Chiusura definitiva per la ex Lanerossi

La bicentenaria fabbrica tessile di Schio (Vi) mette in mobilità oltre 100 lavoratori

A due secoli dall’apertura, chiudono i battenti della ex Lanerossi. E lo fanno fragorosamente, mettendo alla porta i 160 dipendenti della fabbrica tessile di Schio, una cittadina dell’alto vicentino. Con essa va in fumo un pezzo di storia, l’emblema di un impero tessile la cui eco ha da tempo oltrepassato i confini del Veneto. La Marzotto, titolare dell’azienda dagli anni ’90, ufficializzerà la chiusura in un incontro che avrà luogo il 31 di agosto. Immediata la levata di scudi dei sindacati, insorti di fronte alla scelta che sembrerebbe averli colti di sorpresa. Eppure, il clima alla ex Lanerossi era già teso tanto che buona parte dei dipendenti era da tempo in cassa integrazione ordinaria. Anche se, come spiega Graziano Besaggio della Filtea di Schio, «nonostante le premesse, nessuno immaginava che si arrivasse a un epilogo del genere. Almeno in tempi così rapidi». «Durante le ferie avevamo visto movimenti strani in fabbrica – racconta il segretario provinciale della Cisl Femca, Mario Siviero – ma solo lunedì, in un incontro informale con l’azienda, abbiamo capito cosa stava accadendo. Hanno agito da irresponsabili perché, per quanto ci riguarda, esistono possibilità alternative che andrebbero affrontate».
Dei 160 lavoratori, nove impiegati e 116 operai saranno posti in mobilità, altri 21 addetti saranno trasferiti nello stabilimento di Valdagno – ma anche per loro non si prospettano tempi migliori – e un’ulteriore ventina resterà a Schio nel reparto finissaggio e nel magazzino copertificio. La produzione della Marzotto, infatti, si articola in vari segmenti: dalla divisione tessuti al comparto coperte laniere, da anni in difficoltà a causa della progressiva sostituzione delle coperte con il piumino che si sta espandendo dal nord Europa verso le regioni del sud. Come se non bastasse, a gravare sul tessile, è la forte competizione dei paesi emergenti che offrono prodotti di buona qualità a costi decisamente inferiori a quelli dei produttori europei.

Sta di fatto che la competitività non sembra essere l’unica ragione ad aver determinato il tracollo della Marzotto di Schio; ci sarebbero ben altri motivi dietro la chiusura degli stabilimenti. Dopo il blocco della produzione del sito di Mortara e la delocalizzazione di una parte della produzione in Lituania, la miccia era già innescata. Secondo Giannino Rizzo della Uilpa «finché le scelte aziendali rincorreranno esclusivamente un rientro economico, in barba al futuro dei lavoratori, le fabbriche saranno destinate a chiudere. Tanto a Schio come nel resto del paese». Dello stesso parere, la Confederazione unitaria di base (Cub) che sottolinea in un comunicato come la vicenda Marzotto sia «esemplificativa di come funzioni l’economia nel nostro paese. La scelta di molti “padroni” di puntare sui soldi che fanno soldi e non sulle capacità produttive e innovative sta creando un deserto lastricato di fabbriche che chiudono, di posti lavoro ricattati e precari, di famiglie che stentano ad arrivare a fine mese». Fino a quindici anni fa, la ex Lanerossi, era tra i fiori all’occhiello dell’economia veneta tanto da esser stata la prima industria italiana a “sposare” una società di calcio abbinando il proprio logo al Vicenza. Col crollo dell’azienda finisce in archivio anche un pezzo di storia del calcio italiano. Il primo caso di sponsorizzazione che trasformò l’allora Ac Vicenza in Lanerossi Vicenza con la sede e lo stadio Menti, proprio in via Schio.

Oggi, ben lontanti dai tempi in cui la fabbrica contava più di mille dipendenti, i sindacati giurano di non arrendersi e, come dice Graziano Besaggio della Filtea, faranno «il possibile per bloccare l’apertura delle procedure di mobilità», spingendo «gli enti locali a farsi carico della ricollocazione dei lavoratori; in gran parte giovani».