Cheney, i diritti affogati

Brutalizzare un essere umano sospettato di terrorismo simulandone l’affogamento si può fare in diversi modi. Spingergli ripetutamente e con violenza la testa nell’acqua fino all’estremo del suo respiro oppure avvolgergli la parte superiore della testa, fino alle narici, in un sacchetto di plastica e poi fargli ingurgitare acqua a forza dalla bocca per soffocarlo quel tanto che consenta di ripetere la pratica finché non cede e «confessa». In entrambe i casi la vittima si sentirà morire, e talvolta morirà, se il corpo non la sostiene. Ma ieri abbiamo appreso dal vice presidente americano Dick Cheney che solo la seconda pratica, definita in gergo «waterboarding», è «tortura». L’altra invece è un metodo di interrogatorio lecito, o meglio «no brainer», ovvio, che non richiede neppure di starci a pensare su, quando siano in gioco vite americane.
Sia lecito porre un dubbio sui distinguo elaborati in una cella d’interrogatorio, magari in un carcere segreto della Cia in qualche territorio extragiudiziale. Ma è con questi argomenti che si è difeso ieri Dick Cheney, meravigliato che ancora ci sia qualcuno che non riesce a fare il callo alla barbarie e si indigna. Ed è questo il «nuovo», grottesco dibattito in cui la banda della Casa Bianca trascina il mondo.
Ma, qualunque nome scelgano di darle, è il marchio della tortura e dell’abuso che segnerà il passaggio nella storia di questo governo. Un’ accolita di guerrafondai che le sconfitte incarogniscono pericolosamente e che non trova argine e decisiva opposizione neppure all’interno degli Stati uniti. Lo ha dimostrato il passaggio al Congresso del Military Commission Act, la legge sul trattamento dei prigionieri che cancellando l’habeas corpus ha sospinto la Costituzione americana all’anno 1000 e consegnato nelle mani di Bush l’interpretazione della Convenzione di Ginevra. «E’ un testo vago» ha detto qualche tempo fa il presidente Usa, richiesto di un commento sui diritti fondamentali che il trattato difende. «Cosa significa “oltraggio alla dignità umana”?».
Che nella sua mente il significato dei termini su cui si costruiscono le democrazie sostanziali fosse vago era ormai certezza, più che sospetto. La macelleria morale e materiale all’opera ogni giorno è sotto gli occhi di tutti. Meno visibile, ma anch’essa in atto, la demolizione della Costituzione americana, vittima collaterale, e non la minore, della guerra al terrorismo. Scardinato il sistema dei controlli istituzionali, un esecutivo arrogante annulla, con direttive segrete, la legislazione e i diritti civili. E per chi si oppone, l’accusa di connivenza coi terroristi.
Solo uno stravolgimento epocale, e radicale, del senso della politica può avere indotto il partito presidenziale a usare in campagna elettorale gli stessi filmati con cui Al Qaeda cerca di terrorizzare il mondo. Eclatante rivelazione di una unità di intenti fra «nemici» che dovrebbe spingere infine il popolo americano a ribellarsi al ricatto della paura, che lo rende vittima due volte.
«Stiamo assistendo solo ad un altro movimento del vecchio, familiare “pendolo” della politica americana che il suo stesso peso riporterà a tornare indietro» si chiedeva nei giorni scorsi The Nation «o stavolta il pendolo uscirà dal suo gancio e ci getterà con uno schianto in territori finora a noi sconosciuti?». Il 7 novembre, forse, darà la risposta. Ma per una parte del mondo lo schianto è gia avvenuto.