Poeti, santi e navigatori. Di scienziati, invece, sempre meno. Non si può piangere sulla ricerca perduta e allo stesso tempo assetarla: il denaro disponibile è sempre meno, i criteri per spenderlo più misteriosi e intanto gli istituti più prestigiosi faticano a pagare il riscaldamento e la bolletta della luce. Al Consiglio nazionale delle ricerche, forse il nome che ha dato più lustro alla ricerca italiana, tira aria di sbaraccamento dal 2002. Prima la riforma di Letizia Moratti e l’introduzione del criterio «manageriale» nella gestione, poi le leggi Finanziarie lo stanno disgregando. E così la ricerca è sempre più legata ai privati che, in cambio di qualche soldo, ottengono di poter indirizzare la ricerca, usano le strutture del Cnr, la conoscenza dei ricercatori e alla fine si prendono il brevetto.
I manager al potere
L’effetto della riforma Moratti, diligentemente applicata dal discusso presidente del Cnr Fabio Pistella, è stato quello di gonfiare la burocrazia a dismisura. Se prima gli istituti si cercavano i fondi privati da soli e in autonomia, oggi fanno lo stesso ma devono rispondere a una catena gerarchica spaventosa: il Cda del Cnr delibera le linee guida, i singoli direttori di dipartimento (ne sono nati 12) «formulano le linee programmatiche». Gli istituti passano al dipartimento le proposte di attività di ricerca. Queste vengono confrontate fra ciascun dipartimento e fra gli istituti. Si concordano le commesse, quindi il consiglio dei direttori di dipartimento verifica la congruenza delle proposte e predispone una proposta coordinata. Poi la trasmette al direttore generale. A quel punto una persona normale si sarebbe arresa. Al Cnr invece vanno avanti: il direttore generale integra la proposta coordinata con le esigenze gestionali e predispone un piano preliminare poi inviato al Presidente. Quest’ultimo, acquisito il parere del Consiglio scientifico generale, mette giù il piano definito, che viene infine sottoposto al vaglio del Cda e inviato al ministro. Isaac Newton, con un sistema del genere, poteva soffocare sepolto dalle mele prima di poter proferire anche solo una parola sulla Legge di Gravità.
Rivoluzione copernicana
Grazie a questo sistema, tutto ruota intorno alla presidenza. Con effetti davvero curiosi. Se la Finanziaria 2007 ha imposto un taglio dei fondi del 5%, la presidenza Pistella ha interpretato la sforbiciata con criteri quanto meno originali. Mentre alcuni istituti si son visti ridurre il finanziamento ordinario di oltre l’80% – quelli dove ci si chiede come pagare il telefono – e chi ha avuto 340mila euro nel 2006 «necessari giusto per sopravvivere» quest’anno deve contentarsi di 70mila, le cifre stanziate per consorzi, convenzioni e relazioni esterne sono cresciute del 60%.
I laboratori a stecchetto
Il sistema delle scatole cinesi costa, in termini di stipendi al personale, moltissimo. E i costi per il personale sono proprio quelli di cui il Cnr sembra aver meno bisogno. L’ultima relazione della Corte dei conti spiega che nel 2005 il 94,9% del fondo del ministero se n’è andato da solo per pagare gli stipendi. E la cifra è in aumento. Tra il 2003 e il 2005 il personale è diminuito del 10% (-753 unità), eppure i costi sono cresciuti del 5% (+22 milioni di euro). Colpa delle buonuscite e degli scatti automatici. La politica di spingere verso il pensionamento non paga: ogni persona che si ritira costa quell’anno all’ente come tre persone del suo stesso livello. E gli scatti economici, tra il 2002 e il 2005, hanno incrementato di un quarto i costi per il personale. Ovvio poi che, di fronte al taglio della finanziaria, il presidente Pistella faccia compilare un’elegante circolare in cui spiega: «Tutte le spese sono incomprimibili, tranne il fondo di dotazione degli istituti». Gli stipendi non si possono ridurre. Ma questo vuol dire: se si taglia, si taglia in laboratorio. E dire che già nel 2005 il valore di macchine e strumenti scientifici erano in netto calo: -35,48%. Importa poco che il numero di pubblicazioni scientifiche firmate dal Cnr sia in calo. Il contributo dell’ente alla ricerca propositiva – dice sempre la Corte dei Conti – è diminuito del 25%.
Il terzo riordino
A queste condizioni, mentre l’atmosfera si fa sempre più pesante e l’attività di ricerca sempre più rada, ai più è chiaro che il promesso (dal ministro della Ricerca scientifica Fabio Mussi) «riordino degli enti di ricerca» si farà solo a condizione di trovare una cura da cavallo. Il fatto che il Cnr proceda dritto per la sua strada non tragga in inganno: il declino è ben presente agli occhi di tutti, di chi protesta e di chi tace. E nel frattempo s’è apparecchiata l’ultima tavola buona prima della revisione governativa: un bel concorsone.
Scienziati in 10 secondi
In Italia funziona così: per anni c’è il blocco delle assunzioni. Poi ci si accorge che l’età media avanza (49 anni) e allora si appronta una sanatoria. L’ultima, al Cnr, è partita il 9 giugno 2004 per 475 posti. Doveva servire per far progredire i cosiddetti «anomali permanenti», ricercatori che per più di 12 anni erano rimasti al palo. Alla fine, come spesso succede, è stato aperto a tutti. Il 53,7% della comunità scientifica del Cnr ha subito una sonora bocciatura (tra cui anche l’intero gruppo di ricerca del Nobel Rita Levi Montalcini). Vuol dire che fino a ora gli scienziati che lavoravano ci hanno preso in giro? Nient’affatto. «Colpa dei criteri – spiega l’Usi-Rdb Ricerca – sindacato che ha raccolto centinaia di ricorsi e che ha pubblicato un libro bianco sugli orrori del concorsone di cui si sta interessando anche la magistratura -. Per ottenere i punteggi di anzianità era necessario superare quello per titoli, ma calcolando il tempo dedicato alle commissioni alla verifica di pubblicazioni scientifiche, brevetti, rapporti tecnici e incarichi, si scopre che ogni commissione ha dedicato a ciascuno una decina di secondi. E dire che si tratta di studi spesso innovativi in campo internazionale, mica dei test per la patente». La domanda dunque è: quali criteri sono stati utilizzati? La disamina concede scorci spassosissimi: c’è la commissione che, per par condicio, assegna a ogni lavoro lo stesso punteggio; c’è il candidato che si vede valutata persino la dicitura «elenco pubblicazioni»; c’è quello che salta due livelli perché risulta vincitore ed è appena entrato di ruolo in quello inferiore; c’è la prima autrice di una ricerca che ottiene 2 punti per il suo lavoro e la coautrice che, per la stessa ricerca, ne ottiene 3,8; e c’è il candidato che «si giudica da sé». Vive in simbiosi con uno dei commissari: insieme hanno collaborato a 41 pubblicazioni su 43 esibite, 17 congressi internazionali su 19 e 48 congressi nazionali su 64. La commissione, alla fine, scriverà che è stato valutato l’apporto del candidato «tenendo conto della continuità della produzione scientifica e della notorietà del candidato nel settore di appartenenza». Di sicuro era noto al commissario.