Che fine ha fatto l’agenda della pace?

I temi della pace e del disarmo sono il grande assente di questa campagna elettorale. Le manifestazioni contro la guerra, le bandiere arcobaleno ai balconi, le marce Perugia- Assisi valgono qualche citazione, ma raramente richiamano una riflessione seria sulla miscela esplosiva della situazione internazionale con le sue guerre e conflitti generalizzati e con un pianeta armato sino ai denti. Dopo due anni di politica bipartisan all’insegna di aumenti delle spese militari (+ 13%), di portaerei inaugurate e di incremento dell’export di armi italiane, la campagna elettorale si presenta povera di idee e proposte per un profilo diverso dell’Italia sulla pace ed il disarmo. E il centro-sinistra critica (sic) il centro destra per aver diminuito nella legislatura di Berlusconi le spese militari e Parisi si pavoneggia per aver invertito la tendenza. La sinistra radicale oggi rivendica con forza gli obiettivi della riduzione della spesa militare e della contrarietà al Dal Molin, ma ieri, nei due anni in cui era al governo, le cose sono andate assai diversamente. Così, nell’ultima finanziaria mentre il grosso dei fondi (almeno si è positivamente riusciti ad ottenere questo) per la cooperazione sono stati una tantum e finalizzati a coprire i debiti pregressi, nel caso dei cacciabombardieri Eurofighter ci sono soldi programmati fino al 2012, che ammontano al doppio di quanto ha avuto la cooperazione in un anno. L’Alitalia è in crisi, ma la nostra aeronautica militare gode di ottima salute: grazie agli aiuti di stato. L’industria militare è l’unico comparto economico dove lo statalismo regna sovrano..
Va riconosciuto che il ministro D’Alema ha dato voce in qualche occasione all’auspicio di una vera politica per il disarmo. Ma alla fine, le scelte concrete sono andate nella direzione opposta del riarmo, mentre la politica in Medio Oriente si ferma agli annunci senza tradursi in un’iniziativa politica volta a risolvere i nodi irrisolti della pace in quella terra martoriata. E quando si è trattato del Kosovo – per non essere da meno del D’Alema della «guerra umanitaria» – il ministro degli Esteri si è affrettato a riconoscere l’autoproclamata indipendenza di Pristina. Altra benzina sul fuoco dei Balcani.
Altre preoccupazioni non mancano. L’Iraq e l’Afghanistan sono guerre aperte che peggiorano di giorno in giorno. Nel Caucaso e in Asia centrale, in Africa e persino in America Latina, conflitti e guerre reali o possibili sono all’ordine del giorno. La spesa militare globale cresce incessantemente, mentre lo «scudo stellare» (anche qui, latitanza – o connivenza- dell’Italia) è la miccia pronta a far scoppiare una nuova confrontation con la Russia di Putin. I disastri dell’unilateralismo americano insieme all’impotenza dell’Orni e all’assenza o sudditanza dell’Europa, dovrebbero suggerire un’attenzione ben maggiore di chi è impegnato nelle elezioni, ma così non è. Anche a sinistra.
Un’alternativa politica ed economica al neoliberismo e alla geopolitica della forza, economica e militare, non si costruisce se non rimettendo al centro dell’agenda politica la pace e il disarmo, cosa ben più impegnativa della necessaria opposizione alla guerra. Significa lavorare sulla pace positiva e i diritti umani globali, sulla democrazia e la riforma delle istituzioni internazionali, sulla riconversione civile dell’economia, su un nuovo modello di sviluppo. Altrimenti si rischia la trappola del pantano di una politica che sempre di più parla a se stessa e non al futuro, incerto e preoccupante, delle donne e degli uomini non solo dell’Italia, ma di tutto il pianeta. Che il movimento per la pace si faccia sentire.