Gli americani stanno indagando per verificare se Israele, durante la sua campagna in Libano, ha fatto un uso troppo ampio delle cluster bomb da loro fornite, violando così un accordo segreto firmato a suo tempo.
Le cluster bomb sono quelle che quando esplodono a terra «liberano» dal loro interno centinaia di bombette che si dipartono in tutte le direzioni finché non esplodono a loro volta. In termini militari sono considerate ottime per eliminare le batterie di missili, o meglio tutti quelli che le fanno funzionare, ma non sono molto brave a distinguere quelli che operano le batterie da quelli che stanno fuggendo dalle proprie case. E così molti dei mille e più libanesi che durante la rappresaglia israeliana hanno perso la vita sono morti grazie alle cluster bomb e gli oltre 4.000 rimasti feriti sono in gran parte civili. I feriti da bomba, secondo gli osservatori dell’Onu e le organizzazioni non governative presenti in Libano, sono più numerosi di quelli che la loro vita l’hanno lasciata sotto le macerie delle case distrutte.
Di qui l’inchiesta, avviata dal dipartimento di Stato, che a quanto pare è partita proprio dai rapporti di Onu e ong. Non è stata annunciata ufficialmente, l’inchiesta, ma le indiscrezioni sulla sua esistenza finite ieri su vari giornali americani non sembrano aver fatto arrabbiare l’amministrazione Bush come in altri casi. Può essere che il dipartimento di Stato abbia «desiderato» che l’esistenza dell’inchiesta diventasse di pubblico dominio per rispondere in qualche modo alle accuse di avere fatto da spalla all’operazione militare israeliana in Libano, in particolare quando Washington si è data da fare per dilungare le discussioni sul cessate il fuoco allo scopo di dare agli israeliani il tempo di fare terra bruciata nel territorio controllato dagli Hezbollah. Una sorta di mascherata operazione di public relations, insomma, a conferma della quale viene il particolare – anch’esso fornito dalle indiscrezioni a mezzo stampa – secondo cui proprio nel pieno della fallita offensiva israeliana in Libano gli Stati uniti avrebbero negato la consegna di un imprecisato numero di M-26 (missili capaci di «portare» proprio le cluster bomb) che gli israeliani avevano chiesto con insistenza.
L’accordo fra Stati uniti e Israele in merito alle cluster bomb risale agli anni Settanta, quando queste miunizioni micidiali furono create per ammazzare i vietcong (e chiunque altro) nascosti nella vegetazione vietnamita, e immediatamente fornite anche agli israeliani. Cosa esattamente ci sia scritto sull’accordo non si sa, ma il concetto base sembra essere che l’uso di quelle bombe è consentito solo contro eserciti ufficiali di paesi aggressori e pare addirittura che citi, come situazione «possibile», le guerre del 1967 e del 1973.
Dopo l’invasione del Libano del 1982 un’inchiesta del Congresso stabilì che l’esercito israeliano aveva violato l’accordo usandole contro i civili libanesi e l’amministrazione guidata da Ronald Reagan decise di sospendere per sei anni la consegna di quelle bombe a Israele.
Il rapporto del Mine Action Coordination Center delle Nazioni unite, che sta lavorando allo sminamento del territorio dove si è combattuto, dice che sono state trovate cluster bomb inesplose in 249 località. Fra esse, 559 del tipo M-42, bombe specificamente studiate per le persone; 663 del tipo M-77 (quelle contenute nei missili M-26 la cui consegna sarebbe stata sospesa dagli americani) e varie altre. Trattandosi di ordigni inesplosi l’idea è che costituiscano solo una piccola frazione di quelle effettivamente impiegate. Dove questa inchiesta possa portare non è chiaro, ma un po’ tutti quelli che hanno commentato questa storia dicono che mai e poi mai Washington farebbe qualcosa capace di «mettere a rischio la sicurezza di Israele». E siccome sotto quella voce può andarci qualsiasi cosa, la sola spiegazione per questa «inchiesta» è quella dell’operazione di public relations.