Ieri, l’Istituto centrale di statistica (Istat) ha comunicato che «nel mese di giugno del 2006, la bilancia commerciale italiana ha registrato un saldo negativo pari a 828 milioni di euro a fronte di un passivo di soli 389 milioni di euro fatto segnare nello stesso mese del 2005. In complesso, «nel periodo tra gennaio-giugno del 2006», il buco del commercio con l’estero è stato pari a a 2.602 milioni di euro contro un disavanzo – sempre riferito allo stesso periodo del 2005 – di 1.373 milioni di euro». Il rapporto tra le esportazioni e le importazioni vede le prime crescere, e anche in modo consistente, ma sempre al di sotto della quota relativa alle importazioni. «Considerando – sostiene l’Istat – l’interscambio complessivo nel mese di giugno 2006, si evince che le esportazioni sono cresciute di un più 13,2%, mentre le importazioni sono balzate ad un più 17%». In questo caso sono stati presi in considerazione solo i rapporti di scambio con i paesi dell’area Ue (i dati relativi all’area extra Ue saranno diffusi il 7 settembre).
La responsabilità di questo gap va ricercata in almeno due fattori fattori principali: l’aumento dei costi per l’energia e il petrolio, e la scarsa rappresentatività del nostro paese nei settori tecnologicamente più avanzati. Infatti, ha «tenuto» il classico made in Italy, che è cresciuto sia verso singoli paesi – la Germania, la Francia, l’Estonia, la Lituania – sia per tipologia di prodotto. In dettaglio, sono andati «bene» il comparto dei prodotti non metallici (33,5% di beni esportati), quello del legno e dei suoi derivati (20,9%), quelli della gomma e plastica (20,7%). Sorprende la buona performance verso la Francia e la Germania, che hanno sempre rappresentato i nostri più forti rivali; mentre si è confermata l’importante presenza del made in Italy nelle nazioni di recente sviluppo. Come Malta, Estonia, Lituana, Polonia a cui si debbono aggiungere Danimarca e Filandia.
Una bilancia commerciale in rosso, con una tendenza a un modesto recupero dell’export più tradizionale. E’ questo il trend che fotografa l’Eurostat quando analizza l’andamento del prodotto interno lordo (pil) nella zona europea. «Nella Ue dei 25 – sostiene – la ripresa c’è stata ed il pil è salito ad un +2,6% nel secondo trimestre; in l’Italia, l’aumento del pil è stato solo dell’1,5%». Più basso che in altre nazioni che «hanno registrato su base trimestrale una crescita del pil pari allo 0,9%». Italia non fanalino di coda, ma indietro rispetto alla ripresa più robusta di tutti gli altri paesi (che pare «terrorizzare» il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet. Che, ieri a Cernobbio, ha ancora uan volta ribadito: «qualora dovesse aumentare l’inflazione, la Bce sarebbe costretta ad aumentare i tassi». Ovvero frenare la crescita che è vitale per l’Italia e l’Europa.