Cina-Russia, le grandi manovre che spaventano l’Asia e l’America

Le parole del vecchio Deng Xiaoping, il leader della modernizzazione, erano forse state dimenticate dalle diplomazie dell’ Occidente diviso fra l’ intemperanza incalzante di Washington e la crisi politica e ideale che angoscia l’ Europa. «Noi ci opponiamo a coloro che supportano l’ egemonismo». Era un comunista pragmatico Deng, bravo o cattivo che lo si consideri. E sapeva scrutare nella sfera degli equilibri internazionali. L’ uomo che in poco tempo era stato capace di mandare in soffitta il vetusto pensiero maoista aveva detto e anticipato: «Dobbiamo fornire il nostro contributo nel cosiddetto mondo multipolare. Anche la Cina sarà un polo». Non era un indovino. E nemmeno un giocatore d’ azzardo. Il piccolo Deng, sopravvissuto alle purghe e alle faide interne al Partito comunista, aveva un progetto per la testa. E lo coltivava. Mai come in queste ore le pillole di realismo proposte dal successore del Grande Timoniere stanno rivelando la loro carica dirompente che all’ epoca – erano i primi anni Novanta con gli echi della strage di piazza Tienanmen ancora pesantissimi – ben pochi avevano saputo salutare con la giusta considerazione.

PAGINA NUOVA – Oggi, le esercitazioni militari congiunte fra Cina e Russia aprono una pagina nuova nella storia dei rapporti fra le potenze che si confrontano sulla scena economica e sulla scena politica globale. Più che alla durata (sette giorni, dal 18 al 25 agosto) e al numero degli uomini coinvolti, che nell’ area in faccia al Pacifico, fra Vladivostok e la provincia dello Shandong, saranno per parte cinese ottomila divisi fra i migliori reparti dell’ Esercito, della Marina, dell’ Aviazione e del settore missilistico, occorre guardare al contenuto e al significato di «Peace Mission 2005», così è stata qualificata l’ operazione. Il messaggio che essa lancia è diretto soprattutto agli Stati Uniti, alla vigilia degli incontri bilaterali di autunno fra Bush e Hu Jintao, nei quali si troveranno per la prima volta soli uno di fronte all’ altro. E riguarda gli assetti del continente asiatico. La questione di Taiwan e della minaccia nucleare rappresentata dalla Corea del Nord sono solo due capitoli – importantissimi – di un mosaico assai complesso e in progressivo mutamento. Un mosaico nel quale convergono interessi commerciali e finanziari che sono connaturati alla creazione entro il 2015 di un’ area di libero scambio fra la Cina e i dieci aderenti all’ Asean (l’ Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico, dalla Thailandia all’ Indonesia, dal Laos al Vietnam, dalla Malaysia a Singapore), potenziale incubatrice di nuove deregulation e nuove sfide sui mercati di tutto il pianeta; convergono interessi economici strategici che riguardano sia il controllo dei mari attorno alle Filippine e attorno a Taiwan, nei quali transitano l’ ottanta per cento dei traffici e delle rotte petrolifere diretti alla Cina; convergono, infine, interessi politici che richiamano rivendicazioni storiche (quella della Cina sulla sua integrità territoriale e unicità con Taiwan, la «One China Policy») e profondi risentimenti (quelli fra Giappone e Cina sul riconoscimento richiesto dalla Cina dei crimini di guerra commessi da Tokio durante l’ occupazione e il conflitto bellico). In linea generale, la stabilità nella regione fondata sul congelamento dei rapporti di forza che consegnavano agli Usa il ruolo di unici guardiani dello status quo seguito al disfacimento dell’ Unione Sovietica si è incrinata. Si può discutere sulle conclusioni finali ma ciò che Condoleezza Rice annotava nel febbraio del 2000 era, ed è, vero: «La Cina desidera alterare la bilancia del potere a suo favore, questo ne fa un competitore strategico non un partner strategico». Si affacciano e si riaffacciano nuovi attori, Cina e Russia, che insieme pongono in discussione la logica unilaterale e «padronale» con la quale Washington, essi affermano, ha inteso caratterizzare la sua presenza in Asia negli ultimi quindici anni. Un editoriale apparso nei giorni scorsi contemporaneamente sul Quotidiano del Popolo e sul China Daily, giornale del governo, lo spiega con molta chiarezza: «Cina e Russia sono poteri importanti … impegnati in un nuovo ordine politico ed economico e nella protezione pacifica del mondo e della regione».

L’ ORSO E IL DRAGONE – L’ Orso e il Dragone si muovono con logiche sempre più convergenti verso un’ alleanza economica e politica che sconfina nel settore militare per cominciare a edificare un «centro di gravità» alternativo a quello costituito da Washington e dai suoi alleati, Giappone e Taiwan in primo luogo. Entrambe, Pechino e Mosca, si sono presentate negli ultimi mesi con estrema disinvoltura e dinamicità sul fronte diplomatico. Lo scopo è quello di affermare e consolidare il loro potere di attrazione sui rispettivi vicini, per sottrarli alla sfera di influenza e di condizionamento americana. La Cina ha ormai stabilito con la Corea del Sud una linea preferenziale di interscambio al punto di essere diventata la prima meta delle esportazioni da Seul (gli Usa sono passati al secondo posto). E ha ripreso i colloqui con l’ altro Gigante d’ Asia, l’ India, sia per chiudere vecchie questioni di confine sia per definire collaborazioni industriali nel settore tecnologico. Ha poi acquistato un valore crescente la riunione periodica della Organizzazione di cooperazione di Shanghai che dal 1999 accoglie attorno allo stesso tavolo, con Pechino e con Mosca, le irrequiete Repubbliche ex sovietiche del Kazakhstan, del Kirghizistan, del Tagikistan e dell’ Uzbekistan. Per Pechino queste Repubbliche hanno un’ importanza vitale in quanto ricche di fonti energetiche dalle quali la sua economia in piena marcia ha bisogno di rifornirsi. Nell’ ultimo incontro prima dell’ estate il Gruppo di Shanghai ha emesso un comunicato nel quale invita gli Stati Uniti, che hanno basi di appoggio sia in Uzbekistan sia in Tajikistan sia in Kirghizistan, a lasciare l’ area. Pur con tutta l’ ambiguità e l’ inaffidabilità che caratterizza i regimi totalitari e autoritari delle ex Repubbliche sovietiche, si è comunque trattato di un campanello d’ allarme per gli Usa. I quali, come se non bastasse quel primo ammonimento, si vedono ora costretti a prendere atto che i vertici militari dei quattro Paesi sono stati invitati a partecipare alle manovre militari a Vladivostok e nella provincia dello Shandong.

INIZIATIVA CONGIUNTA – E’ dunque all’ interno di un quadro articolato che va collocata l’ iniziativa congiunta delle forze armate di Cina e Russia. Pechino e Mosca, dopo la crisi del 1979 e la rottura – provocata dalla guerra fra Cina e Vietnam – del trattato di amicizia che era stato firmato nel 1950 da Stalin e Mao, hanno ripreso agli inizi degli anni Novanta a ricercare la via della collaborazione e della cooperazione. Un percorso lungo segnato da tre tappe. Lo ricordava in questi giorni il Quotidiano del Popolo. La «fine del passato e l’ inizio del futuro», con la prima fase di «mutua amicizia fra nazioni» e di «partnership costruttiva». Poi, nel 1996 «il salto alla partnership strategica». Infine, oggi, scriveva compiaciuto il giornale del Partito comunista cinese, «la piena esplosione delle relazioni bilaterali». E’ un rapporto, quello fra Pechino e Mosca, che in termini economici si concretizza in un interscambio commerciale che è stato nel 2004 di 21,2 miliardi di dollari (segno positivo del 34,7 per cento rispetto al 2003) e che gli accordi bilaterali prevedono di fare salire fino a 80 miliardi di dollari nel 2010. E ancora si sostanzia nella vendita, a partire dal 2006, di 300 mila di barili di petrolio al giorno e nell’ intesa per forniture di gas, nove miliardi di tonnellate nel 2004, 10 miliardi di tonnellate nel 2005, 15 nei prossimi anni, come ha rivelato il premier cinese Wen Jiabao in marzo alla Assemblea nazionale del popolo. Oltre che nella riconsiderazione di una pipeline deviata dalla Siberia.

MODERNIZZAZIONE – «Fioriscono le relazioni sino-russe», hanno trionfalmente annotato i mass media di Pechino alla vigilia delle manovre. E forse sono stati persino cauti. Nell’ import-export un capitolo fondamentale lo rivestono le spese militari e la modernizzazione della difesa nazionale cinese. Si tratta di un settore «sensibile» al quale Washington ha dedicato particolare attenzione. In luglio, il rapporto del Pentagono, 45 pagine di dati e di analisi, ha ammonito che «la Cina sta acquisendo la capacità di colpire obiettivi in ogni parte del globo». A esso Pechino ha risposto risentita: «Gli Usa non sono qualificati per criticare il sistema di difesa cinese». Russia e Cina sono, rispettivamente, il secondo e il terzo Paese – dopo ovviamente gli Stati Uniti – per le spese militari. Il budget di Pechino dal 2000 a oggi è più che raddoppiato, passando dai 14 miliardi di dollari ai 30 miliardi di dollari del 2005 (Washington dice che, in realtà, sono 90). «Sempre pochi rispetto ai 400 miliardi di dollari dell’ amministrazione Bush», replicano le autorità del Regno di Mezzo che giustificano gli investimenti come un piano di ammodernamento delle forze armate (2 milioni e mezzo di uomini che entro l’ anno scenderanno di 200 mila unità, divisi fra Esercito, Marina, Aviazione, Artiglieria missilistica).

MISSILI BALISTICI – Il principale fornitore di armi della Cina è proprio la Russia. Mosca, nei prossimi mesi, consegnerà a Pechino oltre a nuovi caccia e a un numero imprecisato di missili (già la Cina sarebbe in possesso di venti missili nucleari intercontinentali e di 600 missili balistici puntati su Taiwan) anche otto sottomarini diesel, un sottomarino nucleare e due cacciatorpediniere. Il Pentagono ha usato parole molto dure contro questo piano di ammodernamento che nasconderebbe velleità espansioniste. Il ministro degli Esteri cinese, Li Zhaoxing, ha subito risposto e tranquillizzato: «La Cina non minaccia nessuno ma vuole amicizia con i popoli di tutti i Paesi». Al di là delle schermaglie diplomatiche e delle forzature che appaiono strumentali alla acquisizione di margini di manovra nelle trattative politico-diplomatiche del prossimo autunno, le esercitazioni militari congiunte sino-russe aprono prospettive nuove nella regione che si affaccia sul Pacifico e nelle relazioni internazionali fra le potenze. Il loro significato è chiaro ed evidente. Nasce, in Asia, un «centro di gravità» alternativo agli Usa. E quel vecchio ammonimento di Deng Xiaoping – «anche la Cina sarà un polo» – è più che mai un’ eco che arriva alle finestre della Casa Bianca.

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SCHEDA

NELLA STORIA TERRITORI CONTESI L’ Impero zarista e l’ Impero cinese si disputarono per secoli vasti territori a ridosso della lunghissima frontiera comune

LEADER Stalin, pur appoggiando il Partito comunista cinese, fondato a Shanghai nel 1921, non si fidò mai del tutto dei suoi dirigenti, e in particolare di Mao: il dittatore sovietico non credeva che una «massa di contadini» potesse porsi all’ avanguardia di una rivoluzione comunista. Fino all’ ultimo, i russi aiutarono con finanziamenti e forniture militari il leader nazionalista Chiang Kai-shek

SCONFITTA Dopo la sconfitta dei nazionalisti e la nascita della Repubblica popolare cinese (1949), Stalin inviò a Pechino istruttori militari e consiglieri per «aiutare» il Paese fratello: il primo trattato di cooperazione tra i due colossi comunisti è firmato a Mosca il 14 febbraio 1950 SCREZI Alla fine degli anni Cinquanta, con Kruscev al potere a Mosca, cominciano i primi screzi tra i due Paesi

SCONTRI I dissapori politici (Mao accusa i russi di «revisionismo») sfociano in sanguinosi scontri armati tra soldati dei due Paesi, nel 1969, lungo il fiume Ussuri

NUOVA AMICIZIA Le relazioni tra la Russia postsovietica e la Cina sono andate progressivamente migliorando, fino alla firma di un trattato di buon vicinato nel 2001

SI APRE UNA NUOVA PAGINA Le esercitazioni militari fra Russia e Cina aprono una pagina nuova nella storia dei rapporti fra le potenze che si sfidano sulla scena del mondo

LE PAROLE DEL «VECCHIO» DENG XIAOPING Il leader che avviò la modernizzazione: «Dobbiamo fornire il nostro contributo nel cosiddetto mondo multipolare. Anche la Cina sarà un polo»

CENTRO DI GRAVITA’ ALTERNATIVO L’ Orso e il Dragone si muovono con logiche sempre più convergenti verso un’ alleanza economica, politica e militare in alternativa a quella che fa capo agli Usa