Condanne pesanti quelle inflitte giovedì notte dal tribunale di Brescia per il fallimento Italcase-Bagaglino. Grazie all’indulto in galera per ora non andrà nessuno, ma sul mondo bancario è caduta una nuova tegola: come sanzione accessoria Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, e Divo Gronchi, a.d. della Banca popolare italiana, sono stati inibiti dall’esercitare uffici direttivi presso qualunque impresa per due anni. Ovviamente la pena è sospesa perché la sentenza non è passata in giudicato. Però visto che la condanna – pari a 1 anno e 8 mesi – è superiore a un anno è scattato quanto previsto dall’articolo 6 del decreto ministeriale del marzo 1998: la sospensione dalle cariche bancarie perché mancano i requisiti di onorabilità.
Il consiglio di amministrazione di Capitalia è convocato per lunedì: prenderà atto della sentenza del tribunale, ma al tempo stesso convocherà una assemblea dei soci per decidere o la sostituzione di Geronzi alla presidenza di Capitalia o la sua conferma. L’assemblea si terrà il 18 gennaio, ma è sicuro che i soci confermeranno la fiducia al loro presidente che sarà così reintegrato nella pienezza delle proprie funzioni. Anche Divo Granchi è stato sospeso dalla carica di amministratore delegato della Banca Popolare italiana, ma sicuramente anche lui sarà reintegrato nella carica dall’assemblea della sua banca.
La sospensione di Geronzi dalla carica potrebbe riaprire i giochi per possibili alleanze della banca romana che è terzo istituto di credito italiano. Questo è quello che sembra credere il mercato. Tant’è che ieri mattina a Piazzaffari (la borsa italiana lavorava nonostante la giornata festiva) i titoli Capitalia sono schizzati in alto sulla spinta di movimenti speculativi con un rialzo che ha superato anche il 2%. Lo stesso era accaduto a fine febbraio, quando Geronzi era stato sospeso per due mesi dalle cariche (anche quella di vice-presidente di Mediobanca) a seguito delle accuse del Gip di Parma per il crack Parmalat.
Con una nota diffusa ieri mattina, i legali di Geronzi Calvi e Vassalli contestano la decisione del tribunale di Brescia. Parlano di «ingiustificata aggressività» e ricordando che Geronzi «è stato assolto dalla imputazione principale di concorso in bancarotta preferenziale per non aver commesso il fatto ed è stato invece ritenuto responsabile del reato di concorso in bancarotta semplice, accusa da respingere con fermezza». I legali spiegano che «benché la pena principale e le pene accessorie non producano effetto in quanto sospese, occorre rilevare che l’accusa è fondata sulla sola partecipazione ad un unico Comitato esecutivo che non decise nulla, ma fu semplicemente informato di un fido deliberato e concesso dal Comitato Fidi». Insomma, solo una riunione con una informativa su una operazione già conclusa che non giustifica neppure il concorso in bancarotta semplice.
Oltre a Geronzi e Gronchi (condannato in quanto ex consigliere della Banca agricola mantovana, controllata dal Monte dei Paschi di Siena), la sentenza del tribunale prevede condanne pesanti (13 anni) per Mario Bertelli, azionista di riferimento del gruppo Italcase; per l’ex vice presidente di Unipol Ivano Sacchetti (un anno e otto mesi) per Roberto Colaninno (4 anni e 1 mese, più 5 anni di interdizione dai pubblici uffici) all’epoca ex consigliere non esecutivo della Banca agricola mantovana.
Nel lungo elenco dei condannati compaiono anche Pierluigi Fabrizi, ex direttore generale del Monte dei Paschi, l’industriale Steno Marcegaglia e il finanziere Ettore Lonati. Tutti questi personaggi sono stati condannati (Colaninno, Marcegaglia e Lonati per bancarotta preferenziale) in quanto componenti dei consigli di amministrazione di tre banche coinvolte in finanziamenti al gruppo Italcase. In totale per il crack sono state condannate 63 persone ed è anche stata accolta la proposta avanzata da Carlo Catenaccio, curatore fallimentare di un risarcimento di 250 milioni di euro dei quali 60 milioni di provvisionale.
Il crack di Italcase è, infatti, di dimensioni enormi: circa 600 milioni di euro nel 2000 e nasce da speculazioni nel settore turistico (soprattutto in Sardegna) nascoste e ingigantite da emissione di false fatture, evasione fiscale e falso in bilancio. L’accusa per le quale sono stati condannati i banchieri è quella di aver saputo delle condizioni disastrose di Italcase, ma di aver seguitato a concedere prestiti. Molti dei quali ipotecari. I soldi però erano trattenuti direttamente dalle banche a copertura di precedenti prestiti. Di qui nasce la condanna per bancarotta preferenziale.