CGIL: GUGLIELMO EPIFANI AI SEGRETARI DEI PARTITI DELL’OPPOSIZIONE

I segretari confederali della Cgil hanno inviato a Romano Prodi e a tutti i segretari dei partiti dell’opposizione un documento di analisi e proposte che vuole essere un contributo alla definizione di un programma di Governo per la prossima legislatura.
In questo modo – si legge nella lettera di accompagnamento a firma di Guglielmo Epifani – si vuole sollecitare l’esigenza di un percorso di ricerca e approfondimento, in vista del programma, aperto anche a tutte le forze e ai soggetti della rappresentanza sociale e sottolineare l’importanza di un segno coerente di tale percorso verso i temi del lavoro, dei suoi diritti e della sua centralità sociale.

8 ottobre 2004
GUGLIELMO EPIFANI AI SEGRETARI DEI PARTITI DELL’OPPOSIZIONE

Verso un programma di tutte le forze di centrosinistra

Il documento dei segretari confederali della Cgil

PERCHE’ QUESTO DOCUMENTO

Di fronte al dibattito che si è aperto per la costruzione di un futuro programma di governo alternativo alle politiche del centro destra,riteniamo utile fornire un primo contributo sui temi che più direttamente ci impegnano: la pace, l’economia, il lavoro, il sistema di protezioni sociali.
L’urgenza di aprire un vero e proprio cantiere per la costruzione di un programma nasce dalla necessità di confrontare elaborazioni diverse che per ciò stesso, richiedono il tempo della sintesi condivisa, necessaria per ottenere dagli elettori il consenso.
Parliamo di cantiere per evidenziare come a nostro avviso sia necessario che a quella costruzione partecipino più soggetti, singoli cittadini elettori, associazioni, movimenti: si tratta in sostanza di organizzare forme e modi che ne rendano possibile partecipazione e protagonismo.
Le politiche del governo Berlusconi hanno incrinato i fondamenti del patto di cittadinanza su cui si fonda la coesione sociale:quel patto oggi è minato nei rapporti tra Stato e cittadini; tra istituzioni; tra governo e corpi intermedi della società, tra lavoratori e imprese; tra Stato, società e mercato.
E’ senza dubbio un giudizio severo: il nostro metro di misura è la distanza tra quelle politiche e i valori democratici fondativi del sindacato confederale italiano. D’altra parte la conferma oggettiva si ritrova nell’attività legislativa di questi 3 anni: le deleghe in materia fiscale, del mercato del lavoro, della scuola, della previdenza, della salute e sicurezza del lavoro, le leggi finanziarie con l’attacco al sistema di welfare, la legislazione dei 100 giorni, la risibile soluzione del conflitto di interessi, la legge sull’informazione, l’attacco alla laicità dello stato, quello alla indipendenza della magistratura e infine la devoluzione, lo stravolgimento cioè della forma di democrazia parlamentare della nostra Costituzione a favore di un disegno che confusamente tende ad aumentare i livelli di centralismo autoritario, indebolire il sistema delle garanzie, produrre un falso federalismo.
Rifiutiamo radicalmente l’impianto istituzionale e il modello sociale del centro destra che trova i suoi punti di riferimento nell’egoismo individuale, nel primato del mercato senza regole e nel rifiuto dei principi di uguaglianza e solidarietà senza i quali la prospettiva è quella di una società destinata a veder crescere nelle persone un sentimento profondo di ansia per il proprio futuro, disuguaglianze sociali e conflitti.
E’ necessario perciò un programma di governo esplicitamente alternativo nei valori di riferimento e nelle politiche, capace di superare i guasti profondi prodotti dall’ideologia neoliberista del centro destra, programma che per la qualità degli interventi prodotti dal governo attuale non può limitarsi a correzioni superficiali o a modifiche non sostanziali e per questo alternativo anche nella concezione stessa della politica e del ruolo del cittadino come persona e come soggetto di organizzazioni collettive.
Abbiamo conosciuto infatti in questi anni anche politiche volte a definire il cittadino come suddito o semplice consumatore; i sondaggi sostitutivi dell’esistenza di soggetti collettivi organizzati; il rapporto tra potere presidenziale e cittadino delegato esclusivamente ai mezzi di informazione: un modello di società cioè improntata alla subalternità culturale e una idea plebiscitaria della democrazia, entrambe da contrastare.
Al contrario c’è bisogno di rivitalizzare la vita pubblica, di rafforzare i legami sociali, di spingere verso la partecipazione attiva, tutte condizioni indispensabili per la qualità della democrazia cui aspiriamo, nella quale il sindacato confederale è soggetto attivo della dialettica democratica.

IL TERRORISMO E LA GUERRA
Mai come oggi il panorama internazionale è stato segnato da eventi traumatici che, letti tutti insieme, compongono il quadro degli interrogativi aperti per la comunità internazionale, la sensazione di rischio per le persone e interrogano sull’efficacia, la volontà e la possibilità delle istituzioni sopranazionali esistenti nel fronteggiarli. Dai più eclatanti, il terrorismo, la guerra in Iraq, il conflitto israelo-palestinese, la Cecenia, la strage dell’Ossezia; ai più invisibili,le guerre e i conflitti etnici di cui nessuno parla;le tante facce delle disparità tra Nord ricco e Sud povero del mondo; dai conflitti poco conosciuti per l’accesso all’acqua in molte parti del Sud del mondo, a quelli più noti per il controllo delle risorse energetiche, fino alla tragedia dell’Aids del continente dimenticato, l’Africa. Moltissimi di quegli eventi hanno come epicentro il Mediterraneo.
Ribadire oggi,come abbiamo fatto durante la guerra in Iraq e i suoi sviluppi, la necessità di tenere fede sia alla Carta dell’ONU che alla Costituzione italiana e che l’ONU entri in campo ritirando le truppe italiane e straniere, non muoveva e non muove solo dall’invocare il ripristino di una condizione decisiva, quella della legalità internazionale, ma dalla convinzione che occorre battere ciò che è più che un rischio: il ritorno indietro, dopo la fine della guerra fredda, dal sistema stesso delle Nazioni Unite cioè dalla scelta fragilissima, contraddittoria, spesso inefficace, da riformare, ma così decisiva della comunità internazionale. Quindi dalla politica, come strumento di governo. Anche per l’Iraq è valido come non mai tale indirizzo che ci fa richiedere il ritiro immediato delle truppe e l’attivazione Conferenza Internazionale di Pace – sotto l’egida dell’ONU – con l’obiettivo di assicurare il processo di democratizzazione e di indipendenza del Paese. Oggi più che mai, di fronte ai nuovi ricatti del terrorismo internazionale che minaccia ciascuno di noi perché minaccia la stessa possibilità di una nuova democrazia a livello globale intesa come processo condiviso con al centro i diritti umani, del lavoro, dell’ambiente. La guerra, la paura, lo scontro tra civiltà sono l’obiettivo del ricatto terrorista; sono anche il linguaggio di tutti i fondamentalismi, tali anche quando si nascondono dietro l’assolutezza dei valori morali dei neo?conservatori americani da esportare militarmente e il capitalismo compassionevole di Bush. Le dimensioni globali, la crescente violenza, l’indiscriminato orrore per le recenti azioni terroristiche, danno al fenomeno una configurazione inedita e pongono l’esigenza di individuare complesse e nuove misure di contrasto e di collaborazione internazionale. Non vi possono essere crisi, cause o pressioni antiche o recenti tali da motivare e, tantomeno, giustificare l’efferatezza senza più limiti di un terrorismo che mira sempre più allo sterminio indiscriminato di persone innocenti, di bambini, di donne, di civili indifesi. La cultura del dialogo e della pace, la politica, la collaborazione solidale dell’intelligence dei diversi paesi debbono essere la risposta nazionale ed europea della democrazia ai nuovi terrorismi. Una risposta, che non cancella la differenza e la dialettica tra soggetti istituzionali, partiti, forze sociali ma sceglie un terreno, una condizione di premessa a che le differenze possano liberamente esprimersi: il rifiuto del ricatto del terrore.

LA DEMOCRAZIA GLOBALE
L’enormità delle differenze tra Nord e Sud del mondo si avvia alla insostenibilità politica, mentre la sostenibilità ambientale è già al limite e di per sé richiederebbe di rivisitare il senso di uno sviluppo che espone l’umanità a crescenti rischi e problemi. Anche nei paesi economicamente avanzati crescono precarietà sociale e insicurezza, come risultato dell’impoverimento del lavoro dipendente. Siamo convinti che le nuove interdipendenze e differenze rischiano di trasformarsi in conflitti esasperati, se non in vera e propria acqua di coltura del terrorismo e guerra, se non vengono composte sulla base del riconoscimento reciproco, principio di laicità democratica.
Il sindacato italiano in primavera ha chiamato allo sciopero le lavoratrici e i lavoratori italiani, con uno slogan impegnativo “costruire il futuro” e una proposta per lo sviluppo del paese diversa e alternativa a quella che ha ispirato la politica economica e sociale del governo.
Quella proposta non avrebbe fiato se non dovesse prevalere a livello europeo e globale un’idea di sviluppo che. assuma come profilo la qualità e come limite invalicabile i diritti umani, i diritti del lavoro, la sostenibilità ambientale.
Abbiamo la percezione che quell’idea oggi non sia in campo con la nettezza che sarebbe necessaria, perché indebolita ed erosa dai totem della crescita senza limiti, peraltro smentiti dalla realtà; pensiamo che solo un’alleanza tra forze politiche progressiste, sindacato e società civile possa sostenerla.
Siamo altrettanto consapevoli che bisogna legare la costruzione della pace e il ripudio del terrorismo alla ricerca delle strade e delle politiche per costruire un nuovo ordine mondiale, una nuova democrazia globale in cui il valore del lavoro sia al centro dei valori condivisi e costitutivi. Dalla capacità di sostenere questa sfida passa la possibilità di arginare un senso comune pervasivo che, di fronte alle tante insicurezze determinate dalla globalizzazione senza regole, sceglie la rassicurante e peraltro illusoria certezza delle identità giocate contro altre identità, delle chiusure, dei nuovi nazionalismi e integralismi sostenuti dai conflitti tra le culture, degli antichi e nuovi protezionismi.

L’EUROPA
D’altra parte l’esperienza dei paesi scandinavi e del modello sociale europeo dimostra che equità, giustizia sociale, protezione sociale, diritti, rispetto dell’ambiente possono essere volano di sviluppo e al contempo suoi limiti positivi scientemente praticati; le politiche pubbliche gli strumenti necessari per realizzarli: quella cultura politica oggi segna il passo sotto i colpi della congiuntura economica. Ma se la libertà di mercato senza regole può essere efficace nel valorizzare beni individuali, è del tutto inefficace a valorizzare beni pubblici come l’ambiente, la salute, l’istruzione, la formazione e ciò dovrebbe far riflettere anche sui limiti e i criteri delle aperture al mercato di quei settori. A loro volta le politiche pubbliche per realizzarsi hanno bisogno di risorse, garantite da un livello di tassazione equo, ma non minimo, perché il giudizio sulla loro adeguatezza sta negli obiettivi che la responsabilità pubblica assume. Tutto ciò vale e a maggior ragione se si volesse affrontare, come bisogna fare urgentemente, il capitolo dell’entità delle risorse a disposizione per gli aiuti ai paesi in via di sviluppo, quello 0,7% del Pil mai attuato neppure da lontano, l’estinzione del debito dei paesi poveri, a partire dall’Africa, le risorse per la cooperazione, la Tobin Tax.
L’Europa può fare molto di più in tutti quei terreni fin qui citati, decisivi per il futuro della comunità internazionale, se sarà in grado di andare avanti nella costruzione della propria dimensione politica, valorizzando e non cancellando, come pure sta avvenendo diffusamente, le caratteristiche del proprio modello sociale.
Il giudizio che abbiamo dato sul Trattato Costituzionale, ha utilizzato una chiave di lettura netta, positiva ma non semplicistica. Abbiamo valorizzato l’aspetto più positivo, l’inclusione della Carta di Nizza, che favorisce la prospettiva dell’Europa e dell’Europa sociale e per questo un nuovo ordine mondiale. Si tratta di una scelta importante soprattutto se letta alla luce dell’attacco al modello sociale europeo aperto in molti paesi d’Europa. E’ bene però non tacere le contraddizioni del Trattato, peraltro già presenti nel testo consegnato dalla Convenzione alla CIG: l’assenza del ripudio della guerra; della cittadinanza di residenza per gli immigrati così importante per favorire quei decisivi processi di convivenza e integrazione la cui centralità è tragicamente riemersa; quella terza parte che rischia di negare le affermazioni della Carta di Nizza. D’altra parte non tacere le contraddizioni ha il senso di tenere aperta una prospettiva di miglioramento e rafforzamento, delineando i binari del percorso futuro, costruendo alleanze nella società per recuperare calo di consenso tra i cittadini e partecipazione democratica, . Il Trattato Costituzionale è dunque un passo avanti verso la costruzione dell’Europa, ma il cammino è ancora lungo.

L’ITALIA
Ma se sono pesanti le responsabilità del governo di centro-destra sul piano delle scelte internazionali, altrettanto lo sono a livello nazionale.
I tre anni di governo Berlusconi hanno peggiorato la situazione del Paese in tutti i settori: si è attivata una guerra tra le principali istituzioni, minata la laicità dello Stato, aumentato il divario tra redditi ricchi e gli altri, riaperta la forbice tra crescita del centro nord e quella del sud, accelerato il declino industriale e produttivo del Paese, dissestati i conti pubblici, realizzate contro-riforme in campo sociale e del lavoro.
A livello istituzionale è già passata in un ramo del Parlamento una riforma della Costituzione non solo pericolosa per l’unità dello Stato, ma assai poco federale, con un Senato mal composto, dai compiti che – per come sono definiti – sono destinati ad attivare un contenzioso perenne rispetto al prodotto dell’altra Camera; inoltre con un Presidente del Consiglio con poteri più ampi di quelli esistenti in qualsiasi altra repubblica presidenziale, lo scardinamento degli equilibri tra poteri e l’indebolimento del ruolo di controllo dell’opposizione.
Il tutto in un quadro di devoluzione di competenze in campi essenziali per garantire il principio di uguaglianza e senza alcuna precisa valutazione dei costi economici, da molti considerati esplosivi, di tutta l’operazione.
Non a caso la maggioranza dei costituzionalisti è contraria al disegno di legge di revisione costituzionale e anche nella maggioranza numerosi sono i critici.
La riforma della giustizia portata avanti dal Ministro Castelli vede tutta la magistratura compatta nel rigettarla in particolare per l’intenzione non sottaciuta di minare l’autonomia del potere giudiziario riportandolo sotto il controllo dell’Esecutivo. Il Paese ha così già assistito allo sciopero della magistratura di ogni ordine e grado con adesioni pressoché totali e ha già avuto il preannuncio di ulteriori giornate di astensione per il prossimo futuro.
Il regolamento del conflitto di interessi -colpevolmente non affrontato in legislature precedenti- come partorito dalla maggioranza è un testo confezionato su misura per tutelare la paradossale situazione dell’on. Berlusconi, così come la legge Gasparri è figlia del conflitto di interessi del Presidente del Consiglio e colpisce il pluralismo sull’informazione
La politica economica, come si può valutare dall’esame delle prime tre leggi finanziarie e dai cosiddetti provvedimenti dei cento giorni è stata deleteria per i conti pubblici, per i bilanci delle Regioni e degli enti locali, per la correttezza dei rapporti tra Stato e cittadini.
La politica “creativa” dell’ex ministro dell’economia ha infatti drogato il presente per lasciare in eredità un futuro pieno di problemi: condoni, sanatorie, cartolarizzazioni, contabilità creativa, hanno creato le condizioni per riattivare la dinamica del debito pubblico come è indicato dalla manovra della scorsa primavera e dalle dimensioni della finanziaria 2005.
Per inseguire la ricetta neoliberista si sono attuate politiche redistributive e approvata una legge delega in campo fiscale che hanno aumentato le distanze tra i redditi medio-bassi e quelli alti (destinate ad espandersi ulteriormente se si concretizzerà il secondo modulo), depresso il potere d’acquisto delle retribuzioni e delle pensioni non restituendo il drenaggio fiscale, spostato l’aumento della pressione fiscale sui cittadini dal livello nazionale a quello territoriale. Rendite e profitti continuano a mantenere condizioni di privilegio fiscale.
La crescita del PIL attesa non si è mai verificata, anzi la struttura produttiva del Paese, in assenza di interventi mirati, si è indebolita perdendo quote sul mercato internazionale e vedendo crescere le aree di crisi settoriale e territoriale.
Nessuna seria politica industriale è stata predisposta per fronteggiare la crisi delle poche realtà di livello internazionale, nessun efficace intervento per favorire l’aumento delle dimensioni medie del nostro sistema produttivo; nessuna iniziativa a favore della ricerca e della conoscenza, secondo l’agenda di Lisbona, è stata attuata, anzi; abbiamo invece assistito all’abbandono del metodo della programmazione negoziata per avviare distretti industriali in particolare nel Mezzogiorno. Inoltre c’è stata una politica delle infrastrutture solo annunciata, spesso sbagliata e in grave ritardo e l’assenza di interventi a favore della ricerca indispensabile per produzioni di qualità e per l’innovazione tecnologica.
Al contrario si è consolidata una politica di tagli che hanno messo in crisi il settore della ricerca universitaria e non agevolato quella privata.
La scelta di fondo a favore di un mercato senza regole (anzi con regole permissive, giudizio ricavabile dai contenuti della legge sul falso in bilancio) a fianco dell’idea di uno “stato minimo”, si è poi esercitata in modo deleterio nel campo delle politiche sociali.
La sanità pubblica, sottofinanziata, si è indebolita notevolmente con il conseguente spostamento, anche attraverso il sistema del “razionamento” delle prestazioni che impone tempi d’attesa impossibili, della domanda verso il privato, attestato dall’incremento velocissimo delle quote di spesa privata; la previdenza pubblica è sotto attacco (e in tale ambito particolarmente colpite sono le donne e i giovani) e sono stati messi in crisi i criteri equitativi mentre per quella integrativa si è voluto favorire il sistema assicurativo equiparando i fondi collettivi a quelli individuali; l’assistenza è stata lasciata senza linee di riferimento con la messa in mora della legge di riforma varata nella precedente legislatura; la politica sull’immigrazione come definita dalla legge Bossi-Fini è destinata unicamente a far ripartire il fenomeno dell’irregolarità a causa di quote irreali e senza alcuna attenzione al criterio dell’accoglienza e dell’integrazione.
Una politica scolastica, quella definita dalla legge Moratti, classista, errata e inadeguata rispetto alle esigenze della civiltà del sapere.
Una politica energetica e ambientale che ha aggravato l’inquinamento e la devastazione del territorio, la dipendenza estera, il rapporto con le popolazioni locali. Non solo, l’uso della Protezione Civile con poteri derogatori e autoritativi “ordinari” sta riducendo progressivamente la possibilità di trasparenza e partecipazione democratica (Scanzano, Acerra, Mestre….). La delega ambientale, in tale quadro contribuisce alla ulteriore deregolamentazione.
In tutti tali campi il governo è riuscito nel difficile obiettivo di attivare movimenti di protesta con una ampiezza e un concorso mai verificati nel passato.
Tutti gli operatori sanitari, il personale scolastico, i lavoratori, i pensionati hanno così cadenzato con importanti manifestazioni l’avanzare dei processi di controriforma.
Con il Libro Bianco di Maroni poi, il dlgs 368/01 sul tempo determinato, la legge 66 sugli orari, la legge 30 e i suoi decreti attuativi, la delega su salute e sicurezza, il Governo e la sua maggioranza hanno portato avanti un’opera di sistematico stravolgimento delle principali tutele individuali e collettive, comprimendo gli spazi democratici sui luoghi di lavoro, riducendo la funzione e il ruolo dei contratti nazionali e fino ad un tentativo di snaturamento del ruolo delle stesse OO.SS., anche attraverso la forzatura del ruolo degli Enti bilaterali, sostitutivi – per alcune funzioni – del ruolo delle strutture pubbliche. L’obiettivo è quello di affossare il governo e il controllo pubblico del mercato del lavoro, aumentare la precarietà e la ricattabilità della forza lavoro, non riconoscere più centralità al lavoro a tempo indeterminato, facilitare la frantumazione aziendale a scopi meramente speculativi o di riduzione dei costi, rendere inefficace l’azione di controllo e repressione delle irregolarità. La filosofia di fondo è chiara: non si riconosce più l’esistenza di un rapporto equilibrato fra lavoratore e datore, costituzionalmente definito, ma si punta a consegnare all’impresa l’intera titolarità dei diritti connessi alla prestazione lavorativa e per questo l’obiettivo di fondo è lo svuotamento della contrattazione collettiva a favore dei contratti individuali. Il modello di sviluppo che tale politica sottintende è quella di una competizione basata sulla riduzione del costo del lavoro e non sulla qualità dei processi e dei prodotti, sull’innovazione, sulla valorizzazione delle professionalità.
Tutti i processi – quelli descritti – che colpiscono il mondo del lavoro dipendente e in particolare le donne e i giovani.
A tale disastrato panorama istituzionale, economico e sociale, le forze politiche di opposizione, la società civile organizzata, il sistema delle autonomie locali, le istituzioni sotto attacco, devono corrispondere con un programma alternativo.
In particolare ci sono delle scelte di fondo che devono differenziare l’alleanza di centro-sinistra da quella di centro-destra oggi al governo. Su di esse evidenziamo i titoli a nostro avviso più significativi.

CAMBIARE E PROGETTARE NUOVE POLITICHE
La scelta della cultura della pace
Sotto tale titolo va messa la riforma e il rilancio delle istituzioni mondiali e il multipolarismo; il rafforzamento delle dimensioni regionali (Europa, Mercosud, ecc..) un programma concreto per lo sviluppo dei paesi poveri, la lotta senza quartiere al terrorismo, il rifiuto della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti (concetto da inserire anche nel Trattato Costituzionale Europeo) sia di quelli più noti (Israele-Palestina, Iraq, Cecenia) che di quelli meno conosciuti (i tantissimi conflitti etnici).
La scelta a favore di una Europa federale
Sotto questo capitolo va inserito il rafforzamento in senso sociale del Trattato Costituzionale attuale e la revisione, non certo il superamento, del Patto di stabilità e, dopo l’allargamento dell’Unione ad Est, un programma di aiuti per lo sviluppo economico, sociale e politico delle realtà più degradate del continente africano. Una nuova e diversa politica per il rilancio del Mediterraneo come mare di pace e prosperità.
La scelta di contrastare la revisione costituzionale in atto con il ricorso al referendum
Sotto tale titolo va inserita la cancellazione dei provvedimenti del campo della giustizia, una efficace legge sul conflitto di interessi e la difesa del pluralismo dell’informazione.
La scelta per lo sviluppo sostenibile
Questo titolo deve caratterizzare tutte le scelte di natura sociale, economica e ambientale, superando l’idea della crescita meramente economica misurata dal PIL. Il cosa, come, per chi produrre, con che regole e controlli, insieme a misure per favorire la transizione, rientra in questo ambito.
Il “processo di Cardiff”, la “strategia di Lisbona” e il Protocollo di Kioto per l’Unione Europea sono pilastri di un’unica strategia: uno sviluppo sostenibile che promuove ed incrementa innovazione, efficienza e competitività, assicurando una migliore qualità della vita, maggiore e migliore occupazione e una riduzione del consumo di risorse e degli impatti sull’ambiente.
Riconoscendoci nelle scelte europee, sottolineiamo come la sostenibilità dello sviluppo, in quanto rimette in discussione i sistemi di produzione e di consumo, è un obiettivo che impatta, nel bene e nel male, su piccoli e grandi interessi collettivi ed individuali, su stili di vita, su comportamenti culturali.
Un cambiamento di tale portata è un obiettivo da raggiungere attraverso un processo di transizione che richiede tempo, partecipazione, convincimento, mediazione e soprattutto politiche economiche nazionali, ed europee che attivino e sostengano efficaci programmi di innovazione nelle politiche industriali, dell’energia, dell’agricoltura, del turismo, ecc., accompagnate ineludibilmente da un forte ruolo pubblico nella programmazione democratica e nella vigilanza.
Si tratta in sintesi di agire in modo diametralmente opposto a quanto sta facendo il Governo Berlusconi, anche superando la legislazione prodotta in questi anni.
La scelta della valorizzazione del lavoro
Sotto tale titolo devono trovare posto quelle scelte indispensabili per rendere concreto un obiettivo per noi fondamentale, vale a dire che non esiste qualità dello sviluppo sconnessa dalla qualità e dal valore del lavoro.
Occorre quindi riconoscere al lavoro la sua fondamentale funzione sociale (oltre che economica), cardine principale per una cittadinanza attiva e consapevole. Occorre ridare centralità al contratto a tempo indeterminato facendo della flessibilità un’eccezione e non la regola in un mercato del lavoro non precario, competitivo e solidale. Occorre allargare l’area delle tutele e dei diritti economici e sindacali alla luce delle grandi trasformazioni avvenute, riconducendo ogni tipologia contrattuale all’area del lavoro economicamente subordinato o all’area dell’economicamente autonomo. Occorre contrastare le forme di parcellizzazione e di frantumazione dei cicli produttivi, nonché l’erosione delle tutele per la salute e la sicurezza Occorre riformare ed estendere, secondo principi universalistici, l’area degli ammortizzatori sociali finalizzandoli a garantire realmente ad ogni lavoratore il diritto ad un reddito nelle fasi di non lavoro e il diritto ad una formazione per tutto l’arco della vita. Per questo vanno cancellate tutte le norme che hanno precarizzato il rapporto di lavoro, favorito la destrutturazione e l’impoverimento dell’impresa, indebolito la contrattazione collettiva e sono necessarie nuove norme più avanzate ed innovative, coerenti fino in fondo con quanto indicato e secondo i contenuti dei progetti di legge sui quali sono state raccolte oltre 5 milioni di firme.
Occorre varare la legge sulla rappresentanza e individuare misure efficaci per l’emersione del lavoro nero ed estendere i diritti del lavoro per le aziende sotto la soglia dei 15 dipendenti.
Nuove politiche sociali
Va riconfermato nei vari settori il ruolo fondamentale del pubblico prevedendo l’intervento del privato sociale solo nell’integrazione di livelli essenziali adeguati. Attenzione particolare va posta alle esigenze delle donne lavoratrici e pensionate.
Conquistata una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali.
L’insieme degli interventi deve essere funzionale alla definizione di un sistema di reti sociali indispensabili per garantire la sicurezza delle persone anche a fronte delle esigenze di flessibilità indotte dai nuovi modi di produzione di beni e servizi.
Va data priorità assoluta, negli stanziamenti pubblici, a quelli in favore di nuove politiche formative e della ricerca.
Sanità e istruzione sono diritti universali dei cittadini da garantire indipendentemente dal censo.
Vanno ripensate tutte le politiche di liberalizzazione e privatizzazioni, definendo la proprietà pubblica di alcuni beni universali a partire dall’acqua e favorendo la gestione pubblica in forma consortile.
Va rivista la “controriforma” previdenziale.
Nuova politica industriale
Per fare politica industriale a livello di sistema nazionale occorre scegliere quali settori produttivi sviluppare, quali rafforzare con strumenti e interventi mirati, dall’incentivazione fiscale, al sostegno alla ricerca, dalla domanda pubblica alla promozione commerciale. Nella nostra situazione questa scelta richiede alcune esplicite valutazioni di fondo.
La prima: mantengono una grande importanza come fattori di crescita e di sviluppo legato anche all’innovazione settori industriali considerati a torto maturi: l’auto, i mezzi di trasporto, tutto il comparto del made in Italy, dalla moda al legno.
La seconda: scegliere la qualità oggi vuol dire sempre più orientarsi verso consumi e produzioni sostenibili, facendo di questi la leva di nuova ricerca e di nuovi investimenti.
La terza: il paese è in grandissimo ritardo sui tre terreni più innovativi della ricerca mondiale, le tecnologie ottiche, le nanotecnologie, le biotecnologie.
La quarta: i mercati liberalizzati nel trasporto, energia, telecomunicazioni, richiedono un ruolo pubblico che in molti casi è mancato, soprattutto nel definire una politica di sistema. La stessa cosa vale per il settore del credito e dei mercati finanziari dove la trasparenza è funzione di un utilizzo corretto delle scelte finalizzate a sostenere investimenti e sviluppo.
La quinta: la formazione, la scuola, l’università, la ricerca e tutto il welfare sono condizioni e fattori di sviluppo, di investimento, di crescita. Sono la cerniera – e il metro di misura – che separa la nostra situazione dagli obiettivi dell’agenda di Lisbona. Sono il confine, la soglia che ci può portare avanti o riportare indietro, nella condizione di un paese modesto, ai margini dei processi di trasformazione che segneranno il futuro.
La sesta: ogni trasferimento in meno agli enti locali corrisponde a una riduzione degli investimenti, ogni tentazione localistica delle autonomie nei campi delle grandi reti rende debole ogni politica nazionale di sistema.
Tutti i punti, quelli elencati, che presuppongono un ruolo forte dell’ambito pubblico in economia, e la scelta di una nuova capacità di programmazione e orientamento dello sviluppo.
Nuova politica redistributiva e nuova politica dei redditi
Accanto ad una diversa politica di sviluppo, occorre una diversa politica di distribuzione dei redditi, resa più urgente dalla spostamento di ricchezza che si è verificato da redditi da lavoro alla rendita.
Fisco, politiche contributive, controllo dei prezzi e delle tariffe, disponibilità-costo e qualità dei beni sociali, a partire dalla casa e a tutti i settori del welfare, politiche contrattuali e scelte in favore dei giovani e degli anziani, ne sono gli strumenti fondamentali e di sistema.
Se si vuole davvero trovare le risorse necessarie per rilanciare investimenti, consumi e sostenere la parte più debole della società, queste vanno ricercate dove sono andati in questi anni i trasferimenti di reddito: nelle ricchezze finanziarie e nei guadagni degli investimenti finanziari.
Deve essere rispettato il principio della progressività del sistema fiscale anche in campo patrimoniale, va tassato l’uso delle risorse non rinnovabili e va perseguita con efficacia la lotta all’economia sommersa. Vanno ripensate liberalizzazioni e privatizzazioni con un’attenzione specifica ai costi dei servizi per gli utenti finali. Più in generale va definita una politica di redistribuzione dei redditi a favore dei pensionati, dei lavoratori e delle fasce sociali medio basse.
Perché tali traguardi redistributivi siano raggiunti è però indispensabile una nuova politica dei redditi con l’affermazione del ruolo delle parti sociali a tutti i livelli che – attraverso il confronto e la programmazione negoziata produca progetti e definisca impegni di sviluppo in tutti i settori e i territori.
In questo quadro assume un ruolo specifico il tema della democrazia economica che va oltre la questione della partecipazione – per la quale è essenziale separare nettamente la responsabilità dell’imprenditore da quella del lavoratore – perché intende affrontare l’insieme delle tematiche dello sviluppo e dei diritti.
Una nuova politica a favore del Mezzogiorno
Il Sud ha grandi opportunità da valorizzare. Lo sviluppo del Sud può ripartire dalla promozione delle risorse esistenti: dal turismo alla cultura, dai servizi all’industria. La competitività del Mezzogiorno richiede interventi nel campo delle politiche industriali, della ricerca e dell’innovazione, del credito, dell’istruzione e della formazione; politiche da seguire con rigore e continuità. Temi sempre più decisivi se si vuole invertire l’attuale tendenza alla deindustrializzazione, al cedimento di interi comparti, storicamente strategici, dell’economia meridionale. Va invertita la tendenza alla riduzione della spesa per le infrastrutture e occorre conseguire l’obiettivo di una quota della spesa in conto capitale destinata al Mezzogiorno pari al 45%. Il sistema agevolativo nazionale va sottoposto a verifica, razionalizzandolo, per renderlo più selettivo e più efficace nel compito di spingere il sistema industriale meridionale verso iniziative innovative e che trainino i sistemi locali. Deve essere svolta, con interventi di sistema, una forte azioni di promozione per favorire la localizzazione al Sud degli investimenti produttivi, interni ed esteri, attraverso una politica razionale di attrazione e un rilancio di azioni territoriali di sviluppo locale. La programmazione negoziata deve tornare ad essere un asse strategico e vanno valorizzate, anche con una chiara definizione della missione, alcune strutture finalizzate allo sviluppo del Mezzogiorno, a partire da Sviluppo Italia. Le condizioni di sicurezza, in cui si svolgono la vita civile e l’attività economica del Mezzogiorno, devono essere migliorare e bisogna riprendere una lotta al sommerso capace di risultati concreti ed evidenti.
Al Sud, come nelle altre regioni, vanno rafforzati i controlli ed attuata una politica che condizioni le provvidenze pubbliche, di qualsiasi tipo, al pieno rispetto di comportamenti corretti sul piano legislativo, contributivo e contrattuale. Va valutato come oggi sia più stretto l’intreccio tra economia formale ed informale e stante la crescente esternalizzazione delle attività di impresa in lunghe filiere, è necessaria una strumentazione ampia e diversificata, centrata su quattro grossi capitoli: piena affermazione di una cultura della legalità; semplificazione delle normative ed efficienza della PA; potenziamento e maggiore efficacia dei servizi ispettivi; sostengo allo sviluppo locale.
Politiche ambientali ed energetiche
Occorre recuperare i guasti fatti dall’attuale governo e individuare scelte alternative. Va rilanciata la politica energetica fondata sul risparmio, le fonti rinnovabili e la ricerca. La prima grande opera pubblica deve essere il risanamento e la messa in sicurezza del territorio, e riducendo insieme la dipendenza dai combustibili fossili. Vanno quindi superate le leggi in materia approvate in questa legislatura.
Le politiche per la conoscenza
Formazione, scuola, università e ricerca rappresentano risorse fondamentali per quanto riguarda una prospettiva di sviluppo di qualità del nostro Paese e per affermare un livello di convivenza adeguato ai nuovi processi aperti con la globalizzazione. I provvedimenti legislativi emanati dal Governo, in antitesi con questa esigenza, devono essere conseguentemente ritirati.
Si rende invece necessario un intervento che punti a un piano finanziario che determini per questi comparti un rapporto % con il PIL ai livelli europei; un piano straordinario di educazione degli adulti; l’innalzamento dell’obbligo scolastico; l’incremento dei diplomati e dei laureati; un piano di investimenti per la ricerca pubblica, il superamento del precariato.
Immigrazione
La Bossi-Fini sull’immigrazione è una legge messa in mora dalla Corte Costituzionale e che ha dimostrato concretamente di non essere in grado di governare un fatto strutturale della nostra società come il fenomeno migratorio.
Occorre ripensare completamente queste politiche producendo innovazioni profonde.
In particolare: sul diritto d’asilo, superando il meccanismo restrittivo delle quote e istituendo un permesso di soggiorno per ricerca d’occupazione; col passaggio di competenze agli Enti Locali e il diritto di voto per gli immigrati residenti; con la costruzione di un circuito qualificato di centri di accoglienza-assistenza-informazione; garantendo l’accesso al mercato del lavoro ed alle protezioni sociali; affermando nella Costituzione europea il principio della cittadinanza di residenza.
Solo con queste scelte si può contrastare efficacemente il fenomeno della clandestinità e del lavoro nero e segregato degli immigrati.

OSSERVAZIONI FINALI
Come già detto in premessa abbiamo ritenuto utile intervenire nella discussione che si è aperta sul programma da costruire alternativo alla maggioranza di governo con osservazioni che sono il frutto della elaborazione della CGIL sui temi di nostro maggiore impegno.
L’abbiamo fatto perché riteniamo molto importante che quel programma si costruisca attraverso un processo di ascolto della società, trovando le forme e i modi più utili a questo fine, riconoscendo cioè concretamente rilevanza politica alla partecipazione civile.
Questo a nostro avviso è la via maestra per progettare la qualità della democrazia nazionale e globale cui aspiriamo.