Come la vorrebbe l’ala «riformista»

Mica l’ha ordinato il dottore che la Fiom debba esprimere il suo punto di vista su tutto lo scibile umano, ironizza Dario Fiorito della Fiom di Torino. «Non sarebbe il caso che facesse solo il sindacato?». Quelli che la pensano come lui si sono ritrovati ieri a Milano al convegno «La contrattazione che vogliamo», organizzato dalla minoranza della Fiom. Non essendo una corrente e neppure un’area programmatica, non ha un nome. «L’ala della Fiom di stretta osservanza Cgil», secondo Fausto Durante, che la rappresenta nella segreteria nazionale. Definizione tecnicamente corretta: la minoranza raccoglie quel 20% della Fiom che all’ultimo congresso non ha votato gli emendamenti Rinaldini alle Tesi di Epifani.
Ma dentro la Cgil ci stanno molte cose, compresa la destra che una volta si chiamava «migliorista» e che ora si chiama «riformista» (un buon esempio da aggiungere alla paginata che Rossana Rossanda ha dedicato alla mutazione genetica del termine). Al convegno di ieri era schierata al completo in prima fila: i segretari nazionali Achille Passoni, Marigia Maulucci e Nicoletta Rocchi, la segretaria dei tessili Valeria Fedeli, il presidente dell’Ires-Cgil Agostino Megale. Un segno tangibile della sintonia politica tra destra Cgil e destra Fiom. Esplicitata dall’intervento di Achille Passoni che ha «caricato» a testa bassa la Fiom di Rinaldini con toni ancor più duri di quelli usati da Durante. L’autonomia è legittima, la dialettica tra Cgil è Fiom è fisiologica, ha esordito ritualmente Passoni. Però, da alcuni anni, la Fiom ha passato il segno. La sua esasperata ricerca di un’identità politica crea problemi nel rapporto con la Cgil. Manca un luogo, «una sede», dove dirimerli, lamenta Passoni. Una sede, sembra di capire, che abbia l’autorità di rimettere in riga la Fiom. La minoranza della Fiom continua a credere nella concertazione e nella politica dei redditi. Ma nella «contrattazione reale», afferma Durante, le due anime della Fiom si ritrovano d’accordo. Un modo obliquo per dire che la maggioranza non sa tradurre in pratica contrattuale una radicalità dichiarata solo a parole. Accordo totale anche sulla piattaforma per il rinnovo contrattuale.
Le differenze sono tutte politiche e si riassumono nel diverso atteggiamento verso il governo di centro sinistra. «Non voglio che cada», dice l’invitato Gianni Rinaldini, «ma se sul tavolo delle pensioni ci saranno proposte irricevibili, il sindacato non potrà condannarsi all’immobilismo per timore che ci sia la crisi di governo». Gli altri interventi evitano, non a caso, la mina pensioni. Durante, stuzzicato sull’abbassamento dei coefficenti, ci risponde: «Non può essere una pistola puntata alla tempia. Ma se nel corso della trattativa il governo riuscirà a dimostrare che serve abbassarli per garantire un patto tra generazioni, io non lascerei pregiudizialmente il tavolo».
Ricca di dati sulla contrattazione aziendale e misurata nei toni, la relazione di Elena Lattuada (Fiom Brianza) non lesina tirate d’orecchi alla maggioranza. Troppo movimentismo contro la Tav in Val di Susa, troppa comprensione con chi all’interno dell’organizzazione parla di «scippo del Tfr». Durante definisce una «malignità» il sospetto che la minoranza della Fiom «usi» gli arresti per terrorismo per affondare il colpo su una maggioranza che non rinuncia al conflitto. «Siamo riformisti, ma non moderati. Il conflitto ci appartiene. E però io non sciopero con Bernocchi che definisce Epifani un venduto. E non mi mischio con quei centri sociali che considerano i poliziotti tutti assassini».