Confederazione del sindacato di base, ora si fa sul serio

«Si è chiusa la fase della discussione, inizia quella della costruzione». Il soggetto è la «confederazione del sindacato di base», prodotto ed evoluzione di oltre trenta anni di prassi rivendicative «dal basso», fuori dalla logica della «concertazione». Quella di ieri, nella sala dei Frentani, non è stata un’assemblea tra le tante, ma l’atto di nascita di un nuovo soggetto sindacale. «Tutto da costruire», ma che intanto si lascia alle spalle «la vocazione autoreferenziale», propria di una fase in cui – nel bene e nel male – la rappresentanza generale dei lavoratori era assorbita pressoché in toto dalla «triplice» (Cgil, Cisl e Uil), mentre quelle categorie che dovevano pagare un prezzo più alto alle «liberalizzazioni» o alle privatizzazioni erano quasi obbligate a rivolgersi fuori da quel recinto: e quindi o ai sindacatini corporativi oppure agli organismi «di base».

Quel tempo «è finito», spiegano Paolo Leonardi (RdB-Cub) e Fabrizio Tomaselli (Sdl). Ora c’è un governo e una classe imprenditoriale che hanno decretato «lamorte della concertazione »; e pretendono (il ministro Sacconi dixit) «rapporti complici » con chi di mestiere fa il sindacalista. Un cambio di marcia, viene notato, che sta creando non pochi problemi di visione e di strategia anche all’interno della Cgil. Per questo il «soggetto sindacale unitario in costruzione non è interpretabile come una semplice sommatoria di sigle», macome «un salto di maturità ». Non si tratta infatti più di «dar voce agli scontenti»,ma di «interagire con i bisogni di milioni di lavoratori».

Il «colpo di reni» non viene immaginato come un facile atto di volontà. «Si torna ai fondamentali del fare sindacato; conflittuale, di massa, democratico, indipendente», capace quindi di «esser presente in azienda e nel territorio, ma anche di offrire servizi al di fuori delle esigenze strettamente legate al lavoro».
Qui viene vissuta con un certo fastidio l’immagine costruita addosso al sindacalismo di base, che li descrive come dei patiti della «conflittualità fine a se stessa». «Abbiamo firmato migliaia di contratti e di accordi, nel pubblico impiego, in Alitalia, alla Rai, in centinaia di aziende grandi e piccole, a cominciare dal trasporto pubblico locale». Certo, «non stiamo lì con la penna in mano a dir di sì a qualsiasi cosa la controparte pretenda».

Il baricentro dell’azione sindacale, da queste parti, è solo «l’interesse dei lavoratori, che si devono poter esprimere liberamente su tutto ciò che li riguarda, per condizioni di lavoro o salario».
Un sindacato che sarà una «confederazione», articolata in due macro-aree (pubblico e privato), in categorie e territori.
Perché «i lavoratori non sono più quelli degli anni ’70»,ma soprattutto perché «la precarietà è ormai una condizione generale, sul luogo di lavoro e fuori». Star chiusi dentro le vecchie trincee, insomma, significherebbe sconfitta certa.

Qui, invece, si vuol «battere la rassegnazione». Alla fine, un rapido panino e poi di corsa al corteo dei precari della scuola.