Il presidente dell’Assemblea generale dell’Onu Miguel d’Escoto Brockmann ha invitato, lo scorso 24 novembre la comunità internazionale ad alzare la voce contro la punizione di massa della popolazione di Gaza: «Una politica che non possiamo più tollerare. Esigiamo la fine della violazione di massa dei diritti dell’uomo e facciamo appello ad Israele, la potenza occupante, affinché lasci entrare gli aiuti umanitari nella Striscia. Questa mattina ho parlato dell’apartheid e di come il comportamento della polizia israeliana nei Territori palestinesi occupati, sembri così simile a quello dell’apartheid, ad un’epoca passata, ad un continente lontano». Neanche un mese dopo Israele intraprende un’azione di guerra con bombardamenti a tappeto della città di Gaza, colpendo luoghi ed edifici civili come ospedali, moschee, l’università e causando una vera e propria carneficina. Sulla tragedia umanitaria del bombardamento di Gaza si è già scritto tanto. E la cronaca di guerra rischia purtroppo di raccontare l’escalation di una operazione di terra, con l’invio di truppe equipaggiate della più moderna tecnologia militare.
Tutto questo ci pone di fronte all’esigenza di rilanciare un forte movimento di solidarietà col popolo palestinese e di un forte movimento contro la guerra.
1. Il dramma di questi giorni ha radici profonde. Il conflitto non nasce come “risposta” al lancio dei missili da parte di Hamas, ma come tappa di un progetto iscritto nel piano per un nuovo Medio Oriente, voluto da Bush e dai governi sinora succedutisi in Israele. Non sappiamo se Obama accantonerà l'”American Project in the Middle Est”, quel che è certo è che quanto viviamo in questi giorni è la diretta conseguenza di quella politica, di un’occupazione oppressiva che dura ormai da 41 anni, dal blocco asfissiante di Gaza, dalla colonizzazione della Cisgiordania, dalla costruzione del/i muro/i. Non ci troviamo soltanto in presenza di un problema umanitario, ma anche di un problema politico. Per questo il nostro sforzo, nelle mobilitazioni di questi giorni, deve essere teso alla costruzione di un forte movimento che, come è stato durante la guerra all’Iraq, lavori per ristabilire la verità dei fatti smascherando le menzogne di guerra.
2. La responsabilità dei governi occidentali è enorme. Dopo la vittoria di Hamas alle elezioni, si è tentato con tutti i mezzi di mettere sotto embargo politico (e non solo) la Palestina. Si sono bloccati i fondi, non riconosciuti i rappresentanti legittimamente eletti, alimentando ed acuendo ad arte le divergenze in seno alla stessa società palestinese. Le dichiarazioni del vice premier israeliano Haim Ramon («il fine delle operazioni è far cadere Hamas…impediremo ad Hamas di controllare quel territorio») sono esplicite: non riconoscere i rappresentati scelti dal popolo di Gaza per le negoziazioni. Anche il governo italiano è complice dell’assedio del popolo palestinese e del tentativo di imporgli una soluzione unilaterale, in virtù della sua posizione di formale equidistanza ma di sostanziale appoggio alle scelte di Israele. Prova ne è l’accettazione del paradigma di “lotta al terrorismo” e del silenzio sulla violazione da parte di Israele della tregua che prevedeva, tra le altre cose, valichi praticabili con le frontiere e l’arrivo di generi di prima necessità a Gaza.
3. Il diritto Internazionale viene cancellato. La non applicazione sistematica delle risoluzioni Onu sulla vicenda palestinese e l’impotenza della comunità internazionale di fronte al possesso (senza alcuna possibilità di controllo da parte di alcun ente) di armi di distruzione di massa da parte dello Sato d’Israele, rendono tutti i richiami alla legalità ed al diritto internazionale afoni. Questa ennesima carneficina, pianificata da tempo, è un crimine di guerra. Eppure nessuna corte internazionale formula capi d’accusa contro i ministri responsabili di un’operazione che essi stessi hanno voluto denominare, molto emblematicamente, “piombo fuso”.
Non dimentichiamo lo straordinario messaggio che solo alcuni anni fa il movimento contro la guerra ci ha dato: si può fare! La presa di coscienza da parte di milioni di uomini e donne in tutto il mondo può costringere anche i nostri governi ad agire in funzione della pace, a scegliere il rispetto del diritto internazionale. A poco servono le “critiche moralizzanti” nei confronti di Israele: c’è bisogno di una diplomazia di pace, di negoziati che partano dal riconoscimento dei negozianti e, soprattutto, dalla fine del genocidio sulla città di Gaza e in tutto il territorio palestinese. Già tanti circoli di Rifondazione Comunista si sono spesi nell’organizzazione, in questi giorni, di mobilitazioni a sostegno della pace e in solidarietà col popolo palestinese. Dobbiamo dar seguito a tutto questo con un lavoro che guardi a tutte le forze della sinistra, all’associazionismo, ai sindacati e a quanti, come noi, hanno a cuore le ragioni della pace e la fine delle operazioni militari israeliane. Anche per questo diventa essenziale ripartire da una grande manifestazione nazionale. E l’aiuto e l’impegno che tutte e tutti insieme sapremo dare, ciascuno dal suo territorio e dalla sua esperienza, sarà essenziale.
*Responsabile nazionale Dipartimento Solidarietà Internazionale Prc