Non si può che aprire così: non certo tutte, ma molte delle nostre prospettive passano per il superamento dello sbarramento alle europee e dunque massimo sforzo per la campagna elettorale, la quale deve già essere conflitto sociale e base materiale per la costruzione, sul campo, dell’unità dei comunisti.
Detto ciò e ad un punto alto della nostra battaglia per tale unità, non possiamo far passare in secondo piano le affermazioni che il compagno Paolo Ferrero ha rilasciato sia il 27 marzo, a Roma, al convegno de l’ernesto, che due giorni dopo, concludendo il Cpn di Rifondazione.
Ferrero ha affermato: “Costruire un partito significa porsi nodi di fondo; richiede un’analisi della fase e la definizione di una prospettiva politica chiara”. Aggiungendo : “ Un gruppo dirigente degno di questo nome deve mettere al centro la discussione politica per costruire seriamente percorsi unitari”. Poiché nessuno, credo, può mettere in discussione tale assunto e rimarcato il fatto che Ferrero sembra aprire un confronto sul percorso unitario, dobbiamo mettere a fuoco le condizioni che egli pone: “principalmente tre”. Primo:“ il tema del bipolarismo”, che rimanda al ruolo, in questa fase, dei comunisti. Nell’essenza, Ferrero afferma che un partito comunista non può essere l’ala sinistra del Partito Democratico, non può ripetere gli errori commessi col governo Prodi. Penso abbia ragione: la fase non consente ai comunisti scorciatoie istituzionaliste ma chiede loro di svolgere un compito centrale : mettersi alla testa di un nuovo ciclo di lotte con l’obiettivo, imprescindibile, di mutare i rapporti di forza sociali, oggi sfacciatamente a favore dei padroni. Il secondo nodo, afferma Ferrero, “è il rapporto di internità ai movimenti che ha caratterizzato a mio parere la storia più significativa di Rifondazione”. Credo che anche qui Ferrero abbia molte ragioni, anche se la discussione va approfondita. Occorre innanzitutto riconoscere che per un partito comunista, per la stessa vivificazione ed attualizzazione del suo ruolo sociale, “un rapporto di internità ai movimenti” è decisivo e occorre riconoscere che Rifondazione ha solcato questo mare. Il punto in discussione è tuttavia il seguente: trova Ferrero ancora giusta la teorizzazione di Bertinotti che delegava in toto ai movimenti quel ruolo di intellettuale collettivo che Gramsci affidava al partito comunista? Chi scrive pensa che questa posizione finisse, da una parte, per svuotare di senso il partito comunista, enfatizzando d’altra parte “il feticismo” (parole di Gramsci) dello spontaneismo sociale. Si può trovare la quadra? Penso proprio di si. Se il compagno Ferrero si è messo alla testa di una battaglia (vincente) volta a battere il progetto vendoliano della “liquidazione comunista” vuol dire che l’esigenza dell’autonomia del partito comunista e del suo ruolo sociale le considera questioni centrali. E d’altra parte occorre ricordare che era lo stesso Gramsci a porre l’esigenza di un rapporto dialettico tra “intellettuale collettivo” comunista e soggettività sociale. La storia viva può fornirci le chiavi per la risoluzione dei problemi e per l’unità…
“ Un terzo nodo – dice il segretario Prc – riguarda il tema della rifondazione comunista”. Anche qui, come dargli torto? Si capisce perfettamente che Ferrero, ponendo tale questione, non allude affatto ad un patriottismo di partito, ma pone l’esigenza dell’attualizzazione del pensiero e della prassi di un partito comunista che vuol essere all’altezza dei tempi e dell’odierno scontro di classe. Mi pare, peraltro, che lo stesso, odierno gruppo dirigente del PdCI, nella fase dell’unità e dell’origine di Rifondazione Comunista, fosse così d’accordo con quello spirito rifondativo da battersi contro coloro che volevano costituire subito “ il partito comunista”, rimuovendo la parola “rifondazione”.
Il punto centrale mi sembra tuttavia il seguente: il Prc si adorna di un termine – rifondazione – splendido quanto svuotato di senso da una prassi e da una ricerca non all’altezza dell’ambizione e nessuno, purtroppo ( né il Prc né il PdCI) ha elaborato delle nuove Tesi di Lione, un progetto politico e teorico avente la forza egemonica di imporsi per via culturale e segnare di sé il movimento comunista italiano. In fondo, il compito che i comunisti si erano dati nel ’91 è ancora tutto da svolgere ed esso avrebbe più possibilità di successo se affrontato ( proprio perché non è esercizio da bibliotecari ) con una maggiore massa critica sociale e politica di quella che oggi, da sole, hanno le due forze comuniste. Sulla scorta, soprattutto, delle brucianti lezioni che la storia recente ha impartito ai due piccoli partiti, rei di numerosi errori, tra i quali risaltano le derive istituzionaliste, l’indebolimento dei legami di massa e la conseguente ininfluenza sulla questione sociale e sindacale. Sulla base della consapevolezza degli errori compiuti e sull’esigenza comune di riattualizzare una prassi ed un pensiero si può ricominciare. Unendo le forze, ridestando una passione dal carattere popolare, con l’ambizione di riaggregare la diaspora comunista e soprattutto divenendo un punto di riferimento dei lavoratori e delle nuove generazioni.