«Colpa della troppa polizia»

Omeyya Seddik è uno dei rappresentanti del «Movimento dell’immigrazione e delle banlieues» (Mib), una federazione di cinquanta comitati dei quartieri periferici di Parigi. Di origine tunisina, vive a Seine-Saint Denise, il centro delle esplosioni di violenza.

Insomma, cos’è questa protesta? Una rivolta contro il governo, contro la polizia, o cosa?

I fattori sono diversi. A partire dal fatto che i quartieri popolari sono molto più ghettizzati di qualche anno fa. Rispetto alla metà degli anni `80 è diminuita progressivamente la presenza dei servizi sociali ed è aumentata, invece, la presenza della polizia. Non è teoria: la gente lo vive sulla pelle. Chi si muove viene controllato una, due volte al giorno. Soprattutto se è vestito – come si dice in banlieue – de souche (d’origine, ndr), insomma se non è francese. Si tratta di una politica dichiarata. Da una ventina d’anni, ormai, in Francia una delle principali domande del corpo elettorale è la sicurezza. E la risposta è la presenza sempre più visibile della polizia, vestita stile robocop, soprattutto nelle periferie.

Anche la politica dell’integrazione ha contribuito a creare ghetti…

E’ vero, in effetti. La politique de la ville inaugurata a metà degli anni `80 dal partito socialista in risposta ai movimenti dei beurs (gli immigrati maghrebini di seconda generazione, ndr) è stata un fallimento. Analizzare il perché sarebbe molto lungo. Sintetizzando posso dire che sono stati spesi molti soldi e nei quartieri è arrivato un esercito di operatori sociali e di associazioni. Di fatto, le associazioni che hanno operato nei quartieri hanno avuto da un lato una funzione di controllo e dall’altro di reclutamento politico per la sinistra. Il risultato è che ora i servizi sociali rimasti vengono considerati mercenari. Cosicché il discorso politico si è concentrato unicamente sulla sicurezza, e ormai il consenso politico su questo tema in Parlamento è totale.

L’interprete più convincente di questa politica, però, è Sarkozy.

Il suo è un ruolo di primo piano. Non è da oggi che il ministro dell’interno punta i suoi discorsi sui ragazzi delle banlieues. Qualche tempo fa li definì «piccoli terroristi di quartiere», sostenendo che per gestire le periferie serve una strategia antiterrorismo. Quando il ministro ha chiamato i ragazzi racaille (feccia, ndr) la notizia è rimbalzata in tutte le case. Lo hanno sentito giovani e vecchi. E la risposta, soprattutto da parte dei ragazzi, è stata: vuole la guerra? L’avrà.

Ma chi sono i ragazzi che protestano? Tutti poveri, tutti emarginati?

Certo che no: come in tutti i quartieri popolari qui c’è gente molto diversa. Ma poiché i discorsi dei media fotografano una polarizzazione molto forte – i ricchi sono bianchi e vivono al centro, i poveri sono arabi, musulmani e vivono nelle banlieues – tutti lì sembrano sentirsi maghrebini, musulmani e poveri.

E sono tutti musulmani?

Assolutamente no. Questo è il punto. La questione dell’islam sta diventando sempre più importante nei discorsi pubblici, e ormai è abitudine assimilare sistematicamente la figura del giovane delle banlieues all’islamico, ma anche al terrorista. E quello che accade è molto interessante: nei quartieri, ormai, tutti assumono su di sé il discorso dell’attacco all’islam, anche i ragazzi che non sono musulmani perché non sono credenti o perché, addirittura, vengono da famiglie cristiane. E’ un discorso che va molto al di là della religione: l’islam è diventato un elemento di classe. L’integrazione, in Francia, si è fatta al rovescio.

Il lacrimogeno in moschea è stato determinante?

La protesta è scoppiata per la morte dei due ragazzi. Anche se episodi di questo genere ne potrei raccontare a centinaia, e le proteste in genere rimangono locali. Stavolta tutto è stato amplificato dal ruolo mediatico di Sarkozy e dal suo discorso. In questo contesto il lacrimogeno in moschea è stato un detonatore. Purtroppo molti dicono: se fosse successo in una sinagoga o in una chiesa ci sarebbero migliaia di persone in piazza con Chirac in testa.

C’è qualche organizzazione che riesce ad avere una presa su questo movimento?

Quasi nessuna: gli unici posti di incontro frequentati sono le moschee, ma quasi sempre senza controllo sociale o vera organizzazione.

In conclusione, che differenza c’è tra la rivolta delle banlieues di oggi e quella degli anni `80?

Allora le proteste erano rivendicative, parlavano al potere, chiedevano qualcosa. Oggi i ragazzi non hanno vere domande, la loro è una pura contestazione, non hanno più illusioni. Dall’altra parte c’è solo il nemico.

E come finirà?

Non lo so, credo che questo fenomeno si allargherà. Forse, tra qualche tempo, appariranno forme di espressione più organizzate.