Cgil, prove generali di congresso. Rinaldini: documento alternativo

Congresso unitario ma sulla base di documenti alternativi, taglio di qualsiasi cordone ombelicale con la precarietà attraverso l’estensione
dell’articolo 18 e un bel colpo d’ala sugli ammortizzatori sociali. Se qualcuno pensava che il seminario organizzato dalla Fisac-Cgil ieri a Roma ( ”Modello contrattuale e accordi separati. Cambiamo strada”), ieri servisse solo a “sragionare” di filiere politico-sindacali in vista del “doppio appuntamento” congressuale di Pd e Cgil dovrà rifare i suoi conti. Le incursioni nel territorio dei contenuti ci sono state. Ed anche di una certa caratura. Tra queste, sicuramente quella del segretario generale della Fiom Gianni Rinaldini.

Sono stati in tanti, ieri, a voler discutere sul “che fare” nella fase del “dopo accordo separato”. Nonostante l’impegno di molti segretari e anche di importanti studiosi, come Mimmo Carrieri, non è che circoli molta fantasia in Cgil sulla maniera migliore di rompere l’accerchiamento. Manca la cornice, innanzitutto, ovvero la sponda politica, e anche il polso della situazione sociale nel Paese. Quel che è certo, come ha messo in evidenza la segretaria generale della Filtea Valeria Fedeli è che anche la via delle singole piattaforme unitarie delle varie categorie è del tutto preclusa: «Da una decina di giorni», sottolinea la Fedeli. Ovvero, dal fallimento dell’accordo con i sindacati di categoria dei chimici di Cisl e Uil.
In una situazione del genere una delle chiavi della soluzione passa dalle mani della politica, cioè del Pd. Ma con un congresso Cgil ormai alle porte la relazione tra partito e sindacato si fa, se possibile, ancora più complessa. E questo perché l’altra chiave, quella dei contenuti, per un sindacato abituato a quindici anni di vertenze “già scritte” nel modello concertativo, diventa più difficile da cercare.
E’ lo stesso Carrieri, in fondo, a stringersi nelle spalle e a riproporre, seppure con una maggiore apertura al mondo del precariato, interpretato attraverso la “flexicurity”, e un maggior peso da dare alla democrazia, le magnifiche sorti e progressive dell’accordo del ’93. Un accordo che, nel mentre, sempre secondo Carrieri, ha subito dall’intesa separata di Confindustria-Cisl-Uil una vera e propria offesa: quel testo, è questa la tesi di Carrieri, dichiara una cosa falsa perché con la scarsità di incentivi non serve certo a redistribuire la produttività. E allora, se non serve a redistribuire la produttività a cosa altro serve?

L’idea della Fiom è che quello oltre ad essere un attacco alla costituzione materiale del Paese è il primo passaggio di un «altro modello di sindacato», al quale va opposto un programma organico e non una semplice limatura. Anche perché non è che si può fare finta che tutto ciò che il sindacato ha sottoscritto, o praticato, in questi anni su sanità integrativa aziendale, bilateralità, ammortizzatori sociali regionali, sgravi fiscali e previdenza vada bene. Anzi, il cuore della cosiddetta “frammentazione del lavoro” che tanti guai ha procurato alla Cgil, forse sta proprio lì, in quei percorsi che non suscitano clamore solo
perché non stanno sotto i riflettori.
Stavolta, e speriamo non solo per il tempo della fase pre-congressuale, i sacerdoti della concertanzione in Cgil sembrano scossi davvero. Indicativo, da questo punto di vista, l’intervento della Fedeli che non solo ha parlato in modo articolato del peso che rappresentantività e democrazia dovranno avere nell’eventuale ripresa dei rapporti unitari con Cisl e Uil, ma si è spinta fino a riproporre la centralità del referendum. Un altro passaggio delicato sarà quello dell’unificazione dei contratti. Un terreno infido e pieno di insidie.

Per il segretario della Fp-Cgil Carlo Podda non è sufficiente riunificare i contratti. «Non basta. È necessario puntare ad una riunificazione dei diritti, partendo dal ridefinire i comparti di riferimento dei contratti nazionali. Parlo delle tre macroaree, dei tre comparti di settore di cui discutiamo da tempo, servizi, pubblico impiego ed industria, che caratterizzano la gran parte dei sistemi sindacali in Europa». «La Cgil ha difeso strenuamente il contratto nazionale – ha aggiunto Podda -. Ma non basta. Dobbiamo iniziare a puntare sulla contrattazione integrativa, ed a riflettere su come l’eventuale costituzione di tre grandi comparti possa favorirla».
Anche sul ruolo del fisco come leva per i redditi, l’avviso di Podda è un po’ diverso da quanto praticato dalla Cgil. «La redistribuzione non può essere lasciata alla fiscalità – ha detto – ma va operata a monte, laddove il reddito si crea». L’intervento di Podda ha coinciso in molti punti con quello di Rinaldini. Tra i due forse qualche differenza in più verrà fuori al momento di definire i percorsi, nei tempi e nei modi, che dovrebbero portare alla regolarizzazione dei precari.
Podda ha chiesto che si affronti questo nodo, senza preconcetti, senza contrapposizioni, «in uno sforzo di elaborazione che coinvolga tutti e che non sposi proposte altrui». L’allusione al grande tema dell’autonomia dalla politica e dai vari maitre a penser è fin troppo chiaro.
Un vero e proprio vulnus per una Cgil che in tutte le sedi dichiara di voler tornare a fare il “mestiere di sindacato” ma che nei fatti dopo quindici anni di concertazione ne ha smarrito la strada.

Indicativo aquesto proposito l’intervento di Emilio Miceli, segretario generale dell’Slc-Cgil, che nella premessa si è rammaricato di «aver perso l’appuntamento con il centrosinistra sulla riforma del lavoro». Quali sono gli ingredienti di Miceli per invertire i tempi grami della Cgil?
«Governo debole, Confindustria in difficoltà, Cisl e Uil con evidenti problemi oggettivi di gestione dell’accordo separato». Qualcuno dice che il congresso della Cgil nel 2010 sarà tra i più forti da ricordare.