Comando Africa, colonialismo in stile Pentagono

Al quartier generale del Comando europeo degli Stati uniti (EuCom), a Stoccarda, è appena arrivato l’ammiraglio Robert Moeller, con un compito di grande importanza: creare un nuovo comando di combattimento unificato, il Comando dell’Africa (AfriCom). La sua «area di responsabilità» coprirà quasi l’intero continente che, nella geografia del Pentagono, è oggi diviso tra Comando europeo, Comando del Pacifico e Comando centrale (la cui «area di responsabilità» comprende, oltre al Medio Oriente, il Corno d’Africa, Sudan ed Egitto).
Solo l’Egitto resterà sotto il Comando centrale. Il nuovo comando, il cui quartier generale sarà dislocato direttamente in Africa e diverrà pienamente operativo entro il settembre 2008, è «ancora nella sua infanzia», ma il Pentagono lo sta facendo crescere rapidamente attraverso una intensa attività militare in Africa. Nel Nord Africa gli Stati uniti hanno stipulato accordi militari con Marocco, Algeria e Tunisia. Nel Sahel, forze speciali Usa addestrano da tempo le truppe di Mauritania, Mali, Niger e Ciad. In Senegal si è svolta, lo scorso 8 febbraio, la conferenza della «partnership trans-sahariana» promossa dall’EuCom con la partecipazione dei ministri della difesa di nove paesi africani.
A Gibuti, dove gli Usa hanno installato una base militare, sta per divenire operativa la Task force congiunta del Corno d’Africa, che opererà con 2mila uomini in questa «regione di vitale importanza per la guerra globale al terrorismo»: in tale quadro, i marines hanno cominciato in febbraio ad addestrare le truppe di Gibuti. In Etiopia – secondo una inchiesta del New York Times (23 febbraio), smentita da Addis Abeba – è stata dislocata la Task Force 88, unità segreta per le operazioni speciali che, da qui e dal Kenya, effettua azioni in Somalia. A Pretoria, l’EuCom ha tenuto nel luglio 2006 una prima conferenza (Endeavor 2006) sulla «interoperabilità militare», che sarà replicata quest’anno: scopo di queste conferenze, cui partecipano militari di 24 paesi africani, è quello di integrare le loro forze armate in un unico sistema di comando, controllo, comunicazioni e informazioni (C3IS), ossia in quello del Pentagono.
A Luanda ha fatto scalo nell’aprile 2006, per attività di addestramento della marina angolana, la Uss Emory Land, la nave appoggio dei sottomarini nucleari finora di stanza a La Maddalena, che ha visitato anche Congo, Gabon, Ghana e Senegal. In Angola, lo scorso febbraio, ha fatto scalo anche la fregata Kauffman, facente parte di una task force Usa proveniente anch’essa dall’Italia. Questa e un’altra unità hanno visitato anche il Congo e la Liberia. In Ghana una squadra di tecnici, inviata dal comando di Napoli delle forze navali Usa, ha effettuato una prospezione idrografica del porto di Tema nel quadro di un programma mirante a «migliorare la sicurezza marittima in tutto il golfo di Guinea». Ciò conferma il piano del Pentagono di stabilire basi militari in Ghana e altri paesi dell’Africa occidentale. Il perché emerge da un comunicato della marina Usa: «Il 15% del petrolio importato dagli Stati uniti proviene dal golfo di Guinea, regione ricca anche di altre risorse: nostro scopo è quindi stabilire un ambiente marittimo sicuro per permettere a tali risorse di raggiungere il mercato».
E’ però l’ambiente terrestre sempre meno «sicuro». In Nigeria, maggiore produttore petrolifero dell’Africa, il dominio delle multinazionali – che controllano il 95% della produzione (oltre la metà la sola Shell) – viene messo in pericolo dalla crescente ribellione delle popolazioni e dalla concorrenza cinese. Da qui il piano del Pentagono di costituire basi militari in Africa occidentale e rafforzare la capacità d’intervento dall’esterno. Non a caso l’esercitazione Steadfast Jaguar, con cui la «Forza di risposta della Nato» ha raggiunto lo scorso giugno la piena capacità operativa, si è svolta a Capo Verde in Africa occidentale.
Siamo dunque di fronte a una crescente penetrazione militare statunitense in Africa, mirante al controllo soprattutto di aree strategiche, come il Corno d’Africa all’imboccatura del Mar Rosso, e di aree ricche di petrolio e altre risorse, come l’Africa occidentale. Questa politica di stampo coloniale sarà tra non molto attuata direttamente dal Comando dell’Africa che, per controllare tali aree, farà ancor più leva sulle élite militari, minando i processi di democratizzazione, provocando altre guerre e facendo aumentare le spese militari con disastrose conseguenze per le popolazioni già impoverite. In tal modo l’AfriCom proseguirà la «missione» del Comando europeo degli Usa, che si dichiara impegnato per «un’Africa autosufficiente e stabile».