Sherlock Holmes avrebbe molto lavoro a Belgrado. E anche molti sospetti, perché trovarci degli amici di Djindjic è davvero difficile. “Lei è il capo della mafia, ne ho le prove”, aveva accusato Seselj in pieno Parlamento. Lo pensano in tanti. Dove va la Serbia?
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Chi aveva portato Djindjic al potere? Il popolo serbo, ci dicevano i media. In realtà il suo indice di popolarità è sempre stato vicino allo zero (al contrario di Kostunica). Soprattutto dopo aver appoggiato la Nato mentre piovevano bombe sul suo paese. Ma allora chi lo ha portato al potere? L’Occidente. Grazie a nove anni di embargo asfissiante (dettato dal FMI per liquidare l’autogestione ed imporre la globalizzazione). Più di nove anni di guerra mediatica demonizzante. Più di 78 giorni di bombardamento della Nato. Decine di migliaia di dollari spesi per una campagna di destabilizzazione orchestrata dalla CIA nel 2000 per cacciare Milosevic. Lo stesso tipo di campagna che per ora ha fallito contro Chavez.
Ora siamo tornati a parlare di Jugoslavia, questo paese a cui l’Occidente aveva generosamente offerto il “mercato libero”, la democrazia e la promessa dell’ingresso nella Nato e nella UE, a patto di lasciare le ricchezze nelle mani delle multinazionali. Dal 2000 neanche più una parola, il trionfo della globalizzazione a Belgrado era la fine della storia? E in Kosovo, dove, con discrezione, si finiva di privatizzare e chiudere il 25% delle imprese?
Ma la storia non era finita. Il popolo serbo resisteva alle privatizzazioni e ai tradimenti. Gli operai della Zastava finivano di scioperare, rifiutando di farsi buttare nell’immondizia perché un gruppo canadese potesse prendere possesso della fabbrica. La Nato continuava ad essere qualificata come merita, cioè come aggressore. La dignità rimaneva in piedi, attizzando la crisi del gruppo al potere.
Due o tre ipotesi? Djindjic chi lo ha ucciso? Ci sono varie ipotesi, anche se per ora conviene la prudenza. L’azione da professionisti sembra escludere l’idea di un patriota desideroso di vendicare la Patria tradita. Quindi rimangono due ipotesi, o entrambe insieme. Le rivalità interne della camarilla al potere o un regolamento di conti tra mafie.
Djindjic buttò giù Milosevic formando una coalizione eteroclita di 18 partiti, il cui unico elemento di coesione era l’arrivismo. Una volta giunto al potere si affrettò a confiscarlo, suscitando rancori, perché le privatizzazioni beneficiavano soprattutto i suoi colleghi. Fra i suoi c’erano molti silurati che in seguito non avrebbero speso cento dinari per aumentare la sua scorta. Ma chi erano i colleghi? di Djindjic? Qualche mese fa aveva zittito un’inchiesta sulla mafia, e i ministri di Kostunica si erano dimessi per protesta. Chi dice mafia dice rivalità, interessi pregiudiziali e regolamenti di conti. Ora non faremo speculazioni su da dove possono essere arrivati i colpi, ma ricorderemo alcuni antefatti: tutti i protetti dalla Nato nella vecchia Jugoslavia erano vincolati a molti traffici, sebbene i media siano stati molto discreti anche su quest’argomento.
L’entourage del presidente bosniaco Izetbegovic si era resa protagonista di malversazioni per milioni di dollari degli “aiuti internazionali”. Come segnalano tutte le polizie europee, L’UCK ha trasformato il Kosovo in crocevia di traffici di droga, armi e prostituzione. “La Nato ha fatto un matrimonio d’interesse con la mafia?” avevamo detto nel nostro videodocumentario “I dannati del Kosovo”.
Per la propaganda occidentale Djindjic era “l’uomo che aveva portato la democrazia”. Bene, questo bilancio è completamente disastroso. Ha soppresso lo stato jugoslavo solo per privare il suo rivale Kostunica del suo posto. Ha fatto in modo che fossero esclusi illegalmente dal parlamento i deputati del partito maggiore, quello di Kostunica. Ha calpestato il verdetto del Tribunale Supremo che invalidava quest’esclusione. Aveva già fatto lo stesso quando il medesimo tribunale aveva rifiutato la consegna/sequestro di Milosevic all’Aja. Aveva privato l’esercito del minimo indispensabile (incluso il rancio per la truppa) perché quello aveva scoperto spie nel suo governo.
L’uomo provvidenziale dell’Occidente non era che un gangster della politica. Washington contro Berlino? In Serbia lo si conosceva come “l’uomo dei tedeschi”. Stamattina una giornalista italiana mi ha chiesto: “Questo assassinio potrebbe essere legato alla rivalità fra Washington e Berlino di cui lei parla da anni?” Provarlo non è così facile, ma è in ogni modo possibile, ci sono alcuni indizi.
Indizio n. 1
E’ il momento di ricordare perché la guerra in Bosnia è durata così a lungo. Lord Owen, inviato speciale europeo, scriveva nelle sue memorie: “Rispetto molto gli USA, ma negli ultimi anni (91 – 95) la diplomazia di questo paese è colpevole di aver prolungato inutilmente la guerra in Bosnia.” A cosa si riferiva? A ciò che abbiamo indicato nel libro “Il gioco della menzogna”. Nel ‘91 Berlino fece che la Jugoslavia si disintegrasse, e prese il controllo dei regimi di Slovenia, Croazia e Bosnia. Washington, in tutta fretta, cercò di riprendere in mano le carte del gioco. La Jugoslavia è il Danubio, rotta strategica verso il MedioOriente ed il Caucaso, cioè verso petrolio e gas. La via che le grandi potenze hanno sempre voluto controllare. Berlino vuole trasportare il suo petrolio sulla rotta Danubio – Reno. Washington, al contrario, vuole costruire un oleodotto più a sud, verso Bulgaria, Macedonia e Albania, perché gli USA vogliono controllare l’approvvigionamento energetico dei suoi rivali, Europa e Giappone. Non per niente hanno costruito in Kosovo la base militare di Camp Blondsteel, che vogliono usare contro l’Iraq. Fu così, che in Bosnia Washington aveva ordinato al Presidente bosniaco Izetbegovic di non firmare nessun trattato di pace proposto dagli europei, promettendo la vittoria sul campo. Cosa che avvenne. Riassumendo, gli USA prolungarono la guerra di due anni, con essa le sofferenze di tutta la popolazione. Le rivalità fra grandi potenze includono i colpi più bassi.
Indizio n. 2
Nel 2000, Washington, che controlla i crediti concessi o meno dal FMI, aveva promesso crediti dilazionati per aiutare il regime a mantenere le illusioni elettorali create fra la popolazione. Ma non arrivava nulla. In un’intervista concessa a “Spiegel”, proprio una rivista tedesca, Djindjic si lamentava del pericolo a cui era esposto; “Avverto l’Occidente”. Premonitore. Tutto quello che si può dire di Djindjic è che sarà pianto più a Berlino che a Washington.
Indizio n.3
Che succede negli ultimi tempi fra i grandi alleati di sempre, gli Stati Uniti da un lato, Francia e Germania dall’altro? La maggior frattura dalla seconda guerra mondiale; se Washington vuole attaccare a tutti i costi l’Iraq, e dopo l’Iran, è per indebolire i suoi rivali europei. Le multinazionali anglo-americane Esso, BP, Shell, che vogliono escludere la società francese Total. Ed anche escludere l’Iraq dal suo principale socio economico: la Germania. In un momento in cui Berlino e Parigi disturbano Bush, il colpo dato alla loro pedina serba potrebbe essere un avvertimento in questa cinica partita a scacchi di cui è fata la guerra globale.
E Adesso? Che conseguenze avrà la scomparsa di Djindjic?
1) – La crisi del regime al potere si aggrava. Kostunica cercherà di riprendere il ruolo che aveva perso. I vari clan si affronteranno per il controllo dell’economia e dei traffici.
2” – Un pericolo fascista si avvicina alla Serbia, perché il nuovo potere avrà molte difficoltà a spezzare le resistenze operaie.
2) – I Balcani potrebbero tornare all’instabilità. I Balcani pacificati dall’intervento umanitario dell’Occidente? Questo mito sarà difficile mantenerlo in vita. Dopo la guerra scatenata in Macedonia nel 2001 dai protetti dagli USA, il Sangiaccato è quello che potrebbe accendersi con una nuova minaccia di separatismo su base “nazionalista” in realtà manovrata dall’esterno.
3) – Nel Kosovo Washington continua a proteggere l’UCK e la sua pulizia etnica che espelle i serbi così come ebrei, zingari, musulmani, cioè tutte le minoranze non albanesi. Questo fatto è sempre più imbarazzante per le grandi potenze europee cui piacerebbe stabilizzare l’area e costruire il suo “corridoio energetico”. Altre regioni limitrofe potrebbero vacillare. Una regione dove si affrontano progetti di oleodotti non potrebbe rimanere calma a lungo.
Di fronte a questo catastrofico bilancio sarebbe il momento che la sinistra europea uscisse dal suo silenzio e facesse il bilancio di quattro anni di occupazione Nato. E’ una catastrofe. In un momento in cui Washington prepara altre occupazioni, è assolutamente necessario che si conosca e riconosca la verità. Che se ne parli, finalmente!