Colombia, l’altra palude degli Usa

Sarà il più grave scandalo della storia colombiana e farà tremare i poteri civili e militari, in Colombia e forse anche negli Usa. A minacciarlo, dalle pagine dellarivista Cambio, è il generale Jaime Humberto Uscátegui, che si dice pronto a rendere pubbliche le prove di «quello che abbiamo negato tutta la vita, ecioé il legame tra i militari e i paramilitari». Uscátegui non sopporta più di stare agli arresti in un’austera casetta nella Scuola di cavalleria di Bogotà ed è soprattutto spaventato dallaprospettiva di una dura condanna per avere permesso, nel luglio 1997, il massacro di 49 presunti collaboratori della guerriglia aMapiripán, cittadina in piena zona cocalera.

Quello di Mapiripán non fu un massacro qualunque. A renderlo eccezionale, rispetto ai duemila perpetrati in Colombia negli ultimi dieci anni, nonfurono né il numero delle vittime e nemmeno l’efferatezza con la quale vennero ammazzate, dopo essere portate nel mattatoio della cittadina, appeseai ganci usati per i manzi e squartate vive, con machete e sega elettrica. Se quell’orrore non fu dimenticato, lo si deve al coraggio del giovane giudiceLeonardo Cortés Novoa, che durante l’invasione dei paramilitari, telefonò più volte di nascosto alla guarnigione del vicino San José del Guaviare,chiedendo inutilmente ai comandanti di mettere fine alla carneficina. In un’occasione, un ufficiale domandò provocatoriamente a Cortés se i suoidisperati appelli non derivassero da un’eventuale simpatia per la guerriglia. Scampato miracolosamente ai paras intenzionati ad eliminare quelloscomodo testimone, probabilmente avvertiti dagli stessi ufficiali ai quali si era rivolto, Cortés Novoa raccontò tutto al procuratore generale,incastrando soprattutto il generale Uscátegui, comandante della settima brigata operante nell’area di Mapiripán. Le indagini successive dimostraronoche il manipolo di paramilitari che perpetrò il massacro, agli ordini di un uomo chiamato Mochacabezas (Tagliateste), era arrivato su due aereiprovenienti dalla regione di Cordoba, roccaforte delle Autodefensas di Carlos Castaño, atterrati tranquillamente sulla pista della base militare di SanJosé del Guaviare. E rivelarono che in quei giorni, a San José, c’erano decine di istruttori e berretti verdi statunitensi di Fort Bragg nella Carolinadel Nord, che non potevano essere all’oscuro del terribile episodio di guerra sporca che si stava consumando. L’inchiesta generò imbarazzo aBogotà, dove l’allora presidente Ernesto Samper garantì l’onestà delle forze armate colombiane, ed a Washington, dove parecchi deputatidemocratici chiesero di sospendere i programmi di addestramento di un esercito connivente con i paramilitari e di bloccare il Plan Colombia, allora infase di progettazione.

Se il massacro non cambiò affatto i rapporti tra militari e paramilitari colombiani e tanto meno quelli tra la Colombia e gli Usa, trasformò la vita dei suoiprincipali protagonisti. Dopo avere ricevuto varie minacce di morte, il giudice Cortés fu costretto ad esiliarsi in Svizzera, dove vive di stenti insiemecon la sua numerosa famiglia. Tra i militari coinvolti, il generale Uscátegui è stato quello che ha usato ogni mezzo per dimostrare la sua innocenza o,meglio, per godere della stessa impunità garantita in Colombia agli assassini in uniforme. Alcuni anni fa impose ai suoi subalterni di scagionarlofalsificando i messaggi che gli avevano inviato durante l’incursione paramilitare a Mapiripán. Adesso ha iniziato un ricatto nei confronti dello Statocolombiano, cominciando a raccontare particolari inquietanti di quel massacro: ad esempio, che i volantini distribuiti nella cittadina dai paramilitarierano stati scritti e stampati nella base di San José e che l’operazione militare attuato in quei giorni contro alcuni reparti guerriglieri delle Farc avevalo scopo di proteggere la missione omicida dei paras.

Ma Uscátegui sembra intenzionato a non limitarsi all’episodio di Mapiripán. Sulla rivista Cambio annuncia di voler rivelare il contenuto esplosivo di centinaia di documenti riservati sulla strategia paramilitare delle autorità colombiane, chesarebbero a conoscenza anche di quelle statunitensi. La sua denuncia è particolarmente imbarazzante perché capita mentre gli Usa si preparano araddoppiare il numero di militari e mercenari in Colombia. Il 20 aprile si aprirà il processo davanti alla giustizia civile: ci arriverà vivo il generale o finirà sotto i colpi di qualche sicario, come èsuccesso in passato a tutti i suoi colleghi che si sono ribellati al ruolo di capro espiatorio o alla favola dell’esercito «democratico e rispettoso dei diritti umani»? La reclusione in una caserma non servirà certamente a proteggerlo.

* Autore per Feltrinelli del libro «Colombia, il paese dell’eccesso»