Ci sono due Italia, il fatto che noi ne conosciamo una sola

Nel suo articolo di mercoledì scorso Rina Gagliardi si chiedeva se conosciamo davvero il nostro paese, se non ci sia una parte di esso che sfugge alla nostra capacità di osservazione e di comprensione.
Molte lettere inviate a “Liberazione” in questi giorni avevano lo stesso tono profondamente interlocutorio e stupefatto. Per strada si sente la stessa incredulità: ma dopo tutto quello che hanno fatto, dopo il disastro economico e sociale cui hanno condotto il nostro paese, dopo le cose incredibili che Berlusconi ha detto in campagna elettorale, ancora tutti questi voti? Com’è possibile?

Una spiegazione ci deve essere, anzi due. In realtà il risultato dell’Unione è un grande risultato, non solo perché si è vinto, anche se solo per poche migliaia di voti, ma anche perché (mi riferisco ai voti per la Camera) è stata toccata la vetta, mai raggiunta prima e nemmeno avvicinata, dei 19 milioni di voti che corrispondono ad un 50% reale degli elettori. Il record precedente era rappresentato dai 16.451.000 voti del 2001 e si tratta di un dato aritmetico, perché la cifra comprende anche i voti del nostro partito che non era alleato del centro sinistra. Ricordo inoltre che in occasione della vittoria elettorale del ’96 i voti per il centro sinistra furono solo 16.271.000. Quindi rispetto alle precedenti elezioni politiche i consensi reali all’Unione sono aumentati di circa 2,5 milioni.

Il centro destra invece sfiora i 19 milioni di voti aumentando di circa 600mila rispetto al 2001. (Come abbiamo visto Forza Italia cala pur rimanendo nettamente il primo partito, mentre crescono in misura diversa An, Udc e Lega). In sostanza mentre il centro sinistra ha compiuto un notevole exploit che rappresenta il bisogno, oltreché il desiderio, di liberarsi per sempre di Berlusconi e del suo governo, la destra non solo non è crollata, ma è stata capace di reagire, recuperando milioni di voti rispetto a tutte le ultime tornate elettorali (amministrative, europee, regionali) ed ha aggiunto 600mila voti in più sul 2001, sfiorando la vittoria.

Ci sono forse due Italie, contrapposte politicamente e socialmente? Sembra di sì, il voto ci consegna questa fotografia, anche se la radicalità di questa contrapposizione nelle dinamiche economiche e sociali poi si stempera e si scioglie dando luogo a sovrapposizioni, rimescolamenti e consociazioni. Il fatto è che noi conosciamo una di queste Italie, ma sappiamo molto poco dell’altra eccettuati i vertici politici e imprenditoriali della stessa.

Chi sono i 19 milioni di italiani che continuano a votare per Berlusconi? Certamente tutti coloro che hanno privilegi e ricchezze da difendere: vogliamo, stando piuttosto larghi, stimarli nel 25% degli elettori? Ma gli altri, quelli che credono di fare i propri interessi, che hanno deciso di non fare “i coglioni”? Ci sarebbe un enorme lavoro di indagine e di analisi da fare sul nostro paese e sarà sempre troppo tardi quando riusciremo a fare una vera inchiesta sulla società italiana. Se la facessimo, forse potremmo capire meglio che la rendita, non solo condiziona potentemente tutta l’economia, ma ha cambiato in profondità la costituzione materiale del paese, in modo tale che il piccolo risparmio, la proprietà della casa (la principale ricchezza che hanno gli italiani) sono temi sui quali vi è una sensibilità particolare.

C’era nel programma del centro sinistra una minaccia nei confronti di questi beni? Certamente no. In Italia neanche un governo di estrema sinistra oserebbe toccare la casa o il piccolo risparmio. Però è bastato che il più ricco degli italiani si mettesse a gridare: «tasseranno i vostri risparmi, mentre io toglierò l’Ici», perché corressero a votare molte persone che non avevano nessuna intenzione di farlo. Qui si evidenzia il tema di una moltitudine ridotta o sempre vissuta, allo stato infantile, preda di paure e irrazionalità che possono trovare piena accoglienza solo nell’armamentario ideologico della destra italiana: e infatti lì trovano il loro approdo. Sul finire della campagna elettorale il capolavoro di Berlusconi è pienamente riuscito: rovesciare le parti, chi si deve difendere attacca, chi ha governato parla come fosse stato all’opposizione e il tema delle enormi responsabilità del peggiore governo del dopoguerra scompare. Tutto ciò viene chiamato populismo, perché ha una connotazione antipolitica e anti-istituzionale, un carattere “contro” che sono fortissimi, così forti da risultare ancora una volta una carta vincente, anzi “quasi” vincente. Berlusconi che attacca tutti, attacca i cosiddetti “poteri forti” mentre egli rappresenta il potere più forte di tutti. Ma questa, è una parte, è la benzina che dà forza e velocità a questo veicolo, il resto, ed è ancora più importante, è un programma pienamente classista, profondamente razzista, culturalmente revisionista, che si configura come organicamente reazionario, al di là delle forme poco serie, perfino sgangherate, con le quali si presenta e che lo rendono ancora più popolare. Il punto è che tutto ciò si è radicato nella società italiana: le vecchie pulsioni conservatrici e anticomuniste si sono unite con gli “spiriti animali” del liberismo e hanno trovato piena rappresentanza in Berlusconi, nel suo movimento politico e nei suoi alleati. L’anticomunismo, il leghismo, il primato del denaro, il rifiuto degli altri, il rifiuto delle tasse, dello Stato, della legalità, fanno da supporto e da garanti ad un «privatismo egoista che viene assunto come diritto» (la definizione è di G. Ruffolo).

Questo modo di essere e di pensare così cresciuto e così senso comune mi fa dire che, al di là delle apparenze, dagli anni ’90, è in atto una rivolta reazionaria nel nostro paese. Non può essere considerata cosa diversa o separata della grande ondata liberista che ha investito l’occidente negli anni ’80, inaugurata ufficialmente dall’andata al governo nel 79-80, di M. Thatcher e R. Reagan. Si è innestata in questo contesto in modo naturale, ma non si è esaurita in esso, avendo assunto delle caratteristiche di ampiezza e profondità che ne fanno ormai un caso originale e specifico rispetto a ciò che è avvenuto negli altri paesi dell’occidente.

Sull’albero liberista è cresciuto potente un ramo che è ormai più grande della pianta. Ed è questo ramo che ha consentito un rovesciamento, così come si rovescia un guanto, di tutti gli assetti sociali, economici culturali, morali che conoscevamo. Grazie a questa forza, un grande sistema di potere e di consenso, la destra ha rischiato di vincere le elezioni del 9 e 10 aprile.

Questa realtà, mille volte analizzata in questi anni, non è stata compresa adeguatamente. Lo dico perché a me sembrano del tutto insufficienti le due interpretazioni prevalenti che intorno al “fenomeno Berlusconi” sono circolate finora. La prima, prevalente nel centro sinistra, identifica in Berlusconi un’anomalia della situazione italiana legata agli interessi economici e ai guai giudiziari del Cavaliere: anomalia risolvibile con alcuni interventi legislativi quali la legge sul conflitto d’interessi, sul sistema televisivo, l’eliminazione delle leggi ad personam, eccetera. L’altra più di sinistra, diciamo così, pensa a Berlusconi come alla fotocopia dei governi liberisti e neoliberisti che si sono succeduti in quasi tutti i paesi occidentali dagli anni ’80 ad oggi per sconfiggere il quale occorre attendere l’esaurirsi della fase liberista. Se non si superano queste letture, non è possibile comprendere la forza e il radicamento di Berlusconi e di questa destra: esse rappresentano con tutto il loro populismo, razzismo, liberismo, classismo, una sintesi profondamente innervata nella storia del nostro paese e nella realtà sociale ed economica di oggi. E’ un progetto di società e in questi giorni abbiamo visto quanto sia forte e radicato, al di là di quanto potevamo immaginare.