Cinecittà, delundenti le nomine ai vertici

Quelli erano i luoghi di formazione delle future generazioni, quelli i luoghi pubblici preposti al sostegno e alla diffusione del cinema italiano. Quelli i luoghi che andavano colpiti e controllati. E a nulla sono servite le proteste, le assemblee, le mobilitazioni del mondo del cinema e di tutta la cultura.
E non a caso la prima – e forse per fortuna – l’unica legge di riforma di settore del governo Berlusconi è stata quella sul cinema. Una legge che ha ridotto la produzione italiana a circa 30 film l’anno. Che equivale alla distruzione della cinematografia di un paese.

Infine i tagli dei fondi.

Questa è l’eredità lasciata dal governo delle destre. Questa anche la sfida che è stata raccolta. E nella sfida c’è il programma dell’Unione sulla cultura, c’è l’impegno del nuovo governo ad “investire” nella cultura considerata finalmente una risorsa strategica per il paese, c’è l’impegno fondamentale ad una totale inversione di tendenza nei criteri di gestione e quindi nei criteri di nomina delle persone nei luoghi che quelle politiche dovranno attuare. Trasparenza, professionalità, competenza: bandi pubblici, curricula, consultazioni. Per i direttori dei teatri, per le fondazioni lirico sinfoniche, le istituzioni concertistiche, le commissioni ministeriali, il gruppo cinematografico pubblico, per le istituzioni culturali pubbliche, per tutti i luoghi della cultura.

Ed un altro impegno di discontinuità: fuori “la politica” dalla cultura, così come da tanti altri settori della vita sociale di questo paese.

Perché tanta miopia? Perché si è così lontani dal mondo reale da ritenere di non dover dare ascolto e voce ad un movimento fortissimo che sta attraversando in particolare le giovani generazioni e che chiede discontinuità forte, “eticità” (se è una parola che si può ancora usare), possibilità di tornare ad avere fiducia nella politica, possibilità di poter ricominciare a restituirle quel significato alto che le è proprio?

Perché si continua a sottovalutare così tanto il valore strategico che la cultura ha per il futuro di un paese, per la sua stessa democrazia, da pensare che chiunque, dico chiunque, possa essere ritenuto adatto per i luoghi di elaborazione, gestione, formazione e produzione culturale?

Non è vero che abbiamo tanto tempo. Anzi penso che ne abbiamo pochissimo. Sono state talmente alte le speranze, sono talmente alte e urgenti le aspettative, è stato talmente alto l’investimento politico ed emotivo in questo nuovo governo, è talmente urgente e definitivo il bisogno di cambiamento, che i rischi di delusione e di allontanamento sono fortissimi. Potremmo poi non avere il tempo per recuperare.