Cgil pronta alla mobilitazione per smontare l’accordo separato

«Un fatto di assoluta gravità. Giudicheranno i lavoratori». Il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani è tornato a dare un giudizio duro sull’accordo separato siglato da Cisl, Uil e Ugl l’altra sera a palazzo Chigi e, contemporaneamente, ha aperto la prospettiva del referendum e della mobilitazione. Intanto, lo sciopero generale di metalmeccanici e pubblico impiego è stasto assunto nel quadro delle iniziative di risposta da tutta l’organizzazione. Poi, si apriranno una serie di mobilitazioni a livello locale diluite nel tempo. Tutte le iniziative già previste nelle varie categorie, come nei pensionati, nei chimici e negli edili (che decideranno a giorni) assumeranno, infine, tutte il segno anti-accordo separato. L’occasione per stendere un primo piano di guerra è stata la riunione del gruppo dirigente dell’organizzazione sindacale, composto dai segretari generali territoriali e da quelli delle categorie. A questo punto la Cgil, che ha già programmato una manifestazione nazionale ai primi di aprile, si appresta a dare battaglia direttamente sulla gestione dell’accordo nei luoghi di lavoro e nei territori. Ma l’impegno più immediato è quello del referendum. Epifani ha concluso il suo intervento introduttivo dicendo: «Per la Cgil un accordo sulle regole ha un valore se, come avvenuto con l’intesa del 23 luglio, sono i lavoratori con il loro voto a definire validità e pienezza democratica».
Per Gianni Rinaldini, segretario generale della Fiom, l’intesa rappresenta un «attacco ai salari e alla democrazia». «È un attacco ai salari, perchè il meccanismo previsto per gli aumenti retributivi, definiti nei Contratti nazionali di categoria, è concepito in modo tale che tali aumenti non consentano la protezione del potere d’acquisto delle retribuzioni rispetto alla crescita dell’inflazione. In pratica, con questo accordo viene programmata un’ulteriore riduzione delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti», specifica il leader della Fiom. «È un attacco alla democrazia, perchè fare un accordo separato sulla struttura stessa del sistema contrattuale, vuol dire aprire la strada agli accordi sindacali realizzati a prescindere dalla volontà dei lavoratori interessati, ovvero a prescindere dalla volontà dei lavoratori le cui condizioni di vita e di lavoro sono determinate da tali accordi», conclude. La Fiom, insieme alla Fp-Cgil, per il 13 febbraio ha già programmato lo sciopero generale con manifestazione a Roma.
Un no piuttosto deciso viene anche dal mondo del sindacalismo di base. La sinistra sindacale, compatta, rifiuta l’accordo separato. Nicola Nicolosi, leader dell’area Lavoro Società, parla di una mutazione genetica del sindacato, trasformato in un «organo consociativo di cogestione». «Cisl e Uil – aggiunge – hanno venduto l’anima per un piatto di lenticchie nella bilateralità e nelle attività di intermediazione di manodopera». La Rete 28 aprile, di cui è leader Giorgio Cremaschi, chiede invece lo sciopero generale perché «la rottura è senza precedenti». Segno negativo anche da parte del sindacalismo di base.
«Mentre si scaricano sui lavoratori sempre più pesantemente gli effetti della crisi, governo, padroni e sindacati collaborativi si accordano per ulteriori arretramenti», si legge in un comunicato della Cub (Confederazione unitaria di Base). «L’accordo quadro rappresenta un progetto autoritario e regressivo contro i diritti dei lavoratori e porta a compimento un percorso iniziato con la concertazione. I sindacati firmatari accettano il ruolo di agenti del mercato e delle imprese».
Più o meno dello stesso tono le critiche dei Cobas, che in un comunicato parlano di «ripercussioni negative sul potere di acquisto e di contrattazione dei lavoratori italiani, del pubblico e del privato».
Secondo l’Sdl, con questo accorddo si passa da una fase concertativa «ad una letteralmente collaborazionista» in cui «finisce in soffitta il contratto nazionale unico di categoria e l’idea stessa di rivendicare condizioni salariali almeno in linea con l’aumento del costo della vita». «L’intesa, poi, ritada di fatto il recupero salariale oggi fissato ogni 2 anni», conclude l’Sdl, «e gli incrementi salariali saranno basati su un indice di inflazione prevista molto più bassa di quella reale e depurati dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati».
Dovrebbe essere il contratto dell’industria alimentare il banco di prova delle nuove regole sulla contrattazione collettiva. Per il contratto che riguarda circa 350.000 lavoratori e che scadrà il 31 maggio 2009 dovrà quindi essere presentata una piattaforma rivendicativa per aumenti salariali su base triennale. Ma il rischio, a causa dell’intesa non condivisa dalla Cgil, è che si presentino piattaforme separate. «È evidente – spiega il segretario generale degli alimentaristi della Cisl, Augusto Cianfoni – che noi dovremo applicare le nuove regole». La gran parte dei contratti nazionali principali comunque scadrà a fine anno e quindi le nuove regole andranno in vigore per la parte più consistente dei lavoratori solo nel 2010. Per i contratti scaduti prima dell’intesa di ieri e non ancora rinnovati (come ad esempio quello delle merci e logistica che coinvolge 500.000 lavoratori ed è scaduto ad agosto 2008) invece, anche in assenza ancora della definizione della piattaforma, sembra difficile ipotizzare l’applicazione dell’accordo. Il contratto triennale è invece già stato sperimentato nel sistema bancario (320.000 addetti, in scadenza a fine 2010).