Condi Rice «rasserena» e «soddisfa» gli europei

«Soddisfatti» anche se non ci sono novità, ai ministri degli esteri della Nato basta poco, anzi pochissimo, per convincersi che gli Stati uniti non compiono abusi sul suolo europeo, in concreto che non trasportano prigionieri da torturare negli aerei affittati dalla Cia. Dei campi di prigionia segreti non s’è invece nemmeno parlato ieri al quartier generale dell’Alleanza. Per far tornare il sole tra le due rive dell’Atlantico basta così la visita di Condoleezza Rice. Con la sua austera presenza anche il combattivo olandese Bernard Bot, quello che più di tutti ha voluto la lettera di chiarimenti dei 25, diventa un agnellino e si dice «molto soddisfatto» delle spiegazioni ascoltate. Tutti contenti anche se non hanno udito «informazioni nuove», come riconosce il belga Karel De Gucht. Una soddisfazione francamente difficile da comprendere, ma che forse si spiega con le indiscrezioni pubblicate dal Washington Post giusto alla vigilia della tournée europea della Rice. Per esempio, secondo il quotidiano statunitense, Berlusconi sapeva ed era d’accordo con il rapimento di Abou Omar, mentre il vecchio ministro degli interni tedesco Otto Schily sapeva del sequestro del suo concittadino di origine libanese Khaled Al-Masri. I due hanno prontamente negato la loro implicazione nelle vicende, ma il messaggio intimidatorio intanto è arrivato chiaro e forte in Europa.

Con gran parte del lavoro già fatto, la Segretario di stato si è limitata a ripetere gli stessi quattro concetti già espressi a Berlino, Bucarest e Kiev. Si parte dalla difesa d’ufficio, «non abbiamo usato aeroporti e nemmeno lo spazio aereo di altri paesi per trasferire detenuti in posti dove crediamo che possano essere torturati», si passa a quella di principio, gli Stati uniti «non ammettono e non praticano la tortura», e si continua rassicurando tutti sulle devianze: qualora vengano scoperti degli abusi, allora «verranno puniti». Infine il richiamo al principio supremo, la determinazione assoluta nella lotta contro il terrorismo: «abbiamo l’obbligo in questi tempi difficili di proteggere i nostri cittadini». Nulla di nuovo, appunto, ma basta questo per celebrare: «Rice ha rasserenato l’ambiente», assicura Jaap De Hoop Scheffer, Segretario generale dell’Alleanza. Il francese Philippe Douste-Blazy afferma di «aver ricevuto garanzie» sul rispetto della sovranità dei paesi del vecchio continente, mentre il sottosegretario spagnolo agli esteri Bernardino Leon riconosce che la Rice «ha chiarito con forza che non è stata utilizzata la tortura e che la legislazione internazionale si applica negli Stati uniti e nel resto della comunità internazionale». Evidentemente non è questa l’occasione per ricordarsi di Guantanamo.

Se ne ricordano invece i giudici della Law Lords, la massima istanza giuridica britannica paragonabile alla nostra Corte costituzionale, che sempre ieri hanno dichiarato all’unanimità che le informazioni ottenute utilizzando la tortura non possono essere utilizzate nei processi per terrorismo nel Regno Unito. «La tortura non si può giustificare in nessun caso», ha affermato uno dei giudici. In pratica un colpo a Tony Blair, che ha puntato tutto sul suo discusso progetto anti-terrorismo lanciato all’indomani degli attentati del 7 luglio. «E’ un gran giorno – afferma Shami Chakrabarti, direttrice di Liberty, l’Ong sui diritti civili più importante della Gran Bretagna – la sentenza dei Lord invia un chiaro messaggio al mondo democratico: la tortura non è negoziabile». La sentenza di ieri modifica una decisione della Special Immigration Appeals Commission, in pratica il Tribunale d’appello, che nell’agosto del 2004 affermava che le prove estorte con la tortura erano valide se erano ottenute da altri paesi e senza la presenza di agenti britannici. In concreto, la decisione stabiliva che tribunali segreti, incaricati di casi di terrorismo, potrebbero esaminare prove ottenute sotto tortura che non sarebbero ammissibili in un normale tribunale penale. La sentenza fu immediatamente denunciata da un gruppo di Ong e da otto dei dieci presunti terroristi arrestati nel 2001 grazie ad informazioni estorte con la forza. I dieci sono ancora tutti in attesa di giudizio, mentre una parte di loro dovrebbe ancora trovarsi nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, nei pressi di Londra.

La sentenza di ieri obbliga il ministro degli interni Charles Clarke a rivedere tutti i casi in cui le prove potrebbero essere state raccolte con la violenza. Il diretto interessato ha reagito senza scomporsi troppo. Da un lato ha affermato di accettare la sentenza, dall’altro che questa non diminuirà gli sforzi del governo contro il terrorismo e soprattutto che i Lord devono ora chiarire in maniera chiara ciò che è ammissibile e ciò che non è.