Come fermare l’aspirazione statunitense ad un nuovo dispotismo globale ?

Come ricostruire internazionalmente un contrappeso all’unilateralismo Usa? Questo si chiedono, dopo la guerra in Iraq, tutte le forze nel mondo che non vogliono una nuova tirannia globale.
Il presupposto è la convergenza di più componenti, assai diverse:
-la resistenza del popolo irakeno e delle forze che la sostengono, per mantenere aperto il “fronte interno” contro l’occupazione militare e scoraggiare nuove avventure. Ciò richiede un sostegno internazionale, anche in Italia, che oggi non c’è;
-la ripresa del movimento per la pace su scala mondiale (non facile, dopo la batosta subita), riorganizzando le sue componenti più determinate, per impedirne la dispersione e il riflusso;
-il consolidamento delle più ampie convergenze politico-diplomatiche, contro l’unipolarismo Usa;
-lo sviluppo, negli Usa, di una opposizione alla linea Bush.
I movimenti sono essenziali, ma da soli non bastano a raggiungere la massa critica necessaria, nei rapporti di forza planetari, per sconfiggere la linea Usa (così come negli anni ’40 non sarebbero bastate le resistenze popolari per sconfiggere il nazismo, se non fossero scese in campo grandi potenze in coalizione tra loro).

Come evolverà la collocazione dell’Europa?
Sono emerse divisioni non facilmente superabili tra Usa e Unione europea, nell’Ue e nella Nato (cioè tra alleati del tradizionale blocco atlantico). Nell’Ue e nella Nato continuerà il contrasto tra filo-americani e sostenitori di un’Europa più autonoma dagli Usa, imperniata sul rapporto preferenziale tra Francia, Germania e Russia.
Una vittoria elettorale delle forze di centro-sinistra in Italia e in Spagna, rafforzerebbe una linea meno subalterna a Bush, che punta, tra l’altro, a costruire un’autonoma difesa militare europea , con relativa industria bellica di supporto. Si parla per ora di “pilastro europeo” all’interno della Nato. Poi si vedrà.
Anche se gli Usa sono oggi orientati ad agire anche militarmente in modo unilaterale, senza farsi condizionare né dall’Onu nè dalla Nato (dove le decisioni devono essere prese all’unanimità), essi non rinunceranno alla Nato. L’Alleanza continua ad essere per loro uno strumento prezioso per controllare l’Europa e le strutture politico-militari, di sicurezza, di intelligence, nonché l’industria e la tecnologia militare dei Paesi integrati nell’Alleanza. E per disporre di basi militari sul continente, poste sotto il loro controllo : semmai spostandole o creandone di nuove nei paesi europei più fedeli e sottomessi, come alcuni paesi dell’Est.

Ciò rende attualissima e non rituale, anche in Italia, la ripresa di una iniziativa delle forze più avanzate del movimento per la pace, per la chiusura delle basi militari straniere sul territorio nazionale (per dare all’Italia uno status di maggiore autonomia, simile a quello della Francia). Per l’allontanamento dal territorio nazionale di tutte le armi di sterminio, nucleari e non (con uno status analogo a quello della Danimarca, membro della Nato, o della neutrale Austria). Per il ritiro di tutti i militari italiani impegnati all’estero a supporto di azioni di guerra e di occupazione militare.
Si tratta di attivare, con un protagonismo attivo del nostro paese, iniziative e dinamiche di disarmo in campo internazionale. E se confronto programmatico serio deve esservi con le forze di centro-sinistra, a partire da quelle più avanzate, sarà bene che esso cominci proprio non eludendo la questione di fondo di come si contrasta il sistema di guerra a partire dal territorio italiano.
Se c’è una cosa davvero “non negoziabile” nel confronto programmatico col centro-sinistra, questa è proprio la pretesa assurda di D’Alema di considerare la politica estera dell’Italia “materia non negoziabile”. Se si parte così si parte male, anzi malissimo.

LA SFIDA DELL’EURASIA

Timothy Garton Ash, intellettuale vicino a Tony Blair, ha scritto dopo la guerra in Iraq che in Europa il bivio è “tra euroasiatici, che vogliono creare un’alternativa agli Usa (lungo l’asse Parigi – Berlino – Mosca – Delhi – Pechino / ndr) ed euroatlantici, che vogliono mantenere un rapporto privilegiato con gli Usa”. L’interpretazione è ardita. Il rapporto transatlantico non è ancora in frantumi nell’Unione europea, e in molti (a partire da tanti nostri “ulivisti”) stanno operando per ricucirlo. Ma il vertice franco-russo-tedesco di San Pietroburgo, o l’invito di Chirac alla Cina a partecipare al G8 in Francia, esprimono una dialettica politico-diplomatica che segnerà la politica internazionale dei prossimi anni. Chiarissima, per converso, la linea esposta da Tony Blair, che in una intervista al Financial Times (28.05.2003) afferma senza mezzi termini : “Alcuni auspicano un mondo multipolare con diversi centri di potere che tenderebbero a trasformarsi presto in poteri rivali. Altri pensano, e io sono tra questi, che abbiamo bisogno di una potenza unipolare fondata sulla partnership strategica tra Europa e America”.

Dunque : “Euro-america” o “Eurasia”?
Le forze che vogliono un’ Europa davvero autonoma dagli Usa e dal suo modello di società, debbono prospettare un progetto alternativo, che vada oltre l’Unione europea e le basi su cui essa è venuta formandosi, dai trattati di Maastricht alla nuova Costituzione, nei cui orizzonti si colloca in modo subalterno la socialdemocrazia europea ed anche qualche partito comunista e di sinistra antagonista, o componenti di essi. Va elaborato un progetto credibile, oggi assente, di un’Europa che comprenda tutti i paesi del continente (dal Portogallo agli Urali). Un progetto che, sul piano economico, contrasti la linea delle privatizzazioni e prospetti la formazione di poli pubblici sovranazionali (interessante l’idea che, in altro contesto, il presidente venezuelano Hugo Chavez ha proposto a Lula, per la formazione di un polo pubblico continentale per la gestione delle risorse energetiche, collegato ad una banca pubblica regionale che serva a finanziare progetti di sviluppo con finalità sociali); che sul piano politico-istituzionale, contrasti ipotesi federaliste volte a svuotare la sovranità dei Parlamenti nazionali (si pensi al dibattito sul diritto di veto) e sostenga un’ Europa fondata sulla cooperazione tra Stati sovrani, non subalterna ai poteri forti delle maggiori potenze imperialistiche che dominano l’attuale Unione europea; e che sul terreno militare, preveda un sistema di sicurezza e di difesa pan-europeo, alternativo alla Nato, comprensivo della Russia (una sorta di Onu europea), che già oggi – considerando il potenziale nucleare russo e francese – disporrebbe di una forza sufficiente a dissuadere chiunque da un’aggressione militare all’Europa. Dunque, un progetto opposto a quello del riarmo dell’Unione europea e di una sua vocazione imperialistica, volta a rincorrere gli Usa sul loro stesso terreno.
E’una tesi questa (riarmo dell’Ue) che è presente anche a sinistra, con l’argomento – fondato – che oggi l’imperialismo franco-tedesco è assai meno pericoloso per la pace mondiale di quello americano. La tesi è giusta, ma sbagliata e pericolosa la soluzione: i movimenti operai e i popoli europei, e qualsivoglia progetto di Europa sociale e democratica, verrebbero colpiti al cuore da una politica di riarmo dell’Ue su basi neo-imperialistiche. E chi pagherebbe il costo di una crescita esponenziale delle spese militari, in un’Europa neo-liberale dove già oggi vengono colpite duramente le spese sociali? Che fine farebbe quel poco che rimane dell’Europa del Welfare?

Se l’Europa vuole reggere il confronto con gli Usa ed uscire dalla morsa della subalternità transatlantica, deve aprirsi ad accordi di cooperazione e di sicurezza con la Russia (che è parte di essa), con l’Asia, con le forze più avanzate e/o non allineate che si muovono in Africa (Africa australe, Libia, Algeria…), in Medio Oriente (Iran, Siria, Palestina…), in America Latina (Brasile, Venezuela, Cuba…).
Solo una rete multipolare di unioni regionali, non subalterne agli Stati Uniti, di cui l’Europa sia parte essenziale, può modificare i rapporti di forza globali e condizionare la politica Usa. E non si dica che si tratta di un’ipotesi “neo-campista”: per essere tale, essa presupporrebbe un’omogeneità strutturale, di sistema, di modello sociale, che oggi certamente non esiste tra questi Paesi o unioni regionali.

Questa “rete” può fondarsi su forze e possibilità reali, non immaginarie, che esprimerebbero insieme un potenziale economico e geo-politico già oggi superiore a quello della coalizione filo-americana, imperniata sull’asse Stati Uniti- Israele – Gran Bretagna. Anche sul piano del deterrente militare (convenzionale e nucleare), la presenza in questa “rete” di paesi come Russia, Cina, India, Francia, Germania, Brasile, Sudafrica…esprimerebbe un potenziale di credibile negoziazione con gli Usa, da posizioni di non eccessiva debolezza. Gli Usa non possono fare la guerra a tutto il mondo.
Come scrive Samir Amin, “un avvicinamento autentico fra l’Europa, la Russia, la Cina, l’Asia costituirà la base sulla quale costruire un mondo pluricentrico, democratico e pacifico”.
Non sarà il socialismo mondiale, ma certo un avanzamento strategico nella direzione giusta. E con l’aria che tira, non sarebbe poco.