Chindia, il futuro che ci aspetta corre tra Pechino e New Delhi

Economia, interessi regionali, ricerca. Il nuovo asse strategico Cina-India

Il futuro si chiama Chindia. L’Occidente, presuntuoso ed arrogante, farà bene ad abituarsi a questo acronimo. India e Cina, due grandi nazioni, figlie di due grandissime civiltà millenarie, intendono riconquistare il loro posto nella storia: per millenni, prima delle grandi scoperte degli esploratori e delle aggressioni colonialistiche degli europei, Cina e India, con i loro imperi e le loro floride e progredite economie, dominavano i commerci mondiali. Gli “occidentali” dovevano indebitarsi e vendere il prezioso argento per acquistare i prodotti e le spezie asiatiche: i mercanti cinesi e indiani prosperavano, gli europei si facevano la guerra. Con le invenzioni militari lo scenario cambiò e, alla fine del Settecento, l’Europa si presentò per la conquista (bellica) del resto del mondo. Ora, con l’impetuoso sviluppo economico e sociale capitalistico di questi anni, India e Cina si presentano a loro volta per la conquista (pacifica) del resto del mondo.
Per farlo, le due potenze asiatiche emergenti hanno deciso di coltivare un intenso dialogo politico, strategico ed economico: tutto ha inizio con la missione di aprile del primo ministro cinese a Delhi, nel corso della quale, Cina e India sottoscrivono importanti accordi economici e di patnership strategica. Ora la faccenda continua con le missioni di fine maggio del capo dell’esercito cinese nella capitale indiana. Stavolta si tratta di quelle che gli esperti di strategia definiscono «misure di confidenza» militare, le misure che puntano a una migliore fiducia fra le parti. Ma i vertici militari indiani e cinesi hanno anche deciso altre cose, come ad esempio, le manovre congiunte per scopi di antiterrorismo e di peacekeeping. The Hindu, autorevole giornale indiano, parla di una vera e propria roadmap per il rafforzamento della cooperazione militare fra i due giganti.

La questione diventa ancora più interessante, dopo lo sconfinamento (silenziato) di un reparto militare cinese in una zona di confine controversa fra India e Cina: la diplomazia indiana non sembrava aver dato particolare importanza all’incidente, la stessa stampa indiana, a parte il filoamericano Times of India, non ha dato molta attenzione alla notizia. Dopo gli incontri di maggio con il capo dell’esercito cinese, il generale J. Singh, capo dell’esercito indiano, ha detto che «incidenti del genere non hanno nulla di anormale». Proprio questo atteggiamento è il miglior segnale di un rapporto politico, e strategico, per ora buono, fra Delhi e Pechino. Se un incidente di frontiera viene trattato in questo modo, se per discutere di questioni di confine viene spedito un altissimo ufficiale militare a Delhi, se al summit militare sino indiano si decide di rafforzare la lotta congiunta al terrorismo e la preparazione al peacekeeping internazionale, allora forse sarebbe il caso che i paesi “occidentali” iniziassero a fare attenzione a quello che sta accadendo realmente in Asia, nel Far East.

Ovviamente, l’aspetto trainante dell’integrazione asiatica, è quello economico: i numeri sono molto interessanti. I dati del Center for Monitoring Indian Economy indicano che l’export indiano verso paesi come Cina, Singapore, Giappone, Malaysia, Bangladesh, Sri Lanka, Indonesia, Thailandia, Corea, Nepal, Taiwan, Vietnam e Filippine sia andato avanti in modo significativo dal 1999-2000.

La Cina, che era la 13° più importante destinazione dei prodotti indiani nel 2000-2001 con l’1,88 per cento, nel periodo 2003-2004 è diventata il quinto importatore, con una percentuale del 4,66 per cento. Hong Kong (un altro modo per dire Cina, conteggiato a parte nella contabilità commerciale) è emerso a sua volta come il terzo importatore dei prodotti indiani. Al contrario, l’export indiano verso gli Stati Uniti è passato dal 20,96 per cento del 2000-2001, al 18,06 per cento del 2003-2004, l’export indiano verso la Germania, dal 4,28 per cento al 3,98 per cento, quello verso la Gran Bretagna, dal 5,15 per cento al 4,78 per cento.

Che cosa vogliono dire questi numeri? India, Cina e Far East si stanno progressivamente integrando economicamente tra di loro; si sta sviluppando una nuova area economica mondiale, il Far East appunto, che in un futuro non lontanissimo, potrebbe dipendere molto meno di quanto è successo negli anni recenti, dall’area del dollaro, dallo spazio economico dell’Impero Usa. Questo sviluppo non avrà solo conseguenze economiche ma anche conseguenze geopolitiche molto rilevanti. Un economista noto, Marcello De Cecco, in un recente intervento su Affari e Finanza (del 30 maggio scorso) intitolato, «La diplomazia del dollaro fra Usa e Cina», aveva indicato come «la sola nuvola che si profila all’orizzonte della moneta americana nei prossimi sei mesi» sia lo scontro fra Washington e Pechino in tema di rivalutazione dello yuan e libero commercio internazionale. Gli squilibri finanziari dell’economia Usa sono tremendi, scriveva l’economista, «la sua debolezza resta nel lungo periodo», ma le questioni importanti per i mercati internazionali sono di breve e nel breve c’è la Cina sul cammino degli Usa. L’integrazione crescente in Asia potrebbe dare alla Cina il modo per “affrontare” la questione dei rapporti con gli Usa, non in linea con gli orientamenti di Washington.

E poi c’è l’Aids, proprio la malattia diventata pandemia in Africa e che colpisce milioni di uomini e di donne anche in Asia, in India e in Cina. Molti studi e molte ricerche ci dicono da tempo che la malattia è particolarmente estesa nel continente asitiaco. La questione è talmente rilevante che studioso indiano, Jairam Ramesh, autore del «Making sense of Chindia», inventore dell’acronimo, “Chindia”, (un saggio recentemente pubblicato a Delhi e uscito con la prefazione dell’ex vicesegretario di stato americano Strobe Talbott, attuale presidente della Brookings Institution, il prestigioso think tank liberal d’America), «ritiene necessario che entrambe le potenze, Cina e India, combattano l’Aids come una guerra comune». La lotta all’Aids è uno dei principali campi di battaglia condivisi di Chindia. Non a caso: nel 2002 fu l’emergenza Sars che spinse la Cina a «chiedere scusa» agli altri paesi asiatici per alcune deficienze nell’iniziale approccio cinese all’emergenza sanitaria. Fu grazie a quelle “scuse” che Pechino riuscì ad iniziare a giocare un ruolo chiave nell’Asean, con i paesi del sud est asiatico, che accettarono ben volentieri questo comportamento del gigante cinese. La lotta alla Sars è stato un mattone politicamente importante della cooperazione multilaterale regionale in Asia. La lotta all’Aids quindi potrebbe diventare un altro mattone chiave nell’integrazione sino indiana.

Cina e India, infine, stanno costruendo rapporti economici, politici, strategici anche con la Russia: su un piano bilaterale, Pechino-Mosca e Delhi-Mosca (in questo caso c’è semplicemente il consolidamento di una relazione storica molto stretta) e sul piano multilaterale: il 2 giugno, ad esempio, si è tenuto a Vladivostok, capitale dell’Estremo Oriente russo, il vertice dei ministri degli esteri dei tre paesi, India, Cina, Russia. All’ordine del giorno la cooperazione in materia di sicurezza internazionale e regionali e la collaborazione in campo energetico (Cina e India sono fortemente legate alle risorse energetiche russe); ad aprile, il primo ministro cinese Wen, a Delhi, aveva affermato che la cooperazione trilaterale India-Cina-Russia non era rivolta contro nessuno, in particolare non era rivolta contro la superpotenza dominante, gli Stati Uniti. Pechino e Delhi fanno moltissima attenzione a non interpretare o far interpretare il loro rapporto bilaterale e il rapporto trilaterale con Mosca come “antagonistico” verso Washington. Ma un fatto, obbiettivamente, è evidente: Chindia sta costruendo un nuovo centro di gravità economico-strategico del sistema internazionale, un nuovo centro differenziato rispetto all’Impero Usa e all’area del dollaro.