Che fare? La Cosa rossa si divide sulla legge Veltroni (e sul dopo)

Altro che mummia, i partiti della sinistra radicale di Lenin in questo frangente hanno in testa più che altro il celebre interrogativo – “che fare?” – soprattutto di fronte alle accelerazioni imposte dalla nascita del Pd e dalla successiva iniziativa politica di Veltroni. Specie sulla legge elettorale. Il sindaco di Roma, tornato ieri sera da Auschwitz, oggi riprende il giro di incontri vedendo alle 19 il leader dei Verdi Pecoraro Scanio e non si esclude che la prossima settimana possa avere contatti anche con qualche partito dell’opposizione.
È il Pd, e il dinamismo del suo leader, a mettere in ambasce i partiti della futuribile Cosa rossa. Non si sa quando ci sarà una riunione per mettere a punto una linea comune. Negli ambienti vicini a Bertinotti ha destato qualche perplessità l’uscita molto polemica di Cesare Salvi sul modello ipotizzato da Veltroni: «Come ha chiarito uno degli autori (Bassanini-ndr) essa prevede una soglia di sbarramento dell’8 per cento che non esiste in nessun paese dell’Ue (esiste invece nella Russia di Putin)». Bassanini ha poi precisato che la soglia in realtà è del 5-6 per cento, al che Salvi ha «chiesto scusa a Putin» poiché la soglia in Russia «è del 7 per cento, e non affidata a marchingegni e trucchetti vari». Ironie a parte, i problemi reali sono due: uno, evidente, legato alla soglia di sbarramento. I proporzionalisti puri non la vogliono e minacciano barricate contro le correzioni “spagnole” che “disproporzionalizzano” il sistema. Ma c’è un secondo nodo, più politico: sta nella questione della dichiarazione preventiva delle alleanze. Sd fa suo il leit motiv dell’ulivismo: «Noi vogliamo un tedesco corretto – dice la capogruppo di Sd Titti Di Salvo – le alleanze si devono scegliere prima». Non si tratta solo di coerenza ulivista, che per chi ha rotto con l’Ulivo pre-Pd suonerebbe quantomeno strana. L’assillo dei mussiani piuttosto sembra quello di “tenere” Veltroni da questa parte, evitando per converso una loro deriva all’opposizione.
Ma Bertinotti la vede diversamente. La legge elettorale del Pd non obbliga a dichiarare le alleanze prima del voto? Bene: vale anche per noi, pensa il presidente della camera. Niente vincoli giuridici ma libera scelta politica dopo il voto. Sullo sfondo c’è il terrore dei partiti più piccoli di sparire, o essere ininfluenti. Mentre i Verdi sono più guardinghi (anche perché non hanno sciolto il nodo della loro collocazione nella Cosa rossa), i no all’ipotesi di Veltroni vengono da Mussi e Diliberto. Con quest’ultimo che pare sempre meno incline a favorire la nascita di un nuovo soggetto unitario (come chiede Bertinotti) preferendo insistere sul carattere identitario della propria iniziativa: l’esibizione di Diliberto a Mosca lo testimonia.
In casa Prc Giordano deve fare pure i conti con la (grossa) minoranza interna che fa riferimento a Grassi, che l’altro giorno ha riunito i suoi per dire no all’ipotesi di liste unitarie della sinistra alle prossime amministrative. Ma anche un big come Ferrero non sembra voler andare oltre la formula della federazione fra i vari partiti, così che dal congresso di primavera – è la previsione di molti – non scaturirà l’indicazione di sciogliersi per fondare un nuovo partito unitario.
In un quadro così mosso l’8 e 9 dicembre si riuniranno gli Stati generali della sinistra. Ci saranno le condizioni per fare un passo avanti o sarà uno dei tanti appuntamenti unitari? In quella sede c’è chi potrebbe proporre una cosa nuova, chiamare iscritti ed elettori dell’arcipelago della sinistra-sinistra a scegliere sul nome e sul simbolo. Primarie, insomma. Seppure sulle cose e non sui nomi. Per quello c’è tempo, sempre che il processo della Cosa rossa non finisca male.