Classe operaia e movimento

Un dibattito utile

Ritengo utile il fatto che l’articolo scritto insieme al compagno Burgio e pubblicato dal Manifesto il 19 luglio scorso abbia stimolato un dibattito all’interno del partito. Le novità positive che si sono determinate con la lotta dei meccanici e la crescita del movimento contro la globalizzazione capitalistica impongono di aggiornare la nostra analisi.
Il governo delle Destre a Genova ha dimostrato nei fatti, sia sposando la tesi di Bush sullo scudo spaziale, sia nella gestione criminale e fascista della piazza, di quale politica intenda farsi promotore. Inoltre la stagione autunnale ormai prossima è densa di importanti scadenze, quali la manifestazione del partito del 29 settembre, la mobilitazione del movimento del 10 novembre, la prosecuzione della lotta dei meccanici per il contratto e una iniziativa, questa tutta da costruire e che auspichiamo la più larga possibile, contro le scelte di politica economica che il governo intenderà attuare con la Finanziaria: pensioni, sanità e scuola pubblica saranno i probabili obiettivi delle Destre che noi dovremo difendere.
Questi avvenimenti si intrecceranno, e quindi potranno determinare una influenza positiva, sui tre importanti congressi che di fatto sono già iniziati, quello del nostro partito, quello della Cgil e quello dei Ds.
Possiamo quindi lavorare a queste scadenze con passione, confortati dal fatto che abbiamo superato una difficile tornata elettorale dove l’obiettivo esplicito era farci scomparire e che la scelta di mantenere una nostra autonomia rispetto al centro-sinistra (questo è l’elemento strategico che determinò la rottura con il governo Prodi) è stata essenziale per il futuro.
Basta pensare in quale disastro ci troveremmo oggi se non avessimo avuto la forza di distinguerci dal “buco nero” in cui si è ficcato il centro-sinistra, con le sue scelte politiche ultra-moderate e con la decisione di impegnare direttamente l’Italia – per la prima volta dalla Liberazione – in una guerra infame.
Possiamo fare questa discussione con passione perché, per la prima volta da tanti anni, percepiamo attorno a noi la possibilità di un risveglio delle coscienze e di una voglia di lottare, che può aiutare il nostro partito a crescere e a trovare nuova linfa di cui nutrirsi.
Dobbiamo impegnarci tutti, e questo lo dico prima di tutto a me stesso, a confrontarci senza retropensieri, evitando forzature delle opinioni altrui, con la convinzione profonda che in questo mondo sempre più ingiusto c’è bisogno di comunismo, di cambiamenti radicali e che perciò la nostra scelta strategica è giusta. Certo, vi è una sproporzione tra questa esigenza e le nostre forze, ma proprio a questo deve servire il nostro dibattito: a capire quali sono le scelte politiche più efficaci per dare un contributo in questa direzione.

Centralità del lavoro dipendente

Detto questo, vorrei fare alcune considerazioni sul dibattito che l’articolo scritto da Burgio e me ha suscitato.
L’articolo “nasce” nel corso della manifestazione del 6 luglio di Bologna dei meccanici a cui abbiamo assieme partecipato; il Manifesto ha poi ritenuto di pubblicare il pezzo dopo dieci giorni, all’inizio delle mobilitazioni di Genova e questo ha indotto una lettura critica nei confronti del movimento in quanto tale che non era assolutamente nelle nostre intenzioni esercitare.
Al contrario, e questo è il punto, la riflessione era ed è: come possiamo noi, Rifondazione comunista, contribuire affinché vi sia una connessione forte tra questo movimento operaio che sciopera e torna in piazza e il movimento contro la globalizzazione capitalistica? Siamo d’accordo su questa necessità? Se siamo d’accordo diciamo anche chiaramente che le posizioni che hanno sostenuto e sostengono che la contraddizione capitale-lavoro non è più centrale nelle società a capitalismo avanzato e che la “rivoluzione post-fordista” ha di fatto chiuso la possibilità di organizzare il conflitto di classe a partire dai luoghi di produzione, la riteniamo sbagliata.
La riuscita degli scioperi, delle manifestazioni e della raccolta di firme per il referendum dei meccanici, smentisce clamorosamente questa tesi. Tra l’altro ciò è avvenuto – rendendo ancor più significativa questa lotta – nonostante il sindacato, con la politica concertativa, abbia abdicato non solo alla difesa minima degli interessi materiali di vita e di lavoro, ma anche alla difesa della dignità dei lavoratori in quanto classe nei confronti dei padroni e del governo.
Io credo che dire queste cose non significhi indebolire il movimento, ma l’esatto contrario, cercare di innervarlo di contenuti che gli diano il “fiato lungo”. Ce lo suggerisce lo stesso Dino Greco, segretario della Camera del lavoro di Brescia, quando nell’intervista di Liberazione dell’1/8 dice: “Resta in ombra la questione decisiva del modo di produzione e del lavoro. Qui è il nostro cimento e contributo maggiore, senza il quale lo stesso movimento in atto potrebbe insterilirsi e rifluire.”
Parallelamente a questo, si deve riflettere su certe modalità che abbiamo definito, criticandole, di spettacolarizzazione del movimento. La giornata del 20 luglio di Genova ha dimostrato che non servono, anzi esse hanno oscurato cose ben più importanti come la presenza quel giorno – lavorativo – di oltre diecimila lavoratori che hanno scioperato e manifestato, raccogliendo l’appello delle organizzazioni extraconfederali. Questo è chiaramente denunciato da un comunicato dei compagni dello Slai-Cobas che dice: “Man mano che passavano i giorni abbiamo però assistito a un crescendo di dichiarazioni tese a trasformare la giornata del 20 in un momento in cui dare sfogo mediatico a un virtuale assalto alla zona rossa. Visto che altri si erano fatti, con clamore, sponsor di questa scelta, cercando di imporla a tutto il sindacalismo autorganizzato, come Slai Cobas, insieme alla Cub, abbiamo tentato anche con appello pubblico, di riportare il dibattito non su chi riusciva simbolicamente ad entrare nella zona rossa, ma sui contenuti che questa manifestazione doveva evidenziare. Questo non è purtroppo avvenuto.”

Il problema della guerra e della solidarietà internazionale

Come Rifondazione comunista abbiamo da tempo sostenuto che il nostro progetto è quello di costruire convergenze con le altre forze della sinistra di alternativa sulla base di due discriminanti: la lotta al liberismo e la lotta contro la guerra.
Ecco, io credo che questa questione della guerra non possa essere rimossa; noi dobbiamo farci carico di lavorare per un impegno chiaro del movimento in questa direzione che si concretizzi in una iniziativa forte affinché ci si mobiliti contro il progetto di scudo spaziale voluto dagli Usa e appoggiato da Berlusconi.
Così come dobbiamo rimarcare il fatto che tra gli organismi sovranazionali totalmente illegittimi vi è la Nato che deve essere chiusa. Sono i generali della Nato che hanno operato in Irak e in Serbia i veri criminali di guerra e che un tribunale internazionale (non la farsa del tribunale dell’Aja) dovrebbe giudicare e condannare.
Noi a Genova abbiamo vissuto tre giornate caratterizzate da una azione delle forze dell’ordine (?) che giustamente abbiamo definito di tipo cileno. Come possiamo definire l’operato, non di 3 giorni all’anno, ma di 365 giorni all’anno dello stato israeliano nei confronti dei palestinesi e dello stato turco nei confronti dei curdi? Che cosa sono l’annientamento del popolo curdo e la pervicacia con cui si nega un fazzoletto di terra ai palestinesi se non la punta più avanzata della globalizzazione capitalistica ed in particolare della ferocia con cui gli Usa cercano di dominare il mondo? Chiedere e battersi affinché il movimento assuma anche questi problemi e li faccia diventare parte integrante della sua piattaforma significa attaccare il movimento? No, significa arricchirlo di battaglie importanti che il nostro partito, assieme a tante altre associazioni, ha sviluppato in questi anni.

Il ruolo del partito nel movimento

Non ho mai pensato, nemmeno mai scritto, che il partito debba avere una relazione esterna al movimento. Il partito deve stare dentro il movimento. Il problema è come stare nel movimento. Io credo che dobbiamo starci con le nostre idee, senza supponenza, ma anche senza subalternità, con la voglia di capire e di arricchirci, ma non in modo acritico, con la convinzione che la straordinaria storia del movimento operaio socialista e comunista in questi ultimi centocinquant’anni non è una zavorra di cui liberarsi, ma un immenso patrimonio da cui attingere tanti insegnamenti anche per l’oggi.
Infine io credo che una riflessione debba essere fatta, per il futuro, per garantire che queste manifestazioni si svolgano in modo pacifico – condizione essenziale perché restino appuntamenti di massa – e per evitare che eventuali scontri coinvolgano, come è avvenuto a Genova, persone totalmente indifese tra le quali anche disabili, anziani e bambini.
Sul primo problema nessuna titubanza: la forza di questo movimento sta nel fatto che è un movimento di massa e per rimanere tale deve essere un movimento pacifico. Ciò non significa non comprendere le ragioni che inducono una parte di giovani a manifestare anche in forma violenta; chi esercita il proprio dominio con le guerre e gli embarghi deve sapere che suscita inevitabilmente sentimenti di odio e di violenza. Significa per noi fare una battaglia politica contro una pratica – l’uso della violenza – il cui unico risultato sarebbe quello di fare morire il movimento.
Sul secondo problema io non capisco perché la costituzione di un minimo di servizio d’ordine debba essere ritenuto un fatto sbagliato o addirittura un impedimento per la crescita del movimento. Noi abbiamo il dovere di garantire ai compagni/e che facciamo salire sui nostri pullman e sui nostri treni (si tratta di decine di migliaia di persone di tutte le età) il massimo di sicurezza possibile e questo lo si può cercare di ottenere solo con una organizzazione (che non ha nulla di militare, né nell’atteggiamento, né nell’utilizzo degli strumenti). In molte federazioni tra l’altro ciò è in funzione da tempo e ha dato ottima prova di sé. Si tratta di estendere questa esperienza e di poter disporre quindi, assieme a fotografi, cineoperatori, giornalisti, medici e avvocati, di diverse centinaia di compagni e compagne che siano in grado di affrontare tutte le difficoltà organizzative che si possono presentare nel corso delle manifestazioni.