanno visto la classe dirigente del PRC non intercettare in maniera adeguata la frammentazione della classe operaia derivante dalla precarietà e dalle differenze contrattuali a parità di mansioni. Importanti momenti resistenziali dei militanti di base, nei posti di lavoro e anche nei territori, non hanno potuto rovesciare questa tendenza avendo contro anche pezzi consistenti di CGIL che facevano prevalere ancora la logica concertativa e la negazione di una adeguata rappresentatività sindacale.
Il nostro Partito però è sempre stato in prima linea contro i pessimi accordi al ribasso e contro le privatizzazioni, che hanno contribuito in maniera importante al risultato complessivo di spostare di dieci punti del PIL dal lavoro dipendente alla accumulazione capitalistica; la soluzione finale poi il capitale l’ha trovata nella finanziarizzazione della economia che ci ha accompagnato dentro una crisi forse più grave di quella del 1929. Il neo-liberismo in Italia però è riuscito ad arricchire prevalentemente solo alcune famiglie e solo alcuni gruppi imprenditoriali fino ad impoverire pesantemente quello che fino a poco tempo fa era il ceto medio, rivelandosi in fondo un liberismo straccione fatto in casa, che ha sostenuto e valorizzato logiche spartitorie simil-monopoliste che sostanzialmente hanno annullato una reale concorrenza tra le aziende, che si sono così sentite autorizzate a non investire in nuove tecnologie ed a non presentare piani industriali credibili, con annesso tutto il problema morale che, nelle sue ampie proporzioni, sta strangolando il nostro Paese.
Innalzamento dell’età pensionabile per le donne
Il governo si costruisce l’ennesimo alibi contro le donne, già emarginate nel mondo del lavoro dove comunque la discriminazione di genere per professionalità e per retribuzioni resta molto alta, con la dichiarazione della Corte Europea che addirittura ritiene discriminatorio che in Italia le donne possano andare in pensione prima degli uomini; certo l’equivoco, ispirato ad arte, è stato condizionato dal fatto che le donne in Italia possono farlo con carattere volontario, cioè non sono obbligate ad andare in pensione anticipatamente (legge 903 del 1977). E già affermare questo principio presso il Parlamento Europeo, o decidere di non valorizzarlo come è in realtà accaduto, avrebbe evitato tale dichiarazione, che in ogni caso non obbliga l’Italia a legiferare in tal senso, è più che altro una richiesta di indirizzo.
Potere scegliere di andare in pensione cinque anni prima degli uomini deriva in realtà dalla consapevolezza che in Italia la libertà e l’autodeterminazione delle donne è ancora fortemente condizionata dal doppio lavoro, e che la parità sulla cura della famiglia e della casa è ancora ad un livello molto ma molto arretrato.
Non è possibile permettere che le donne paghino ogni crisi sempre un po’ di più. E’ necessario quindi dire NO a questo progetto, costruendo intorno a questa opposizione il massimo dell’unità possibile per renderla più forte. C’è già una iniziativa unitaria di donne della sinistra politica, sindacale, di movimento, che sta raccogliendo moltissime firme intorno ad un appello che può essere sottoscritto all’indirizzo [email protected] che anche il nostro Partito ha contribuito a promuovere.
Peggioramento delle pensioni per tutti/e
Il tentativo sprezzante di questo governo, annunciato dalle dichiarazioni di Tremonti e le smentite di Sacconi e viceversa, prevede una ulteriore riforma delle pensioni con annesso innalzamento dell’età pensionabile e modifica dei coefficienti; il tutto con l’auspicio che si faccia senza mediazioni sindacali, almeno così affermano. E’ una proposta irricevibile verso cui si rimanda alla massima vigilanza e opposizione.
Mettere in connessione i conflitti
Bisogna evitare che si pensi individualmente all’analisi della crisi ed a come uscirne, perché l’attacco ai diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, e a tutto il proletariato è globale e collettiva deve essere la risposta. Nessun settore può sentirsi più o meno esposto di altri, comprese le comunità locali che si battono contro le grandi e inutili opere che servono a devastare inesorabilmente l’ambiente, fanno guadagnare lauti profitti ai soliti noti e quindi non portano ricchezza al Paese. Proprio per questo la nostra risposta deve essere invece di un massiccio intervento della spesa pubblica per la sicurezza delle scuole, per i trasporti pubblici urbani e nazionali, meglio se su ferro, contro le nuove autostrade da costruire, per la difesa degli ospedali e della sanità pubblica contro gli iniqui e antipopolari ticket nuovamente imposti dalla Regione Lazio, per la riconversione di energia eco-sostenibile, per la raccolta differenziata contro gli inceneritori e per l’eliminazione di tutti gli agenti inquinanti primo fra tutti l’amianto.
Tutte le categorie del lavoro dipendente, insieme ai disoccupati, ai precari ed agli studenti ed alle studentesse devono far parte di un unico grande movimento di lotta che esiga contemporaneamente il diritto al sapere insieme al recupero salariale; ogni vertenza, se all’interno di questa grave crisi non si connette con le altre, rischia di essere depotenziata e di breve respiro. Anzi il vero rischio che ne può derivare è che l’accoglimento di eventuali scarsi risultati, nella disperazione del momento, possano rendere reale l’illusione dell’invito all’ottimismo (meglio questo che niente) che ha invece da parte del governo il non celato tentativo di indebolire le risposte antagoniste.
Le soluzioni vanno trovate solo con interventi strutturali e definitivi per aumentare stipendi e pensioni, compreso il rafforzamento e la valorizzazione dello stato sociale, che assicuri a tutti e a tutte in egual misura gli stessi diritti e le stesse garanzie.
Un nuovo lavoro autonomo
Uno degli aspetti meno indagati dalla sinistra, nell’ambito delle trasformazioni del mondo del lavoro negli ultimi vent’anni, è certamente la crescita del lavoro autonomo con caratteristiche diverse da quello tradizionale (commercio, artigianato, libere professioni) e soprattutto un lavoro che spesso è autonomo solo in termini formali e quasi mai frutto di una libera scelta. E’ un fenomeno diversificato in cui, a fianco di lavoratori con medio-alte professionalità che, non potendo ottenere l’assunzione presso un’impresa, lavorano con propria partita IVA spesso per un solo committente, ci sono lavoratori meno qualificati, che non trovando collocazione adeguata sul mercato del lavoro, si “inventano” imprenditori, in settori come le pulizie o i piccoli lavori edili, in cui non è necessario un grosso investimento di capitale; a questa realtà va aggiunto il fenomeno di piccole esperienze di tipo cooperativo, in cui giovani (o meno giovani) si misurano con il “fare impresa” in modo collettivo.
La condizione dei lavoratori di queste realtà è caratterizzata da una precarietà diversa da quella del precariato classico, ma deriva dall’essere – direttamente e senza filtro alcuno – immersi nelle crude dinamiche di mercato, senza garanzie, senza identificazione collettiva, senza nemmeno una controparte chiaramente individuabile. Specialmente in settori a bassa qualifica, la concorrenza al ribasso produce forme di autosfruttamento o di sfruttamento in cui piccolissimi imprenditori, che faticano ad arrivare a fine mese, si avvalgono di lavoratori in nero, abitualmente immigrati, mantenuti a condizioni ovviamente peggiori delle proprie.
Questo mondo, che spesso vede nell’evasione fiscale la sola forma “ammortizzatore sociale” e nello Stato un nemico, è ovviamente più sensibile ai temi della destra, pur avendo una connotazione sociale riconducibile in termini generali a quelli che chiamiamo “strati popolari”. Rispetto a questa realtà la sinistra fino ad oggi non ha trovato nulla da dire, eppure la materia non mancherebbe:
l’elevazione della “no tax area” dagli attuali 7.500 euro lordi annui ad una soglia significativamente più alta, significherebbe soprattutto rompere il fronte dell’evasione fiscale che oggi tiene insieme grandi e piccoli evasori; la richiesta di un sistema di diritti e garanzie sociali legati alla cittadinanza, piuttosto che ad una specifica condizione economica e sociale; la costruzione di un sistema di finanza e mutualità etica, potrebbe essere strumento per sottrarre questo mondo al sistema bancario e alle logiche selvagge da esse imposte.
PROPOSTE per Roma e dintorni.
Radicamento comunista nei luoghi di lavoro
I circoli dei luoghi di lavoro devono trovare nel nostro Partito e nella nostra Federazione in particolare un ruolo centrale per lasciarsi alle spalle la stagione dei comitati elettorali e della debole organizzazione, pur affermando che nella nostra Federazione quelli realmente radicati rappresentano la maggioranza.
E’ necessaria una riflessione su quelli che sono stati i nostri limiti fino ad oggi e sulla nostra capacità per il futuro di superarli al fine di unire, anche dal punto di vista organizzativo, ciò che il capitale divide, quindi per esempio: non scinderci e organizzarci solamente in base ai contratti di riferimento e favorire la costruzione delle filiere; non sostituirci al Sindacato, ma intervenire adeguatamente su proposte possibili per modificare e cambiare la situazione.
Sarà necessario per l’immediato futuro:
Individuare uno o più responsabili del lavoro nei circoli territoriali;
Mappare RSU e RLS tra i nostri iscritti e iscritte, promuovere la massima partecipazione alle elezioni per le Rappresentanze Sindacali Unitarie e prevedere adeguati corsi di formazione per il ruolo.
La condizione migliore per affrontare con la dovuta energia il conflitto capitale/lavoro è gestirlo direttamente nei luoghi della produzione per stare a diretto contatto con i propri colleghi e colleghe, condividerne la quotidianità e proporsi come avanguardia nei conflitti. Possono, ma anzi devono, nascere così nuovi quadri comunisti operai per selezionare una nuova classe dirigente del Partito che contribuisca in maniera importante ad evitare e superare la deriva e la separatezza istituzionalista degli ultimi anni.
Rilanciare i circoli del lavoro e sostenere le iniziative del Dipartimento Lavoro, intendendole patrimonio comune e condiviso, può contribuire a restituire linfa vitale al nostro progetto di rilancio del PRC.
Sindacato
Raramente, come in questo periodo storico, il valore della forza lavoro è ridotto al minimo ed ha consentito volumi consistenti di plusvalore per le aziende. Questo è potuto accadere per diversi fattori, tra cui l’aumento indiscriminato delle ore lavorate, dettato innanzitutto dal ricatto occupazionale ai lavoratori precari, che sono i nuovi schiavi dell’era moderna obbligati a condizioni di lavoro impensabili solo pochi decenni fa; ma anche a causa di una generalizzata richiesta di aumento della produttività derivante da pessimi accordi sindacali concertativi e perciò al ribasso.
Dopo le imponenti manifestazioni di ottobre, ma soprattutto dopo lo sciopero generale del 12 dicembre, non è più rimandabile un processo che faccia convergere, attraverso iniziative comuni, sia la CGIL che il sindacalismo di base verso la ricostruzione di un sindacato di classe, che anticipi e corregga subito qualunque tentativo di mettere l’una contro l’altra generazioni diverse, occupati e disoccupati, italiani e stranieri e che insomma sia propedeutico a dare una risposta – dal nostro punto di vista – alla crisi in atto. Il sindacato di base ha saputo ridurre il danno ma non eliminarlo, stante anche le innegabili difficoltà derivanti dall’assenza di pari diritti di democrazia e rappresentanza sindacale, ma ha costruito comunque sacche di resistenza e di difesa di diritti nei posti di lavoro anche di grande valore. Il limite maggiore è stato rappresentato dal non aver voluto superare tante divisioni tra tante sigle diverse con il rischio involutivo di frammentare e indebolire le lotte, nonostante il vuoto lasciato dalla diminuzione di consensi delle OO.SS.confederali, che lentamente si sono trasformate in lobbies e agenzie di pratiche amministrative (patronati, caf e quant’altro), fino a cogestire i nostri TFR nei loro fondi privati.
CGIL e Sindacati di Base
La CGIL ha oggi una occasione storica per allontanarsi definitivamente da CISL e UIL già predisposte da tempo a collaborare ed a convalidare passivamente gli accordi che propongono i padroni, cioè ad esercitare quella famosa “collaborazione e complicità” di cui si parla nella proposta del Governo del progetto di smantellamento del CCNL, che noi dobbiamo ostacolare con tutte le nostre energie.
Dobbiamo quindi guardare con attenzione sia al patto di consultazione di RdB, Cobas e SdL che all’impegno della parte migliore della CGIL, che essendo il più grande sindacato italiano ha la grande responsabilità, più di tutte le altre sigle sindacali, di tentare nuovi percorsi e nuove strategie per riconsiderare il mondo del lavoro come l’unica ricchezza da salvaguardare; va dedicato il massimo impegno per favorire che la CGIL chiuda definitivamente da sinistra con la stagione della concertazione. Noi dobbiamo sostenere entrambi, senza la presunzione di poter essere autosufficienti e quindi insieme alle forze di sinistra e comuniste che ci vogliono stare, senza illogiche equidistanze da problemi solo apparentemente di stretta natura sindacale e senza temere di parlare di lotta di classe da protagonisti, perché oggi l’hanno praticata spavaldamente solo i padroni e l’hanno anche vinta. Non possiamo più permetterlo.
Dal canto nostro abbiamo dato continuità al sostegno allo sciopero dello scorso 12 dicembre sostenendo e partecipando con la massima convinzione anche allo sciopero del 13 febbraio indetto congiuntamente dalla Fiom e dalla CGIL della Funzione Pubblica; tra l’altro, alla luce dell’accordo separato, sottoscritto da CISL, UIL e UGL a cui la CGIL bene ha fatto a far mancare la propria firma, questa manifestazione aveva assunto un carattere di opposizione più complessivo.
Per le stesse ragioni abbiamo sostenuto la manifestazione nazionale del 28 marzo e lo sciopero generale del 23 aprile indetti dal Patto di Consultazione di RdB-Cobas-Sdl e anche la manifestazione nazionale indetta dalla CGIL per il 4 aprile.
Accordo quadro-Riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009
Ci sono dentro alcune questioni di rilievo: depotenziamento nei fatti del CCNL, riduzione del potere reale dei salari (stime IRES-CGIL se fosse stato già applicato nei quattro anni precedenti ogni lavoratore/trice avrebbe già subito una perdita di circa 1.350,00 euro), il sindacato come gestore e complice delle imprese.
Non si fa fatica a definire come pessimi collaboratori le OO.SS. che invece lo hanno sottoscritto e che premevano per farlo già dai tempi del “Patto per l’Italia”, prima impalcatura di questo accordo; difficile definire diversamente CIL, UIL e UGL che rinunciano ad un ruolo conflittuale per una cogestione con l’Azienda attraverso un uso smodato e potente degli Enti Bilaterali, che approvano ulteriori e gravissime limitazioni al diritto di sciopero approvando “la tregua sindacale” e che si impegnano a garantire aumenti salariali solo in relazione ad aumenti di produttività e quindi si fanno paladini di ulteriori condizioni di sfruttamento per garantire alle imprese questo obiettivo.
Sosteniamo e condividiamo la proposta della CGIL di dare immediatamente la parola ai lavoratori ed alle lavoratrici attraverso un referendum sui luoghi di lavoro e ci adopereremo affinché si possano programmare tutte le azioni per far fallire questo patto scellerato, condividendole insieme al sindacalismo di base, a partire da una non più rimandabile indizione di sciopero generale da tenersi prima possibile. Alla gravità della provocazione di confindustria, governo e sindacati che hanno abdicato in maniera irreversibile al loro ruolo, l’opposizione deve essere immediata e altrettanto forte.
Diritto di sciopero
Lo sciopero è uno strumento dei lavoratori e delle lavoratrici, con perdita della retribuzione, e può sostenere le trattative per far valere i propri diritti; oggi è già fortemente ridimensionato dalla Legge 146. La sua limitazione dell’ultimo decreto legge, di chiaro retaggio fascista ed in adempimento al progetto della P2, ha l’unico scopo di ridurci irrimediabilmente al silenzio ed evitare qualunque confronto con la parte datoriale, che pensa così di agire indisturbata, di concerto con il governo, per sopprimere sul nascere ogni conflittualità sociale che dovesse derivare dalle difficoltà della crisi. La nostra risposta è netta, così come è stata nelle prime parole del segretario Ferrero: “Giù le mani dal diritto di sciopero, ci opporremo fino a fare le barricate”.
Sicurezza sul lavoro
Opposizione al decreto mille proroghe che rimanda dal 1 gennaio al prossimo 16 maggio i seguenti adempimenti: 1) Valutazione dei rischi (e relative sanzioni), “solo” per i “rischi Stress lavoro-correlati”; 2) “data certa” del Documento di Valutazione dei Rischi; 3) invio all’INAIL e all’IPSEMA dei dati relativi agli infortuni superiori ad 1 giorno; 4) divieto visite mediche “preassuntive” (art. 41, comma 3, lettera a).
Si aggiunga a questo quadro già grave il tentativo in atto da parte di questo Governo di scrivere un Avviso Comune insieme alle Associazioni dei Datori di Lavoro, Lega delle Cooperative compresa, per un completo stravolgimento proprio del Decreto 81, approvato appena lo scorso 9 aprile, che invece segnava un avanzamento, nel campo di applicazione, rispetto alla Legge 626. Si parla già infatti, tra le altre cose, di consentire che le autocertificazioni sostituiscano il documento di valutazione dei rischi e addirittura di prevedere che dove ci saranno gli RLS non ci dovranno essere contemporaneamente le RSU e viceversa. Ad oggi la CGIL non condivide e non firma.
Noi siamo convinti che il Testo Sulla sicurezza sul Lavoro vada difeso con convinzione, anzi in collaborazione con il Comitato 5 Aprile ci impegneremo perché possa essere ancora migliorato, prevedendo una maggiore valorizzazione del ruolo degli RLS, che non sono stati né potenziati né tutelati rispetto alla loro attività sindacale sui posti di lavoro; senza dimenticare che l’indispensabile incremento delle ispezioni potrà essere realizzato solo attraverso la scelta di massicce assunzioni di Ispettori del Lavoro e di Tecnici della Prevenzione.
Il prossimo 18 aprile verrà organizzata una nuova manifestazione sulla sicurezza sul lavoro che si svolgerà a Taranto con partenza dall’Ilva, luogo di troppi incidenti anche mortali e di troppe tragedie, a cui sarà importante aderire e promuovere la massima partecipazione, così come è stata per quella di Torino dello scorso 6 dicembre.
Va rilevato da un recente studio del Censis che in Italia le morti sul lavoro sono il doppio degli omicidi, e rappresentano il triste e vergognoso primato per l’Europa con quattro morti al giorno. Siamo da questo punto di vista un Paese incivile, dove la corsa per il profitto ad ogni costo fa stragi di vite umane. Restituire diritti al lavoro, significa restituire diritto alla vita.
Si assume il documento approvato nel CPN del 13-14 dicembre 2008
integrato dalle idee della Conferenza di Roma
Sostegno ad iniziative di carattere nazionale
Rilancio della proposta di legge popolare per una nuova scala mobile già depositata in Parlamento;
Rilancio e sostegno al comitato promotore del referendum per l’abrogazione delle leggi vergogna sulla precarietà;
Istituzione del salario sociale (1.000,00 euro per tutti/e);
Controllo pubblico sui prezzi e nuovo paniere;
Tassazione del 23% delle rendite e reintroduzione della tassa di successione e della tassa patrimoniale in entrambi i casi per i patrimoni al di sopra dei 500mila Euro;
Imposizione di un tetto alle retribuzioni degli alti dirigenti pubblici.
Proposte di iniziative per la città di Roma
Mantenimento delle quote pubbliche delle società municipalizzate del Comune di Roma contro il tentativo, per ora solo dichiarato, della giunta Alemanno della loro totale privatizzazione;
Reinternalizzazione di quelle attività lavorative, che oggi sono per la maggior parte a carico di cooperative sociali e non, che finiscono per peggiorare le condizioni di lavoro dei soci/dipendenti ed il servizio offerto alla collettività;
Per uscire dalla crisi valorizzare i trasporti pubblici (manutenzione, nuove vetture ecologiche e seria alternativa del traffico su rotaia rispetto a quello su gomma), rilanciare la ricerca e mettere in manutenzione nel rispetto della sicurezza le scuole pubbliche.
Aprire una relazione con alcune catene di supermercati per ottenere costi ridotti della merce in prossimità di scadenza, e quindi destinata esclusivamente al macero, in prossimità degli orari di chiusura, valorizzando un progetto comune che potrà essere costruito con i cittadini e le cittadine coinvolgendo anche Associazioni nei territori (dei consumatori e non) altrettanto interessate al progetto;
Sostegno al reddito per tutti/e coinvolgendo le istituzioni per accordi su riduzioni di bollette e tariffe mense scolastiche per coloro che, in situazione di crisi, perdono il lavoro e lo stipendio (intero o in parte);
Promozione e sostegno al referendum in tutti i luoghi di lavoro per respingere l’accordo separato.
Federazione di Roma e crisi occupazionali: mappatura attraverso sportelli dedicati nei circoli territoriali e informazioni dirette dai circoli dei luoghi di lavoro (come in allegato) per favorire e sostenere le vertenze.
RIFLESSIONI FINALI
In Italia, come nel mondo, negli anni ottanta sono stati introdotti forti criteri neo-liberisti nella economia; si è così iniziato un processo di smantellamento dello stato sociale e di sostituzione della stagione dell’intervento dello Stato nella economia nazionale, all’epoca caratterizzato da una discreta regolamentazione del mercato, con la stagione nefasta della deregulation e delle privatizzazioni (adesso non solo noi chiediamo la ri-pubblicizzazione delle aziende strategiche per il bene collettivo), per giungere al prevalere dello sviluppo incontrollato dei mercati finanziari ed allo strapotere delle Banche. Oggi, mentre sembrava completarsi lo sviluppo del Mercato Unico Mondiale, ci troviamo in piena crisi di sovrapproduzione di merci invendute e di fronte all’affermazione del primato del profitto ad ogni costo rispetto alla soddisfazione dei bisogni ed alla valorizzazione del bene pubblico. Neanche lo sviluppo della new-economy degli anni ottanta – telecomunicazioni, informatica ed internet- è riuscito ad evitare la crisi, ma l’ha solo ritardata.
Nelle contraddizioni di questo modello economico, che pure non riesce ad affermarsi come unico, in conseguenza della concorrenza sfrenata tra le potenze del capitale internazionale, ecco allora la necessità di rilanciare “il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti e una nuova Storia Universale”, come ci insegna Marx, che torni ad emancipare tutti gli uomini e tutte le donne, che li liberi dallo sfruttamento in ogni angolo del mondo, per un nuovo internazionalismo solidale che non può essere assolutamente rappresentato dal Mercato Mondiale.
E’ immorale condividere la miseria e la povertà, è invece necessaria ed irrinunciabile l’esigenza di comunismo come “fondamento materiale di una nuova forma di produzione”; per rompere con gli schemi capitalistici va alzato il livello del conflitto, questa è una fase in cui senza la lotta non ci sono programmi e progetti economici che tengano.
E’ ambizioso provarci senza arrendersi, è sfidante crederci in un momento così difficile, è impensabile che tutto questo possa avvenire senza i comunisti e le comuniste della Federazione di Roma del PRC.
Federazione di Roma del PRC
Dipartimento Lavoro