Chi ha scelto Prodi vuole il ritiro

“Nessuna riduzione di uomini in Afghanistan”. La frase del ministro della Difesa italiano Arturo Parisi stava su tutti i giornali all’inizio di luglio. Per “uomini” si intende, ovviamente, militari.
Ma a sentire i giornali, e le dichiarazioni di politici e commentatori, la missione italiana sarebbe nelle intenzioni del Governo ridotta, e questa sarebbe stata la concessione fatta ai pacifisti assoluti o confusi. Ma è vero?
Fino a giugno 2006 i militari italiani impegnati nella guerra in Afghanistan (meglio sarebbe chiamarla la guerra “contro” gli afgani, viste le cifre e i risultati ottenuti in cinque anni: 97 per cento di vittime civili e il terrorismo che si doveva combattere sempre più attivo) erano 1370. Al 23 luglio si contano impegnati 1938 “uomini” (c’è anche qualche donna, per la verità). Una aggiunta di 568 militari in meno di due mesi, e due navi da guerra che non sono fatte per trasportare farinacei ma per tirare missili a lunga gittata.

“Il 60 percento del nostro elettorato vorrebbe il ritiro dall’Afghanistan, ma il 90 percento è assolutamente contrario a far cadere il governo Prodi”. Lo ha dichiarato il leader dei Verdi, Alfonso Pecoraro Scanio.
Straordinarie alchimie della politica. Un sondaggio del Corriere della Sera, conferma: il 61% degli italiani (non degli elettori del governo Prodi) sarebbero per il ritiro*.
Il Corriere non fornisce il dato disaggregato, e cioè quanti sono gli elettori di questo governo a volere il ritiro dall’Afghanistan.
E l’autore del sondaggio, il professor Renato Mannheimer, spiega così a PeaceReporter quel 61 percento degli italiani che vogliono il ritiro delle truppe: “questo risultato non è il frutto di consapevolezza sulla situazione di quel paese o della nostra presenza in quel paese. Questo risultato indica una grande ignoranza su questo tema, una grande confusione degli italiani sull’Afghanistan e sull’Iraq, e la ovvia scelta tra pace e guerra a favore della prima. Non è una vittoria del movimento pacifista, ma della confusione”.

Le stesse cose però suonano diverse se dette in questo modo: la gente vuole la pace. E pensa che sia un bene a prescindere da qualsiasi motivazione, cavillo, arzigogolo lessicale venga usato per scegliere invece la guerra. La gente non distingue tra Iraq e Afghanistan, tra “missioni umanitarie” e “missioni di guerra al terrorismo” proprio perché il risultato di entrambe è il medesimo. Morti. Distruzione. Che colpiscono civili, donne, bambini. In Libano come in Afghanistan, in Israele come in Iraq. E allora detta così sembra una vittoria del banale buonsenso. Che troppo spesso è sacrificato all’ideologia o all’interesse privato.

Peraltro, non dovrebbe essere grande motivo di vanto – tantomeno una indicazione di politica estera – il constatare che a due mesi dalle elezioni nove su dieci di coloro che hanno votato per questo governo vorrebbero che stesse in piedi. Questo è normale.
Quello che non è normale, e che il Corriere della Sera non dice ma che l’Ispo, l’istituto del professor Mannheimer ha detto a PeaceReporter, è che il 72.8 percento degli elettori del centrosinistra vuole che le nostre truppe tornino a casa. E solo il 8,8 percento degli elettori dell’attuale Governo chiede che i soldati vadano via dall’Iraq ma restino in Afghanistan*. I pochi “ribelli” dunque, rappresentano la stragrande maggioranza degli elettori del Governo.
Ma di questo nessuno parla.