Chi ha paura della mezzaluna sciita?

I despoti arabi alle prese con il riscatto della minoranza musulmana emarginata per 1.400 anni

Durante l’intervista concessa alla Cnn – pubblicata ieri dal Jordan Times – re Abdallah di Giordania ha provato a chiarire il senso delle sue dichiarazioni sulla «Mezzaluna sciita» che verrebbe a crearsi in Medio Oriente dopo la vittoria delle formazioni sciite nelle elezioni sotto occupazione militare americana che si sono svolte in Iraq. Ha ricordato la grande considerazione che la sua famiglia ha sempre avuto per gli sciiti e non ha mancato di sottolineare di essere un discendente diretto del profeta, quindi legato anche alla figlia Fatima dalla quale, assieme all’imam Ali, ebbe origine la shiia nell’Islam. Giustificazioni, spiegazioni e appelli all’«unità nazionale irachena», non sono tuttavia bastati al sovrano hashemita per mascherare l’apprensione che non solo il suo, ma molti regimi arabi musulmano-sunniti provano per la vittoria sciita a Baghdad, un evento che per decenni hanno cercato di scongiurare. Questi regimi non aprono bocca di fronte all’occupazione americana dell’Iraq, si affannano a ricevere come legittimi rappresentanti iracheni, personaggi (peraltro in maggioranza sciiti) senza alcun credito che fanno solo gli interessi di Washington, ma si precipitano a denunciare il «pericolo sciita». Le preoccupazioni dei regimi sunniti (la maggioranza dei musulmani) sono legate solo in parte ai possibili riflessi dell’esito delle elezioni imposte dagli Usa agli iracheni. Il timore di un ulteriore rafforzamento dell’Iran, che ha già un piede in Libano grazie ai guerriglieri sciiti di Hezbollah ed è alleato della Siria, per i musulmani sunniti va oltre i giochi attuali e futuri sullo scacchiere mediorientale.

A Re Abdallah, ai Saud, ai re e principi del Golfo, importa relativamente poco che Teheran possa aver trovato un’intesa non dichiarata con Washington sullo status dell’Iraq e neppure che l’imperialismo Usa stia consolidando le sue posizioni in Medio Oriente (tutti danno ospitalità a basi navali ed aeree americane). Il loro problema più immediato sono gli sciiti, una minoranza islamica che da 1.400 anni cerca il riscatto. L’elite wahabita che governa l’Arabia Saudita considera i suoi cittadini sciiti come «apostati». Il Bahrein che pure è uno dei regimi arabi più democratici, relega gli sciiti – l’80% della popolazione – ad un ruolo marginale in politica e nella società. Riyadh e Manama in realtà non temono – come si sono affannati ad affermare alcuni «osservatori» occidentali – la falsa democrazia che gli occupanti americani avrebbero portato in Iraq ma che la voglia di riscossa degli sciiti in quel paese possa spingere le loro comunità sciite a chiedere maggiori diritti politici. Per i governanti sunniti – molti dei quali si sono autoproclamati custodi della «vera fede» nella terra dell’Islam e protettori della rivelazione profetica – gli sciiti non possono andare al potere, perché rappresentano una componente eretica dell’Islam che non può e non deve essere riconosciuta in politica.

Questa diffidenza, che talvolta si trasforma in politiche repressive, risale ai primi secoli dell’Islam. Quella che era una disputa violenta – culminata con il martirio dell’imam Hussein a Kerbala (680 dc) – riguardante la successione di Maometto, è diventata nel corso del tempo un confronto tra le ricche e potenti dinastie sunnite Omayadi e Abbasidi (più tardi anche gli Ottomani) che dominavano le terre islamiche, e i musulmani sciiti, in gran parte poveri, alla ricerca di quella «liberazione» che solo per breve tempo aveva lasciato intravedere l’avvento dei Fatimidi al Cairo. La storiografia ufficiale sunnita tralascia o relega in qualche breve paragrafo la presenza, il ruolo e le ribellioni degli sciiti nei regni islamici. I punti cardine del credo religioso e del pensiero di questa minoranza religiosa formata da milioni di individui (10% dei musulmani), sono spiegati in modo sommario. Gran parte dei giovani sunniti esce da scuola senza aver appreso della Dar Al-Hijra (Casa dell’egira), ovvero lo Stato proclamato sulla costa araba del Golfo dagli sciiti Carmati (Qaramita, in arabo) dopo la loro ribellione «socialista» iniziata nell’899 nella bassa Mesopotamia e abbattuto soltanto nel 1077-78.

L’odio feroce che il wahabita Abu Musab Zarqawi prova verso gli «eretici» sciiti è solo l’espressione più violenta ed evidente di una diffidenza comune a tanti esponenti religiosi sunniti. La rinascita sciita è cominciata su basi, forse, diverse dal khomeismo iraniano ma è minacciata non solo dalla avversione dei regimi arabi sunniti. A minarne le basi è anche l’attiva collaborazione che non pochi esponenti sciiti iracheni, a cominciare dal «primo ministro» Allawi, continuano a fornire all’occupazione militare americana e agli interessi dell’imperialismo Usa in Medio Oriente.