Con l’avvento di Fiorani la Bpl è diventata la seconda banca dell’isola

Riciclaggio, massoneria, mafia. Sono alcuni degli “ingredienti”, finora rimasti sullo sfondo, che da qui a breve potrebbero entrare a
pieno titolo nella vicenda giudiziaria che nei giorni scorsi ha portato all’arresto dell’amministratore delegato della Banca popolare di
Lodi, Gian Piero Fiorani e al coinvolgimento di qualche esponente politico dal passato non molto trasparente. Ma procediamo con ordine.
Con l’avvento di Fiorani ai vertici della Banca popolare di Lodi, avvenuto intorno ai primi anni novanta, il piccolo istituto di credito lombardo è riuscito a collocarsi, nel giro di poco meno di un decennio, tra le dieci più importanti banche del Paese.
Ciò è stato reso possibile in virtù di alcune spregiudicate operazioni finanziarie, che hanno consentito al banchiere lodigiano di incorporare una serie di istituti di credito italiani e non. Tant’è che in Sicilia, ad esempio, la Popolare di Lodi risulta essere attualmente la seconda banca dell’isola, dopo aver proceduto all’acquisizione in quella regione di ben cinque istituti di credito. Oltre a questi ultimi, sono stati attratti nell’orbita della Popolare di Lodi anche l’Istituto centrale delle casse di risparmio, il Banco di Chiavari, la Popolare di Crema, il Credieuronord (la banca della Lega Nord con un passivo da capogiro), la Banca Rasini, la Efibanca e la BankAdamas di Zurigo. Ma è su questi tre ultimi istituti di credito che vale la pena soffermarsi. La banca Rasini, incorporata dalla Popolare di Lodi nel 1992, è l’istituto di credito in cui sono transitati buona parte dei capitali che sono all’origine delle “fortune” di Silvio Berlusconi. Nel luglio del 1998, gli investigatori della Direzione investigativa antimafia avevano sequestrato nella banca lodigiana la documentazione contabile relativa alle 38 holding che costituiscono il consolidato Fininvest. Il sequestro era stato disposto dalla Procura di Palermo nell’ambito dell’indagine contro il parlamentare Marcello Dell’Utri (Fi), all’epoca sotto inchiesta per riciclaggio in concorso con i boss Stefano Bontade e Mimmo Teresi. Attraverso il sequestro degli atti delle 38 società, i magistrati intendevano accertare se capitali mafiosi fossero finiti, tramite Dell’Utri, nelle holding di Berlusconi. La banca Rasini, inoltre, era stata indicata dalla procura di Milano come crocevia degli interessi di Cosa nostra negli anni Sessanta e Settanta. Tant’è che nel corso dell’operazione denominata “San Valentino” del 14 febbraio 1983 venne arrestato con l’accusa di riciclaggio di denaro sporco, insieme a due boss di Cosa nostra, anche l’allora direttore
generale del piccolo istituto di credito, Antonio Vecchione, il quale era subentrato alla fine degli anni Settanta a Luigi Berlusconi, padre dell’attuale presidente del Consiglio. Nel 1985, poi, la banca Rasini era stata acquistata dall’ex re della chimica, Nino Rovelli, il quale all’epoca era già stato esautorato dalla guida della Società italiana resine (Sir) e, quindi, non in condizione di sborsare i 40 miliardi di lire necessari ad acquisire l’istituto di credito. Chi abbia fornito a Rovelli i capitali per l’acquisto della banca non è dato sapere. Di certo si sa che successivamente fu l’avvocato Cesare Previti, attraverso una azione legale contro l’Istituto mobiliare italiano (Imi), a far recuperare a Rovelli circa 1.000 miliardi di lire a titolo di risarcimento dei presunti danni subiti in seguito alla liquidazione della Sir. Dagli atti del processo milanese “toghe sporche”, poi, risulta che Cesare Previti avrebbe utilizzato fondi a disposizione di Berlusconi presso Efibanca,
altro istituto di credito incorporato dalla Popolare di Lodi, per corrompere i giudici romani.
La banca lodigiana, inoltre, aveva acquisito nel novembre del 1998 la BankAdamas di Zurigo, nata dalle ceneri dell’Albis Bank, un istituto di credito finito sotto inchiesta per riciclaggio di denaro sporco. In seguito, è risultato che dalla BankAdamas erano transitati parte
dei fondi del cosiddetto “Russiagate”, un giro di mazzette miliardarie su una serie di appalti per la realizzazione di grandi opere pubbliche
a Mosca. Dall’inchiesta che vede coinvolto Gian Piero Fiorani, infine, è emerso fra gli altri il nome di uno stretto collaboratore di Silvio Berlusconi: il senatore Romano Cominciali (Fi). Eletto nel collegio di Lodi, Comincioli avrebbe ricevuto dalla banca lodigiana un fido di 150 mila euro. All’inizio degli anni Ottanta, il senatore azzurro era stato inquisito dalla magistratura romana, insieme al faccendiere, Flavio Carboni, al boss della banda della Magliana, Ernesto Diotallevi, e al cassiere di Cosa nostra, Pippo Calò, nell’ambito dell’inchiesta
su un giro di tangenti miliardarie per la costruzione del complesso residenziale Olbia 2 che interessava l’attuale presidente del Consiglio.
Il nome di Comincioli figura, inoltre, negli atti della Commissione parlamentare sulla P2 e in quelli del processo per il crac del Banco Ambrosiano. Insomma, la vicenda che ruota intorno alla Popolare di Lodi potrebbe avere sviluppi davvero imprevedibili. Nell’aria sembrano aleggiare i fantasmi di Michele Sindona e Roberto Calvi.