Cittadini in 5 anni, la riforma dell’Unione

Lo avevano detto, e lo hanno fatto. Più o meno a cento giorni dall’insediamento del governo dell’Unione, il consiglio dei ministri ha varato ieri il disegno di legge che riformerà la legge sull’acquisizione della cittadinanza italiana, datata 1992. Ora la palla passa alle Camere, che dovranno approvare il ddl. Tempo previsto: un anno e mezzo.
Per gli immigrati che vivono nel nostro paese sarà un po’ più facile diventare cittadini italiani. Da dieci anni di permanenza – il periodo più lungo previsto in Europa – si passa a cinque anni (come era con la legge del 1912) per «lo straniero che risiede legalmente nel territorio della Repubblica», recita l’articolo 4. Ma la vera rivoluzione è per i bambini che nascono in Italia da genitori stranieri. Finora, non sono cittadini italiani fino al compimento dei diciotto anni. Se non lo fanno diventano stranieri come qualsiasi altro immigrato e devono passare per le forche caudine dei dieci anni di presenza regolare e «continuativa» (quest’ultimo elemento è stato introdotto dal decreto attuativo della legge, nel 1993).
Ora, invece, diventeranno automaticamente italiani se almeno uno dei due genitori è presente regolarmente in Italia da cinque anni ed è «in possesso del requisito reddituale per il rilascio del permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo». In pratica, uno dei due genitori deve avere le caratteristiche richieste per ottenere la carta di soggiorno: cinque anni di presenza regolare in Italia e un reddito annuale pari all’assegno sociale (circa 400 euro al mese). Oltretutto il disegno di legge prevede che la presenza legale di uno dei due genitori sia «senza interruzioni». Stesso criterio per i minori che non sono nati in Italia: in questo caso potranno diventare cittadini se hanno frequentato almeno un ciclo scolastico in Italia o un corso di formazione professionale, oppure se hanno svolto un’attività lavorativa regolare per almeno un anno. Dovranno essere presenti in Italia da cinque anni «senza interruzioni» e uno dei due genitori dovrà avere i requisiti per la carta di soggiorno. Siccome tanto per chi nasce in Italia che per i minori saranno i genitori a chiedere la cittadinanza, una volta raggiunta la maggiore età potrà rinunciare a essere italiano. Perché, ha spiegato il ministro dell’interno Giuliano Amato che insieme al ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero ha studiato il provvedimento «la cittadinanza è un diritto e non un obbligo». La stretta arriva sui matrimoni: mentre ora chi sposa un cittadino italiano può chiedere subito la cittadinanza dopo sei mesi di residenza nel terriotiro della Repubblica, ora dovrà aspettare due anni. Altra novità l’arrivo dei «test». Per le naturalizzazioni, infatti – cioè per lo straniero che chiede di diventare italiano – l’articolo 5 prevede «la verifica della reale integrazione linguistica e sociale dello straniero nel territorio dello Stato». Inoltre, non sarà più il Presidente della Repubblica a conferire la cittadinanza, ma il ministero dell’Interno. Infine, il ddl annuncia che per il giuramento verranno stabilite nuove regole da un successivo regolamento. Probabilmente, si pensa di introdurre la famosa «cerimonia» tanto cara al premier Prodi. Secondo il ministro Amato con le nuove norme arriveranno «circa 180 mila domande l’anno».
L’Unione, all’unisono, plaude al varo del ddl: una decisione di civiltà, dicono tutti, che avvicina finalmente l’Italia all’Europa. Certo, c’è chi osserva che ci sono ora altri passi da fare: il Prc e il Pdci tornano a chiedere al chiusura dei cpt e l’abrogazione della Bossi-Fini, e la deputata Graziella Mascia di Rifondazione si raccomanda che – nell’acquisizione della cittadinanza – vengano anche sveltite le pratiche (oggi, oltre a aspettare dieci anni ce ne vogliono altri due per concludere l’iter). Per il sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi il prossimo passo deve essere «la concessione del voto amministrativo». La destra, invece, grida allo scandalo accusando il governo di voler aprire «scontri etnici». Disponibilità è venuta solo dal presidente di An Gianfranco Fini «discuterò serenamente», ha detto, precisando che, secondo lui, la residenza legale deve essere di «almeno 7 o 8 anni». Per l’Udc è Bruno Tabacci che parla di «strategia giusta». La Lega, invece, si lascia andare ai soliti deliri. Roberto Calderoli parla di «voto ai bingo bongo» e annuncia «guerra» non soltanto in parlamento, ma anche «nelle strade».