Che errore il culto del Che Guevara

Il problema vero non è chi ha o non ha diritto a far circolar le idee del leader rivoluzionario ma piuttosto quello della mitizzazione dei cosiddetti “grandi personaggi”, funzionale a quella del dominio, della violenza e della guerra

E’ esplosa una “querelle” sui diritti d’autore delle opere del Che in conseguenza del fatto che la Mondadori è stata costretta, poverina, a versare un milione e mezzo di dollari agli eredi. La moglie e il figlio di Ernesto Guevara, secondo alcuni studiosi ospitati dal Corriere della Sera, non avrebbero diritto a trarre profitti dalla pubblicazione di idee che sono di tutti. Non è certo il Corriere della Sera né tanto meno la Mondadori che possono sollevare obiezioni sui diritti d’autore. Non sono i campioni del liberismo che possono storcere il naso.
Ma per noi che lavoriamo per “un mondo diverso possibile”, per una “cultura rivoluzionaria” (scusate le iperbole, mi mancano le parole giuste) il problema non è chi ha diritto di far circolare le idee del Che. Penso invece che il problema vero, per noi, sia piuttosto quello della mitizzazione dei cosiddetti “grandi personaggi”.

Sono le relazioni di vita, la tessitura del pensiero di Ernesto Che Guevara. Relazioni creative, ricche, intense, contraddittorie, faticose, dolorose, fragili. E’ la moltitudine di esistenze umili e semplici cioè di persone che hanno parlato con la coerenza di vita più e prima che con le parole. I grandi creatori di pensieri danno forma e ordine e razionalità, poco più che un manto, magari splendido, a intuizioni che nascono e vivono nella quotidianità essenziale. I pensieri più profondi nascono dal pane, dal lavoro, dall’amore, dalla lotta per la vita. Lao Tse, Budda, Socrate, Gesù, Maometto e tanti altri più o meno mitici maestri del pensiero, gli dèi del Pantheon della storia dominante, sono in realtà discepoli o meglio con-discepoli. Hanno imparato da mille rivoli di pensiero, hanno rielaborato la lezione che veniva loro dalle relazioni vitali e l’hanno a loro volta ritrasmessa.

«Come se gli dèi non ci fossero» (parafrasando la nota frase di Bonoeffer) non è solo la costituzione della laicità della fede. E’ la costituzione a cui tendono (a cui dovrebbero tendere) i nuovi movimenti. Non si esce dalla cultura del dominio, della violenza e della guerra se non si esce dalla cultura della mitizzazione, della emersione e della immortalità di personaggi divini.

In realtà la storia che passa il convento, accademia, scuola, divulgazione, film, e che condiziona la nostra visione del mondo, si basa sull’emergere di fatti e personaggi. Giova ripeterlo. E’ la storia fatta di eroi e di martiri, di santi e di demoni, di vittorie e di sconfitte. E’ la storia come proiezione del bisogno di ognuno di noi di emergere ed anche come compensazione della frustrazione per il fatto che un tale sogno in gran parte resta irrealizzato.

Ignora o sottovaluta i processi profondi, frantuma il divenire storico, isola personaggi e avvenimenti, esclude la rilevanza della quotidianità e l’apporto delle persone comuni dette appunto i “senza storia”. Per vedere l’albero gigante che svetta e signoreggia, annulla la foresta, calpesta i mille alberelli che rinnovano continuamente la vegetazione, ignora il sottobosco che la nutre.

E’ una frantumazione e disarticolazione della memoria storica che oggi è sfruttata a piene mani e favorita dal liberismo dominante. Il nuovo “ordine” mondiale fondato sul dominio assoluto e globale del danaro ha bisogno infatti di annullare l’identità sociale della gente comune, il sottobosco, e ha necessità di distruggere la memoria generativa di tale identità per costruire automi smemorati e spaesati. Masse umane senza memoria e senza radici sono la creta informe e malleabile con cui viene creato l’uomo della nuova storia e il fedele della nuova religione: la storia del dominio del mercato globale e la religione del dio-danaro. Le masse sono rese sciami di moscerini offrendo loro il modello mitico per una identificazione consolatoria. E’ il dominio del mito che s’insinua nella società secolare secondo modalità solo parzialmente diverse rispetto ai secoli passati. La cultura della mitizzazione ha attraversato tutti i secoli adattandosi alle diverse esigenze di ogni epoca. Mitizzare eventi e personaggi è ricordare senza vera memoria, cioè devitalizzando la memoria. Si può scrivere una intera biblioteca su un personaggio, nel nostro caso su Ernesto Che Guevara, ma se lo si fa nell’orizzonte della mitizzazione il personaggio prende tutta la scena, il “dito” occupa tutto lo spazio e scompare la “luna” che il dito indicava.

Non basta. La mitizzazione del Che ha un aspetto che la rende ancor più inquietante. Il rivoluzionario cubano non è un qualsiasi eroe mitico è una mitica vittima sacrificale. L’immedesimazione con la vittima sacrificale, se vissuta in forma relativa e critica, potrebbe anche avere risvolti positivi, suscitare energie creative. Se invece viene assunta non come un momento, una tappa del vissuto personale e sociale, ma come un assoluto, un mito appunto, allora essa alla fine dei conti serve a stabilizzare per sempre il sistema del dominio, della ingiustizia, della violenza. Il mito del martire scioglie i cuori ma non intacca i meccanismi del potere. Impone l’idea distruttiva che l’umanità non è salvata dall’estinguersi della violenza ma dall’identificazione col martire e dalla solidarietà con le vittime. In tal modo il riscatto storico può e deve essere affidato alla dimensione non della giustizia ma della carità. Il Che come Gesù. Perfino le loro icone si assomigliano, salvo il sigaro.

Di fatto un intero movimento storico di liberazione che tendeva a superare la cultura sacrificale, sia religiosa che laica, fu fortemente ostacolato nel secolo scorso con strumenti repressivi diversi, fisici e morali. I risultati sono sotto i nostri occhi attoniti. Il dio-mercato per creare la società della libertà e del benessere sacrifica consapevolmente i suoi figli. Ai quali viene offerta come invito alla rassegnazione la identificazione alienante con miti tipo quello del Che. E Mondadori ci sguazza.

Uscire dall’orizzonte sacrificale è condizione per uscire dall’orizzonte della cultura del dominio, della violenza sistemica, della guerra. Continuare a fissarsi sul Che è un regalo che si fa alla cultura dominante. Più che dell’eroe mitico parliamo del processo storico di liberazione, a cui Guevara appartiene, delle formiche senza mito che lo hanno animato e lo animano. Sia detto per inciso, non è proprio questa la linea del presente giornale? Non si faranno miliardi, ma si dà un senso di coerenza alla nostra esistenza e forse si mette un granello di sabbia nell’ingranaggio infernale.