Se risulteranno confermate le indiscrezioni della vigilia, sarà una Condoleezza per nulla dolce quella che sbarcherà oggi a Berlino prima di recarsi a Bucarest, a Kiev e a Bruxelles. Alle convergenti indicazioni sull’esistenza di carceri e voli segreti della Cia in Europa, il segretario di Stato americano intenderebbe rispondere non con una smentita, bensì con un pressante invito alla collaborazione alleata contro il terrorismo. Invece di scandalizzarvi e di protestare, reciterebbe il monito della Rice rivolto agli europei, dovreste rendervi conto che siamo sulla stessa barca e lasciarci lavorare. Tanto più che gli Usa – così si è espresso ieri il Consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley – «non trasportano in giro per il mondo sospettati di terrorismo per poterli torturare».
Se sarà davvero questa la riposta di Washington alle preoccupazioni espresse dalla presidenza britannica della Ue e dal commissario competente Franco Frattini (un documento formale degli Usa è atteso oggi), aspettiamoci che portavoce e cerimonieri sudino sette camicie per nascondere lo sconcerto di almeno alcuni dei governi europei. L’intera questione è ancora avvolta nelle cortine fumogene tipiche delle operazioni di intelligence, e nessun Paese dell’Unione o in procinto di entrarvi, men che meno la Germania della signora Merkel, desidera in questo momento aprire un nuovo fronte di contrasti transatlantici. È probabile piuttosto che durante il viaggio di Condi Rice eventuali rampogne e richieste di chiarimento restino dietro le quinte, e che al loro posto emerga trionfante la conferma del fronte comune contro il terrorismo.
Ma se misteri non chiariti e paraventi diplomatici inducono a una doverosa cautela, va detto sin d’ora che l’approccio attribuito al Segretario di Stato dal Washington Post solleva più di una perplessità.
Da quando l’organizzazione per la difesa dei diritti civili Human Rights Watch ha puntato il dito contro Romania e Polonia sostenendo che in quei Paesi vecchie installazioni del Patto di Varsavia sono state trasformate dalla Cia in centri di detenzione segreti per sospetti terroristi catturati in Afghanistan, una ridda di notizie difficilmente verificabili ha investito l’Europa. Dalla conferma della pratica delle extraordinary renditions (arresti sbrigativi di individui sospettati di terrorismo) si è passati alla ricerca dei voli fantasma che avrebbero fatto tappa in diversi Paesi europei per portare a destinazione (lasciandoli fuori dalla giurisdizione statunitense) i prigionieri clandestini. Tracce di atterraggi e decolli sono state trovate in Spagna, in Germania, in Gran Bretagna e, come hanno rivelato ieri Paolo Biondani e Guido Olimpio sul Corriere, in Italia. Nella stessa Italia dove l’imam Abu Omar, secondo i giudici milanesi, fu rapito da uomini della Cia e poi trasportato in Egitto dove subì interrogatori e torture.
Diventano ineludibili, allora, alcuni interrogativi. Le operazioni come quella di Abu Omar, i transiti di aerei carcerari, l’esistenza di centri di detenzione segreti e privi delle più elementari garanzie previste dai nostri ordinamenti, erano o non erano a conoscenza del nostro e di altri governi europei? Se Condoleezza Rice riterrà di poter mettere in riga gli alleati, vorrà forse dire che costoro non hanno il diritto di protestare perché erano stati messi al corrente? E quale seguito intende dare il commissario Franco Frattini al suo esplicito avvertimento secondo cui l’Ue avrebbe adottato provvedimenti contro chiunque in Europa avesse ospitato campi di detenzione clandestina?
Poi c’è Condoleezza, e dietro di lei George Bush. La collaborazione nella lotta al terrorismo è senza alcun dubbio un bene comune. Ma le renditions , in terre europee o in Paesi arabi amici, sono la negazione dei nostri valori che dovrebbero essere anch’essi comuni. Da Guantànamo alla lunga battaglia in Senato per vietare la tortura, l’Europa che vuole essere alleata dell’America può e deve trovare più di un legittimo motivo per inquietarsi senza per questo essere richiamata all’ordine o tacitamente accusata di debolezza. E tanto più colpevoli risulterebbero i nostri governi se avessero chiuso entrambi gli occhi davanti all’ennesimo unilateralismo dell’America in guerra: quello delle catene.