Comunisti nel mondo anche nel 21° secolo?

1) Fin dalle sue origini, fin dal Manifesto di Marx ed Engels (1848), il movimento comunista – al di là delle sue crisi, divisioni, mutazioni – ha sempre percepito se stesso come una entità che non poteva esistere senza una sua proiezione internazionale. E’ evidente che fino a quando esisteranno Stati e nazioni, “il punto di partenza è sempre nazionale” (Gramsci) e centrale rimane anche oggi, nell’organizzazione della lotta, il radicamento nazionale di ogni partito o movimento. Ma – tanto più oggi, nell’epoca della “mondializzazione” – nessun movimento comunista e rivoluzionario, nessun processo di riorganizzazione dei partiti nazionali è pensabile durevolmente e credibilmente senza una sua proiezione internazionale. Ciò vale del resto non solo per i comunisti, ma anche per il movimento di ispirazione socialdemocratica e riformista, che non a caso vede oggi una sua proiezione nell’Internazionale socialista e nel dibattito che l’attraversa.
Perché se noi giungessimo alla conclusione (a cui sono pervenuti, soprattutto dopo il crollo dell’Urss, taluni esponenti anche italiani che pure continuano a considerarsi soggettivamente “comunisti”) che il movimento comunista è finito – finito sia come nozione strategica storicamente attuale, sia come obiettivo possibile di ricostruzione – la stessa idea della rifondazione di un partito comunista in Italia apparirebbe priva di significato e di prospettiva, meramente propagandistica e residuale, volta unicamente ad utilizzare nomi e simboli “comunisti” per tenere insieme, per una certa fase, un’area di militanti e di elettori ad essi ancora affezionati, nell’attesa di riconvertire quelle forze in una nuova formazione politica, in una “nuova sinistra” di alternativa in cui i comunisti rappresentino, al più, una “corrente culturale”, come nella Linke tedesca.

Sarebbe certo sbagliato e settario sottovalutare il successo politico-elettorale della Linke, per tutta l’Europa progressista, ma bisogna anche dire correttamente che esso è altra cosa da una risoluzione della “questione comunista”, in Germania e nel contesto europeo. Ciò era del resto molto chiaro fin dall’inizio ai dirigenti della PDS tedesca (cofondatrice della Linke assieme ad una frazione socialdemocratica di sinistra staccatasi dalla SPD): proprio Gregor Gisy mi disse esplicitamente, in un incontro nei primi anni ’90, che la PDS tedesca non si proponeva alcuna “rifondazione comunista” e che considerava storicamente superata l’esperienza del movimento comunista. E questa è certamente l’opinione anche del leader tedesco-occidentale della Linke, il socialdemocratico Oskar Lafontaine. Non è dunque un caso che tali formazioni di “nuova sinistra” (come appunto la Linke tedesca, il Synaspismos greco, il Bloque de Esquerda portoghese, il Partito della Sinistra svedese…) ricerchino – in Europa e nel mondo – nuovi riferimenti ed aggregazioni internazionali, sostitutive di quelle che vanno processualmente riorganizzandosi attorno agli incontri internazionali dei Partiti comunisti e operai e alle loro strutture di lavoro e di coordinamento, da oltre un decennio. A cui tali formazioni di “nuova sinistra” hanno scelto di non partecipare. Mentre alcuni partiti (come Rifondazione…) restano oggi in mezzo al guado e saranno prima o poi costretti a sciogliere una serie di nodi irrisolti per quanto attiene alla loro identità e collocazione internazionale.
Queste sono del resto le ragioni di fondo che hanno condotto alla formazione del Partito della Sinistra Europea (SE). E va dato atto a Fausto Bertinotti di essere stato non solo il più coerente e determinato ideatore e costruttore di tale impresa, ma di averla connessa e fatta derivare da quella che egli considerava da lungo tempo, prima ancora del suo ingresso in Rifondazione, come la fine del movimento comunista del ‘900, di matrice leninista, e la non credibilità di una sua possibile riorganizzazione, per quanto rinnovata, nel 21° secolo. La tesi non è nuova: essa fu fatta propria ad esempio, verso la fine degli anni ’80, da Santiago Carrillo, che da essa fece derivare il suo approdo alla socialdemocrazia spagnola. Ed essa sopravvive in larghi settori dell’attuale gruppo dirigente di Rifondazione, anche dopo il Congresso di Chianciano, e si ripropone in talune interpretazioni della Federazione della sinistra alternativa, quando essa viene intesa come alternativa e contrapposta ad un processo di ricostruzione unitaria e autonoma dei comunisti in un solo partito.

Quando si definisce come “liquidatoria” tale impostazione, non si attribuisce al termine alcun intento offensivo, ma la si considera anzi del tutto coerente con le sue dichiarate premesse. Tanto più oggi, quando appare a tutti più chiaro che un altro esponente della sinistra italiana e del vecchio PCI, Armando Cossutta, approda (sia pure con una differente cultura politica) ad analoghe conclusioni liquidatorie; ma, diversamente dalle impostazioni di derivazione “ingraiana” (ultima quella che si ritrova nel libro di Lucio Magri, di recentissima edizione) vi approda dopo un percorso di anni, forse decenni, disseminato di “doppiezze” e ambiguità, che per molto tempo hanno fatto sì che migliaia di militanti comunisti in buona fede vedessero in Cossutta, anche nel momento tragico della scissione di Rifondazione, il portatore di un progetto strategico di riorganizzazione in Italia di un nuovo partito comunista, rivoluzionario, di ispirazione gramsciana e leninista.

2) Il movimento comunista che viene investito dal crollo dell’Urss attraversa ormai da tempo una crisi profonda e divisioni di portata planetaria (si pensi a quella tra comunisti sovietici e cinesi). Non è mia intenzione addentrarmi qui in una analisi storica della evoluzione del movimento comunista dagli anni dell’internazionale di Lenin, alla fase successiva caratterizzata dalla direzione staliniana e dal ruolo guida dell’Urss e del Pcus, al successivo scioglimento del Comintern, alla temporanea ricostituzione del Cominform, alla rottura tra Stalin e Tito, fino alla ben più grave rottura, consumatasi negli anni ’60, tra il Partito comunista cinese e il PCUS, e quindi tra le due maggiori potenze socialiste (evento che, visto col senno di poi, ha certamente condizionato pesantemente la crisi del campo socialista e le sorti del socialismo nel secolo scorso). Sta di fatto che il crollo dell’Urss e la dissoluzione del PCUS fanno precipitare una situazione che, agli inizi degli anni ’90, si presenta assai incerta in relazione al futuro del movimento comunista. Il disorientamento è grande e investe, con forme e modalità diverse, i comunisti del mondo intero.

Vi era stato, per la verità, in occasione del 70° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre (1987) la scelta del PCUS (siamo ancora nella prima fase della perestrojka) di convocare a Mosca un incontro internazionale dei partiti comunisti di ogni continente. La Cina resta assente, ma si avverte che un processo di normalizzazione delle relazioni è in corso, dietro le quinte. Si avverte un intento ricompositivo, volto a riaprire un confronto più aperto e più libero tra i partiti comunisti, senza talune precedenti rigidità o pretese di allineamento alle posizioni di Mosca. All’incontro, segnato da insolità vivacità, partecipano oltre un centinaio di partiti comunisti, per lo più rappresentati dai loro leader. L’incontro non prevede alcuna conclusione operativa od organizzativa, ma il suo impatto politico è forte: il clima che si respira è quello delle grandi occasioni, non quello degli scontati e stanchi rituali.

Tutto ciò avviene contestualmente all’avvio di un processo di normalizzazione delle relazioni tra Russia e Cina e tra i due partiti comunisti, che per la verità aveva visto i primi segni già con la dinamica, ma purtroppo breve direzione di Andropov. Risale al 1989 l’incontro ufficiale a Pechino tra Gorbaciov e Deng Xiaoping, evidentemente preceduto da anni di paziente tessitura.
Ma il crollo dell’URSS manda in frantumi tutta l’impalcatura.

3) I primi anni ’90, quando nasce anche Rifondazione Comunista, sono anni di grande confusione e disorientamento nelle file del movimento comunista. Non mancano tuttavia i tentativi di riorganizzazione. E’ di questo periodo il viaggio lungimirante di Alvaro Cunhal in Asia, dove egli incontra i dirigenti dei maggiori partiti comunisti della regione (indiani, cinesi, vietnamiti, giapponesi, coreani…) e ne trae la convinzione che in quella parte del mondo – che rappresenta circa la metà della popolazione mondiale e verso cui si sta spostando rapidamente l’equilibrio economico e geo-politico del pianeta (come apparirà sempre più chiaro nel trentennio successivo) – il movimento comunista non solo non è in crisi, ma sta vivendo complessivamente una sua fase espansiva, nonostante il crollo dell’Urss e del campo socialista in Europa.

Non credo sia casuale che sia proprio il PCP di Alvaro Cunhal a farsi promotore in Europa, nei primi mesi del 1991, di un incontro a Lisbona tra i maggiori partiti comunisti europei dell’area non ex-socialista (nella quale i partiti al potere si stanno sciogliendo o sono in pieno marasma). L’incontro ha il chiaro intento di provocare non solo uno scambio di idee sulla situazione, ma anche di porre le basi di processi ricompositivi tra un nucleo di partiti comunisti europei (che negli ultimi anni si erano divisi sull’”eurocomunismo” e su altre importanti questioni strategiche e identitarie) e di porre le basi – sia pure informalmente – di alcuni elementi di coordinamento. Vengono invitati e partecipano, oltre al PCP, anche il PC greco (KKE), il PC francese (PCF), AKEL di Cipro, il PC spagnolo (PCE) e Rifondazione Comunista (appena nata come movimento, non ancora partito).

E’ significativo che a quell’incontro Rifondazione decida di partecipare solo in qualità di “osservatore”: alla partecipazione si oppongono dirigenti autorevoli come Sergio Garavini e Luciana Castellina, altri sono favorevoli. Il compromesso fa sì che, nonostante siano i responsabili esteri gli invitati all’incontro, Rifondazione decida di inviarvi solo un “osservatore”. E questo già la dice lunga sulle resistenze che fin dall’inizio (e ancora oggi) trova in Rifondazione ogni sia pur timido tentativo di riorganizzazione del movimento comunista sul piano internazionale.

Di questi incontri altri se ne svolgono nella prima metà degli anni ’90, ancora a Lisbona, ad Atene, a Madrid. Credo di poterne parlare con cognizione perchè a tutti ebbi modo di presenziare in rappresentanza del PRC, che accettò poi di parteciparvi a pieno titolo – sia pure con la riluttanza di molti e senza neppure darne notizia diffusa su Liberazione (come un peccato da tenere nascosto…) – e che furono estesi anche alla PDS tedesca. Ma in verità solo alcuni partiti credono veramente e investono su questi incontri come parte di un processo più generale di riorganizzazione del movimento comunista (e sono il PCP, il KKE e AKEL). Gli altri (il PRC, il PCE, la PDS ed anche il PCF, dove nel frattempo la direzione di Marchais è stata sostituita da Robert Hue, che promuove la “mutation”: la “mutazione” …) vi partecipano in modo sempre meno convinto e già guardano a processi non complementari, bensì alternativi di riorganizzazione della “sinistra europea”.
La divergenza che emerge sempre più chiara non è sull’esigenza di trovare forme e luoghi di organizzazione di una sinistra europea anticapitalistica, che vada al dì là dei partiti comunisti. Su ciò tutti concordano, come poi si vedrà nella costruzione del GUE-NGL (il Gruppo della Sinistra Unitaria – Sinistra Verde Nordica al Parlamento europeo). Il punto è se i partiti comunisti debbano rinunciare a momenti propri, autonomi, di confronto e iniziativa come comunisti, o se al contrario tale polarità autonoma debba essere mantenuta, come parte integrante di un processo mondiale di riorganizzazione di un nuovo movimento comunista per il 21° secolo. E’ il tema – appunto – dell’autonomia comunista, nella sua proiezione internazionale.

4)Questo processo di riorganizzazione si fonda sull’idea, largamente condivisa tra i comunisti di tutto il mondo, che la fine dell’URSS non è la fine del movimento comunista. La nozione, si dice, conserva una sua attualità, ma va riempita di contenuti nuovi, non ripetitivi di formule o esperienze passate, aperti ad una profonda riconsiderazione e attualizzazione.

Il movimento comunista ha certamente attraversato, dopo il crollo dell’URSS, la crisi più grave della sua storia; il processo di lotta politica e ideale, di divisione e ricomposizione ha attraversato la generalità dei partiti comunisti e in alcuni casi non si è concluso. Ma si può forse dire che il tentativo, messo in campo dopo il 1989 dalle forze comunque ostili alla prospettiva del socialismo, di annichilimento “finale” delle forze comuniste e rivoluzionarie nel mondo, non è passato. E che, al di là della situazione particolarmente drammatica e regressiva di alcuni paesi (tra cui l’Italia…), sul piano internazionale si intravedono significativi elementi di tenuta o di ripresa: in America Latina, in Africa, in Europa e soprattutto in Asia.

Sul piano strettamente organizzativo, sono oggi un centinaio i partiti comunisti nel mondo – grandi e piccoli – che si dichiarano esplicitamente tali, con un centinaio di milioni di militanti circa, di cui oltre 75 milioni nel solo Partito comunista cinese (e senza contare alcune decine di milioni di militanti che fanno parte delle organizzazioni giovanili comuniste o affiliate).

Tra questi partiti, i più importanti, incidono in modo significativo – al potere, al governo o all’opposizione – sulla realtà di paesi che abbracciano più della metà della popolazione del pianeta, alcuni dei quali (Cina, India, Russia, Brasile, Sudafrica, Giappone…) stanno imponendosi come Paesi chiave degli equilibri mondiali del 21° secolo.

Non vi è dunque alcuna motivazione “oggettiva” per cui la nozione di movimento comunista vada lasciata cadere o diluita in una nozione generica e indistinta di “sinistra”. Essa va al contrario ridefinita, riempita di contenuti politici e teorici, di strategia, di organizzazione, in un confronto che non può che avere – oltre ogni provincialismo o arroccamento nazionale – una dimensione internazionale. Ed anche sedi, luoghi, strumenti in cui i comunisti di diversi paesi che ne avvertono l’esigenza possano incontrarsi, scambiarsi idee ed esperienze, concordare eventuali azioni comuni, senza che ciò si contrapponga all’esigenza di costruzione di una unità d’azione di tutte le forze antimperialiste e antagoniste (comuniste e non) e di più ampie convergenze a sinistra e democratiche, a seconda delle peculiarità di ogni paese.

L’esperienza di questo ultimo ventennio che ci separa dal crollo del Muro di Berlino smentisce la tesi per cui la fine dell’Urss e del campo socialista in Europa segna la fine del movimento comunista e il declino irreversibile dei partiti comunisti nella più parte dei Paesi dove essi hanno avuto ed hanno un radicamento reale, non testimoniale. E il caso italiano, insieme a quello spagnolo (in parte quello francese) esprimono oggi drammatiche anomalie, e non la regola.

5) Nell’Unione europea, l’iniziativa e l’ispirazione unitaria dei principali partiti comunisti dei paesi è stata la componente fondamentale del processo che ha portato alla formazione del Gruppo confederale della Sinistra unitaria al Parlamento europeo (GUE-NGL). Esso prende avvio dall’incontro di Lisbona del maggio 1991, promosso dal Pc portoghese, cui prendono parte, come si è detto, il Pc francese, il Pc spagnolo, il Pc greco (Kke), Rifondazione comunista (come osservatrice) e l’Akel di Cipro. Ad esso fanno seguito analoghi incontri, in altri Paesi, cui prende parte anche la Pds tedesca. In tali incontri si pongono le basi di un processo di riavvicinamento e di ricomposizione unitaria, anche per quanto riguarda le rispettive collocazioni nel Parlamento europeo. E la tenuta del rapporto unitario e di un ristabilito clima di cooperazione tra queste forze, anche nei passaggi più difficili e travagliati della formazione del GUE, si rivelerà essenziale per l’esisto positivo dell’operazione.

6) Con la formazione del GUE entrano in crisi e si concludono gli incontri informali tra i maggiori partiti comunisti dell’UE. La ragione è strategica: alcuni di questi partiti (KKE, PCP, AKEL) ritengono che la formazione del GUE non risolva di per sè la questione della ricostruzione del movimento comunista in Europa e quindi ritengono che quegli incontri dovrebbero continuare ed anzi estendersi; altre forze al contrario (non senza ambiguità, differenze e doppiezze al loro interno) in realtà considerano ormai storicamente superato l’obbiettivo strategico della ricostruzione di un movimento comunista per il 21° secolo, e colgono l’occasione della formazione del GUE per far cadere l’esigenza di incontri tra comunisti. Si tratta di un modo come un altro per cominciare a far cadere o diluire nella pratica la questione dell’autonomia comunista nella sua dimensione e proiezione anche internazionale. Parliamo ovviamente di questioni che investono il dibattito di gruppi dirigenti ristretti: un partito come il PRC (e in parte anche il PdCI, negli anni della direzione di Cossutta) non verranno mai investiti da tale riflessione, neppure nei gruppi dirigenti allargati, per non parlare dei quadri intermedi e dei militanti di base, che a tutt’oggi in larga misura ignorano la portata stessa del problema.

7) La fine di tali incontri informali, vede però l’avvio di una iniziativa, promossa dal KKE, che nel 1998 organizza ad Atene un incontro internazionale di “Partiti comunisti e operai” dedicato al ruolo dei partiti comunisti nella fase attuale. Vi prendono parte inizialmente una cinquantina di partiti (tra cui pressoché tutti i maggiori partiti comunisti del mondo). Tali incontri si ripeteranno poi annualmente, ogni volta su un tema diverso: di ordine politico, sindacale, di analisi economica, di dibattito teorico, di scambio di opinioni su iniziative ed esperienze. Complessivamente essi coinvolgono un’ottantina di partiti, con una partecipazione – negli ultimi anni – anche del Partito comunista cinese (prima come osservatore, poi a pieno titolo).

Tra i partecipanti si ritrovano, tra gli altri:

-dall’America Latina, i partiti comunisti di Cuba, Brasile, Colombia, Cile, Uruguay, Venezuela, Messico, Salvador…;

-dall’Europa, i partiti comunisti di Portogallo, Grecia, Cipro, Turchia, Spagna, Catalogna, Italia (PRC e PdCI), Francia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria, ed i maggiori PC delle Repubbliche dell’ex Unione Sovietica;

-dall’Africa, spicca la presenza del PC sudafricano (SACP);

-dal Medio Oriente, i partiti comunisti di Israele, Libano, Palestina, Siria;

-dall’Asia viene la presenza maggiore in termini di rappresentatività, e cioè, tra gli altri, i partiti comunisti di Cina, Vietnam, Laos, Corea del Nord, India, Nepal, oltre ai partiti comunisti delle Repubbliche asiatiche dell’ex-Urss.

E’ vero che soprattutto i primi di questi incontri hanno avuto un carattere formalistico e talvolta ripetitivo di vecchi vizi del movimento comunista. Ma col passare del tempo essi hanno acquisito un carattere più fluido, più vivo, più legato all’esigenza non solo di discutere, ritrovarsi e riconoscersi tra comunisti (il che all’inizio era comunque essenziale : in quegli anni il rischio era che si sfasciasse tutto), ma di trovare le vie e le forme appropriate per un rilancio della presenza coordinata e attiva dei comunisti sulla scena mondiale e nelle lotte.
Il problema è lungi dall’essere risolto, ogni trionfalismo in proposito sarebbe fuori luogo. Ma è indubbio che alcuni passi avanti significativi sono stati fatti.

Per la prima volta si è riusciti a produrre un’azione internazionalmente coordinata che ha conseguito anche alcuni risultati concreti: per esempio, la minaccia di una messa fuorilegge del KSM (l’organizzazione giovanile dei comunisti della Repubblica Ceca) è stata per ora respinta grazie anche ad una campagna internazionale coordinata, che ha avuto una sua espressione significativa anche in Italia. Grazie all’impegno congiunto di alcuni partiti comunisti (cubani, brasiliani, greci, portoghesi, indiani, vietnamiti…) si è prodotta una rivitalizzazione di alcuni organismi internazionali di mobilitazione antimperialista, come ad esempio la Federazione Mondiale della Gioventù Democratica, che conta oggi alcune decine di milioni di aderenti nel mondo e che ha dimostrato la sua vitalità nell’ultimo Festival mondiale svoltosi nel 2005 a Caracas, con il sostegno del Venezuela di Hugo Chavez.

Nulla di tutto ciò avrebbe potuto realizzarsi se, all’indomani del crollo dell’Urss, alcuni partiti comunisti non si fossero posti il problema di non rinunciare ad un processo di riorganizzazione internazionale del proprio movimento. E ciò, non solo non si è sovrapposto nè è mai stato di ostacolo alla costruzione di processi unitari più larghi, contro il neo-liberismo e la guerra, ma al contrario vi ha contribuito, come dimostra anche la storia del GUE.

Sì è sempre auspicato, fin dalle origini di questi incontri, che altri partiti prendessero l’iniziativa di promuovere meeting internazionali come quelli cominciati nel 1998 ad Atene, che si avviasse un processo circolare, che si costituisse a tal fine un gruppo di lavoro e di coordinamento, anche per evitare che tali incontri assumessero una connotazione euro-centrica o “greco-centrica”. E ciò in primo luogo su sollecitazione del KKE. Ciò è finalmente avvenuto negli ultimi anni: si è costituito un gruppo di lavoro permanente col compito di preparare gli incontri internazionali dei Partiti comunisti e operai e di far progredire il movimento e la sua iniziativa.
Tale gruppo di lavoro si è costituito su base consensuale e vede oggi la partecipazione di una decina di partiti: PC cubano, PC do Brasil, PC spagnolo, PC portoghese, KKE, PC di Boemia e Moravia, PC della Federazione Russa, PC indiano e PC indiano-marxista (a rotazione), PC libanese, PC sudafricano. Ad ogni riunione del gruppo di lavoro possono partecipare anche gli partiti che lo desiderano e che sono entrati nella rete degli incontri annuali.

L’ottavo incontro internazionale si è svolto a Lisbona, nel novembre 2006, ospite il PCP. Il nono a Minsk, nel novembre 2007 (in occasione del 90° anniversario della Rivoluzione d’Ottobre), il decimo a San Paolo del Brasile, nel novembre 2008, ospite il PCdoB. Il prossimo si terrà in India, a New Delhi, nel novembre 2009, su iniziativa dei due PC indiani (CPI-CPIm), ed è stato preceduto (a fine settembre 2009) da una sessione straordinaria sul Medio Oriente, di sostegno alla lotta del popolo palestinese e delle forze progressiste e antimperialiste della regione, che si è tenuta in Siria, a Damasco, su iniziativa dei comunisti siriani. Per i prossimi incontri annuali si è parlato del Sudafrica, di Cuba, di Cipro…come possibili Paesi (e partiti) ospitanti. Una nuova dinamica circolare e multilaterale si è avviata.

8) E’ nel contesto globale di questi tentativi di riorganizzazione di un movimento comunista e rivoluzionario all’altezza delle sfide che ci propone il 21° secolo, che va interpretata e valutata la scelta di una serie di forze di dare vita al Partito della Sinistra Europea-SE. La quale, per il modo come è stata portata avanti e realizzata, si è fin dall’inizio configurata come un fattore di divisione del movimento comunista, in Europa e non solo.
Era certamente condivisibile – nello spirito del GUE – l’esigenza di costruire un coordinamento di tutte le forze della sinistra comunista e alternativa su scala continentale. Ma il progetto concreto che è stato messo in campo e perseguito, le sue modalità di attuazione, il suo profilo politico e identitario, non hanno unito, ma diviso le forze; non hanno avuto un profilo continentale, pan-europeo (dal Portogallo agli Urali), bensì sostanzialmente rivolto ai soli Paesi dell’Unione europea; e nella definizione del profilo identitario e dello Statuto fondante della SE si sono deliberatamente introdotte formulazioni di natura ideologica (in relazione alla storia del movimento comunista) e programmatica (in relazione al giudizio sull’Unione europea), ben sapendo che quelle formulazioni sarebbero state inaccettabili per importanti partiti comunisti europei, dell’Est e dell’Ovest.

Tale approccio politicamente e ideologicamente selettivo ha prodotto un processo inverso a quello, unitario e ricompositivo, che si era prodotto in Europa, e segnatamente nei paesi dell’Ue, dopo la grande crisi del 1989 e il crollo del campo socialista in Europa e che aveva portato alla formazione del GUE nel Parlamento europeo. Dovrebbe indurre a qualche riflessione la semplice constatazione che dei 35 deputati europei che oggi compongono il GUE, sono solo 15 quelli che fanno parte a pieno titolo della SE (di cui 8 della Linke tedesca) e 6 gli osservatori. Alcuni tentativi fatti ad esempio dal PC di Boemia e Moravia (presente come osservatore nella SE) per avviare processi ricompositivi sono stati stroncati sul nascere dalle componenti più apertamente anti-comuniste della Sinistra Europea, mentre i settori più moderati della Linke (in sintonia con l’italiana Sinistra e Libertà) guardano ormai apertamente ad un processo sia pure graduale e a tappe di ricomposizione con la socialdemocrazia europea e più in generale con l’Internazionale socialista.

9) I risultati delle elezioni europee del giugno 2009 e – quattro mesi dopo – quelli delle elezioni nazionali in Germania, Portogallo e Grecia, sono stati in proposito un test importante per valutare lo stato del movimento comunista nell’area UE, che si era già evidenziato via via nell’ultimo decennio (e non solo sul piano elettorale), ma che oggi si presenta con una tale evidenza da non poter essere più rimosso.

Ne è uscita sostanzialmente demolita la tesi per cui – nel contesto europeo – una forza comunista, rivoluzionaria, leninista, che respinga ogni suggestione socialdemocratizzante, governista e adattativa, sia inevitabilmente destinata al declino e alla marginalità. Si dimostra vero il contrario, a condizione ovviamente che il profilo politico-ideologico di un partito si accompagni sempre alla sua capacità di radicamento sociale, innanzitutto nel mondo del lavoro e tra i giovani. E’ ciò che dimostrano in particolare – sia pure nella loro diversità – i risultati del KKE e del PCP, che proprio in questi ultimi anni raggiungono sul piano elettorale alcuni dei migliori risultati di tutta la loro storia, oscillanti tra il 7 e il 10% (nelle elezioni politiche ed europee), e con ulteriori incrementi nelle elezioni amministrative.

Il KKE sfiora oggi i suoi massimi storici anche rispetto alla fase “eroica” seguita alla caduta del regime dei colonnelli (in cui raggiunse il 9% alle politiche); e ciò, nonostante esso abbia poi subito la scissione del 1991, provocata dall’ala post-comunista del partito, da cui si sviluppò l’esperienza del Synaspismos, che sarà poi uno dei partiti fondatori della Sinistra Europea. Il KKE ottiene tradizionalmente i suoi migliori risultati nelle aree metropolitane, con punte del 15-20% nei quartieri operai e popolari. Mentre il Synaspismos ottiene risultati migliori tra le classi medie e in alcuni settori della gioventù studentesca. Un ragionamento analogo, di ordine storico-politico e di rappresentanza sociale, può essere fatto per il PCP (e specularmene per il Bloque de Esquerda), con l’aggiunta che i comunisti portoghesi conservano una forte egemonia nella CGTP, il sindacato di classe portoghese largamente maggioritario nel mondo del lavoro.

10)Tutto ciò è particolarmente significativo, per due ragioni almeno :
-perché la situazione di oggi, per i comunisti e le forze di sinistra anticapitalistica europee è sicuramente più sfavorevole che non negli anni ’70 e ’80. Oggi tutto il contesto dell’Unione europea si è spostato più a destra. E ciò fa risaltare doppiamente il valore del risultato elettorale delle forze comuniste e rivoluzionarie che tengono o avanzano;
-perché – diversamente da ciò che sta avvenendo in Spagna, in Francia e in Italia (prima con l’Arcobaleno ed oggi con le persistenti resistenze a procedere sulla via della ricostruzione di un partito comunista unito, unitario e rivoluzionario) – nei contesti portoghese e greco l’avanzata o la tenuta complessiva e simultanea delle sinistre (ivi compresi il Synaspismos e il Bloque de Esquerda) avviene senza pasticci, confusioni di ruoli, diluizioni o minacce all’autonomia e all’identità dei diversi soggetti in campo. Anzi: essa avviene nel quadro di una forte ripresa di partiti comunisti e rivoluzionari, fortemente ancorati alla classe operaia, con una grande cura per l’organizzazione ed il radicamento nei conflitti sociali, con una forte caratterizzazione anticapitalista e antimperialista, nettamente avversi alla NATO e all’Unione europea, alternativi sia alla destra che al moderatismo di centro-sinistra. Attenti, non solo a parole, all’organizzazione sindacale e politica delle nuove fasce di immigrazione. Partiti caratterizzati da una linea di opposizione strategica agli attuali assetti di sistema, scevri da suggestioni neo-governiste e di alternanza, fortemente impegnati in un difficile processo di ricostruzione di un coordinamento dei partiti comunisti e operai su scala mondiale.

Non è un caso se, proprio nei paesi dove esistono partiti di questa natura, la crisi della socialdemocrazia apre spazi a sinistra, non solo per i comunisti, ma anche per forze di sinistra radicale non comunista; e tutto ciò sposta più a sinistra il baricentro politico di quei paesi.

11)Assai diverso è stato il percorso dei partiti che storicamente provengono dal filone euro-comunista (in Spagna, in Italia, in Francia) e che nel corso degli anni – in nome dell’innovazione o della mutazione – hanno via via modificato la loro natura antagonista e rivoluzionaria, hanno diluito la proprio identità e autonomia, hanno assunto nel loro patrimonio strategico tesi “governiste” e suggestioni derivanti dal patrimonio della socialdemocrazia; e che non solo sono andati incontro a crolli elettorali e indebolimenti drammatici del loro insediamento sociale e politico di classe, ma si trovano addirittura oggi a rischio di sopravvivenza. Così come sarebbe bene, in Italia, non dimenticare mai che la gran parte del vecchio gruppo dirigente dell’ultimo PCI oggi si ritrova alla testa di un partito indecente come il Partito Democratico…

12)A distanza di oltre 30 anni dalla breve stagione eurocomunista, se valutiamo con obbiettività i diversi itinerari che hanno contraddistinto la storia dei cinque maggiori partiti comunisti dell’Europa occidentale (la situazione nell’Europa dell’Est, che in parte comprende anche il caso tedesco, richiede un approccio diverso), un elemento risalta. E cioè che, mentre la vicenda del comunismo italiano, spagnolo e francese degli ultimi decenni è stata complessivamente e prevalentemente segnata dalla crisi, dal declino, in taluni casi dall’auto-dissoluzione, nella vicenda del comunismo greco e portoghese – senza indulgere ad alcun trionfalismo acritico o alla proposizione di modelli – prevale comunque un elemento di tenuta strategica, identitaria e di organizzazione, di radicamento sociale e di classe, di inequivoca collocazione antimperialista, di ripresa anche elettorale su livelli (7-10%) che oggi sarebbero considerati invidiabili dai partiti che si richiamano al comunismo negli altri tre paesi citati, e che viceversa attraversano una crisi profonda, come non mai..

E non si dica che la spiegazione fondamentale risiede nel diverso grado di sviluppo economico e culturale di questi cinque paesi, come se Francia, Italia e Spagna appartenessero al mondo sviluppato e Grecia e Portogallo al terzo mondo.
I processi di integrazione europea e di mondializzazione anche culturale e informatica rendono oggi questi cinque paesi assai meno distanti tra loro di quanto non lo fossero 20 o 30 anni fa. E non direi che un giovane operaio o studente di Atene e di Lisbona siano oggi qualitativamente diversi dal loro omologo di Madrid, Roma o Parigi: non al punto da fare di questa diversità la base oggettiva necessitata e durevole della diversa condizione dei partiti comunisti dei rispettivi Paesi.

La spiegazione essenziale va invece probabilmente ricercata nel diverso profilo politico, strategico e identitario, nella diversa capacità di costruzione di un radicamento sociale, soprattutto operaio e giovanile, dei gruppi dirigenti che in questi decenni hanno caratterizzato i partiti comunisti di questi diversi Paesi. E ciò – lo ripeto a scanso di equivoci per i tanti sordi che si ostinano a non voler sentire e preferiscono sottrarsi ad un confronto non caricaturale – non significa in alcun modo indicare modelli “unici”, validi in ogni tempo e in ogni luogo (tanto più che PCP e KKE non sono la fotocopia l’uno dell’altro).

13)Il dato elettorale non è certo l’unico per valutare la condizione e l’influenza di un partito politico che si propone la trasformazione radicale della società: esso va comparato alla densità del suo radicamento sociale (un partito d’opinione è esposto a modifiche repentine del suo consenso elettorale, un partito con un forte radicamento organizzato e sociale assai meno), alla sua capacità di mobilitazione, alla maggiore o minore difficoltà insita nei diversi sistemi elettorali, alla maggiore o minore incidenza di dinamiche politico-elettorali bipolari, ecc…Ma sarebbe ingenuo e fuori dalla realtà, soprattutto in situazioni non rivoluzionarie e in paesi capitalistici ad elevato sviluppo, sottovalutare il dato dell’influenza elettorale e della presenza istituzionale, anche ai fini dell’autofinanziamento e della presenza mediatica.

Così come è poco rigoroso e anche un po’ opportunistico ed elusivo analizzare i risultati elettorali in Europa mettendo in un unico sacco i risultati di partiti comunisti rivoluzionari e antimperialisti, contro cui si accanisce da anni una campagna politica, ideologica e mediatica forsennata, anche da parte della socialdemocrazia; ed i risultati di formazioni di sinistra radicale che godono in alcuni paesi (ad esempio in Grecia e Portogallo, dove essi competono coi rispettivi partiti comunisti), di campagne medianiche interessate, volte ad impedire che il malcontento di larghi settori operai, popolari e giovanili per le politiche neo-liberali dei governi di centro-destra e di centro-sinistra possa confluire in un voto ai comunisti, e preferiscono che esso si indirizzi verso formazioni di sinistra più “addomesticabili” e meno radicate socialmente nella lotta di classe. E’ un fenomeno che conosciamo bene anche noi in Italia, ove si consideri ad esempio il diverso trattamento (soprattutto da parte dei media influenzati dal PD) riservato alla lista comunista unitaria rispetto alla vendoliana Sinistra e Libertà.

Anche i risultati di queste formazioni di sinistra non comunista sono importanti, a cominciare da quello assolutamente inedito e imparagonabile della Linke tedesca, non solo per l’assoluta peculiarità della situazione tedesca (nelle regioni orientali un sondaggio di pochi giorni fa indica che i due terzi della popolazione rimpiange la DDR…), ma anche per il peso che la Germania riveste nel contesto europeo. Ma, quando analizziamo le dinamiche che si sviluppano a sinistra dei grandi partiti socialdemocratici europei, evitiamo di parlarne come di una “notte in cui tutte le vacche sono nere”.

(continua)

(articolo in uscita sul prossimo numero di Marxismo Oggi)

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Quali sono nel mondo d’ oggi il peso reale e le potenzialità delle forze comuniste: al potere, in governi di coalizione o all’opposizione?

Quali le prospettive di sviluppo e di influenza sulle dinamiche mondiali e sui principali scenari nazionali o continentali in cui esse operano?

Esistono (e se sì, quali sono) i punti politici e programmatici comuni a queste forze, tali per cui – nonostante diversità politiche, ideologiche, di contesto nazionale o regionale – si possa delineare una convergenza politico- programmatica (non solo ideale) su cui fondare un processo unitario di ricostruzione di un movimento comunista e rivoluzionario, che sappia spingere avanti la lotta per il socialismo su scala mondiale, nelle mutate condizioni del nostro secolo e con le relative e opportune alleanze?

Qual’è il ruolo e il potenziale della Cina rispetto alle sorti del socialismo nel 21° secolo?

Saranno questi gli interrogativi che cercherò di affrontare nella seconda parte di questo articolo.