Clima, la Cina ha fatto miracoli

La Cina cresce, ma i gas serra calano. Nel giro di cinque anni il paese più popolato del mondo è riuscito a ridurre del 7,3% le emissioni di anidride carbonica, principali responsabili di quel fenomeno chiamato «effetto serra». Un autentico record, ma soprattutto un autentico schiaffo a quei paesi – gli Stati Uniti – che utilizzavano l’inefficienza ecologica dei nuovi paesi industriali per giustificare il proprio no al protocollo di Kyoto. I risultati, pubblicati sulla prestigiosa rivista «Science» tolgono ogni alibi all’occidente e, soprattutto, all’amministrazione Bush. Ma non possono allentare l’attenzione che tutti i paesi devono porre alle condizioni di salute del pianeta.
Il 10 gennaio scorso gli amici ricercatori del Worldwatch Institute di Washington hanno presentato ufficialmente l’ultimo «State of the World 2002» (della cui edizione italiana che sarà pronta alla fine di marzo, edita dalle meritorie Edizioni Ambiente di Milano, sono il curatore da 15 anni). Dieci anni dopo il grande Earth Summit dell’Onu di Rio de Janeiro, gli ecosistemi del nostro pianeta si trovano in condizioni peggiori e la stragrande maggioranza degli esseri umani vive in una situazione di povertà insostenibile.
La popolazione umana continua a crescere (eravamo 1,6 miliardi di persone all’inizio del Novecento, abbiamo chiuso il secolo scorso con più di 6 miliardi e, secondo le più aggiornate previsioni Onu, saremo 7 miliardi nel 2012, 8 miliardi nel 2026 e ben 9 miliardi nel 2043), i consumi sia dei paesi ricchi che di quelli di nuova industrializzazione crescono, la richiesta di energia pure (e continua a basarsi drammaticamente sulle fonti fossili non rinnovabili che, inoltre, provocano situazioni di instabilità sociale e politica sempre più gravi), gli scarti ed i rifiuti del nostro sottosistema economico e produttivo continuano a crescere, mentre, a dispetto, della prosperità economica degli anni Novanta, il divario tra ricchi e poveri del mondo sta sempre più crescendo, minando la stabilità sociale ed economica in moltissime aree del mondo ed, in genere, nel pianeta intero.
A fine agosto i potenti della Terra si troveranno nuovamente al «capezzale» del pianeta nel grande Summit mondiale dell’ONU sullo sviluppo sostenibile a Johannesburg. Sarà quindi un momento fondamentale di bilanci e di rilancio dell’impegno e della reale concretizzazione delle politiche di sostenibilità, sino ad oggi troppo declamate e pochissimo praticate. La comunità scientifica internazionale ha lanciato ormai una inquietante serie di allarmi argomentati e serissimi (non ultimo quello della Open Science Conference on Global Change di Amsterdam del luglio scorso dove i grandi programmi internazionali di ricerca sui cambiamenti globali hanno rilanciato l’appello sulla responsabilità dell’intervento umano come causa di profonde modificazioni nelle dinamiche dei sistemi naturali) ma la risposta politica ed economica continua ad essere drammaticamente carente e colpevole. Alla luce di tutto questo, assume ancora più importanza quel che la Cina è riuscita a compiere nel giro di cinque anni. Tale «record» – effettuato dal 1996 al 2000 e documentato da vari team di ricercatori cinesi e statunitensi sulle pagine della prestigiosa rivista «Science» – la dice lunga sull’assurdità delle posizioni dell’amministrazione Bush che ancora si rifiuta di ratificare il Protocollo di Kyoto per la riduzione delle emissioni di gas serra, con una previsione di percentuale di riduzione francamente ridicola rispetto a quello che sarebbe necessario e che la comunità scientifica richiede ormai da tempo.
Tra i motivi del suo rifiuto, l’amministrazione americana aveva infatti addotto anche l’argomentazione che i paesi di nuova industrializzazione, come la Cina, avrebbero dovuto, da subito, far parte di quelli che il Protocollo comprendeva per gli impegni di riduzione, previsti giustamente e logicamente per i paesi più ricchi e più inquinatori, come, per l’appunto gli stessi Usa.
Il tempo passa, l’umanità continua a crescere, ad inquinare, a consumare risorse, a dividersi sempre di più tra pochi ricchi-ricchi e tanti poveri-poveri. Non si vede all’orizzonte nessun governo che abbia veramente il coraggio di prendere la leadership per un autentico cambio di rotta che la realtà che ci circonda obbligherebbe come immediato e responsabile. In questo quadro generale il Summit di Johannesburg ha una sola probabilità di riuscire: concordare finalmente l’ avvio concreto di una vera e propria economia ecologica dove i sistemi naturali entrino nei conti economici e dove gli indicatori che fanno la politica in tutti i paesi del mondo, come il Prodotto interno lordo, vengano riformulati con nuovi indicatori di vero benessere, ambientale, sociale ed economico.

Portavoce WWF Italia