Cesare Salvi (intervista su sconfitta elettorale)

“Come vuoi che mi senta? Arrabbiato, come quello a cui viene da dire ‘avevo ragione’ ma non ci prova nessuna soddisfazione”. Batte forte il palmo della mano sul suo libro, il ministro del lavoro, il diessino Cesare Salvi: “Era scritto. Eppoi ci si meraviglia…”.

La sconfitta forse era stata messa in conto, ma che la sinistra si ritrovasse nel suo complesso al minimo storico…

Sono due facce della stessa medaglia. Berlusconi ha vinto pur essendo minoranza nel paese. Perché la maggioranza degli elettori si è espressa contro il centrodestra. Se aggiungiamo a Rifondazione comunista anche l’Italia dei valori di Antonio Di Pietro, che forse ha fatto la battaglia più dura e personale contro Berlusconi, avremmo un’ampia maggioranza. Ma con questa legge elettorale e la logica maggioritaria spietata, Berlusconi è fortissimo.

Tutta colpa del sistema elettorale?

E’ del tutto evidente che in un sistema dove c’è una pluralità di partiti politici o c’è una forte capacità di aggregazione – come ha fatto Berlusconi con i metodi che gli sono propri – oppure le aggregazioni si fanno attraverso due strade: un sistema a doppio turno come c’è in Francia o un proporzionale corretto come c’è in Germania o in Spagna. Ma il problema che abbiamo di fronte è un altro, ed è tutto a sinistra: sia sul versante della divisione con Rifondazione comunista che sul versante dei Ds, che hanno perso quasi due milioni di voti rispetto alle politiche del ’96. E’ forse una novità? No. Perché era già successo alle europee del ’99 e alle regionali del 2000. Vogliamo adesso affrontarlo?

Come?

Mi sembra innegabile che per quanto riguarda il mio partito c’è un evidente problema di identità, che chiede una profonda revisione culturale, ideale e organizzativa. E’ più che un problema di strategia politica: da quel punto di vista è mancato il rapporto con Rifondazione. Ma se si inseguono il moderatismo e il liberismo… La stessa questione del supposto travaso di voti verso la Margherita di Rutelli, anch’essa è una questione di identità.

Nel voto a Rutelli non può esserci stata una sorta di semplificazione bipolarista? Non è possibile che ci siano elettori che hanno ragionato dicendo voto l’Ulivo al senato e alla camera e voto anche il partito di Rutelli?

E’ possibile. Ma anche il mio partito faceva parte dell’Ulivo. E l’effetto non è stato quello di una crescita complessiva.

Già prima delle elezioni si parlava di aggregare Verdi, Sdi e Pdci ai Ds. Possibile che ogni volta che la Quercia va in deficit si vada in cerca di un po’ spiccioli per ripianare i debiti?

Premesso il massimo rispetto nei confronti di tutte le forze citate, è evidente che bisogna evitare ogni forma di replica della Cosa 2. Ho usato non a caso tre termini: revisione culturale, ideale, organizzativa.

Culturale…

E allora… Davanti alla globalizzazione e alle nuove contraddizioni che genera nelle società avanzate, che risposta dà una sinistra moderna e di governo? Io ho cercato di farlo, da questa scrivania. Ai giovani che vanno al lavoro ci presentiamo con l’elogio della flessibilità o puntando sulle garanzie e sui diritti per trovare una nuova unificazione del mondo del lavoro? E il mercato, come si affronta? Davanti alle banche e alle assicurazioni una sinistra moderna e di governo da che parte sta? E’ il new deal, mica parliamo di nazionalizzazione dei mezzi di produzione. E la questione ambientale? Lo sviluppo sostenibile è solo un fastidioso accessorio o è un tema centrale per il futuro del pianeta? Quindi insisto: serve una profonda revisione culturale, ideale e organizzativa. Perché serve un partito radicato. Su questa base poi ti confronti. Su questa base parli con Rifondazione e spieghi a Bertinotti che non è vero che ripartiranno le lotte sociali perché ha vinto il centrodestra.

Al Lingotto di Torino, con l’elezione di Veltroni, c’è stato un tentativo di definire una dimensione ideale dei Ds, di definizione dei valori. Ma sembra che la Quercia non l’abbia mai assimilato…

La dimensione ideale è importante, a cominciare dal rapporto con la propria storia. Nella mia campagna elettorale qui a Roma ho ricevuto risposte importanti dai ceti medi, che significa che Berlusconi non sfonda. Ma sono particolarmente grato a zone di disagio sociale come Pietralata e San Basilio, perché hanno capito da che parte stavo. Quella è l’identità: da che parte stai, anche rispetto alla tua storia.

Potrebbe anche essere il riflesso identitario dei Ds: quello che vede in Massimo D’Alema l’incarnazione della tradizione. Perché poi è questo l’umore profondo che si sente in giro: affidiamoci a D’Alema.

Perché? D’Alema è d’accordo con quello che ho detto? Non so, lo saprò al congresso. Io voglio andare al congresso sulla base dei contenuti. C’è ad esempio la sinistra del partito che ha fatto una battaglia.

Al congresso, quando?

Adesso intendiamoci… Intanto concentramoci nei prossimi giorni sui ballottaggi e poi sull’opposizione. Premesso questo, ormai questa discussione è ineludibile.

Il segretario dell’Emilia Romagna, Mauro Zani, ha chiesto un nuovo progetto politico e una nuova classe dirigente per i Ds…

Diciamo così: serve una nuova classe dirigente che si formi su un nuovo progetto politico, e non più sui personalismi.

Ma ad ascoltare quello che sussurrano in via Nazionale il problema è che Veltroni vinca a Roma non tanto per fare bene quanto per stoppare il ritorno di D’Alema che potrebbe contendere la leadership ulivista a Rutelli…

Intanto ripartiamo dagli iscritti, chiediamo loro di partecipare, facciamo tessere, diciamo che è importante: io ho fiducia nella democrazia.

E il rischio di una resa dei conti?

Temo questo e temo l’opposto: l’unanimismo di facciata all’insegna del “salviamo la patria”. Insomma, c’è un punto: non è possibile, concepibile, accettabile che l’Italia sia l’unica nazione dove non c’è una forte forza socialista che faccia la sua parte fino in fondo. Per questo occorre una discussione seria, approfondita, che vada alle sezioni e faccia proposte alternative. L’avessimo fatta l’estate scorsa…

C’è un nome, un “salvatore della patria” che ricorre sempre con maggiore insistenza nelle discussioni che si fanno all’ombra della Quercia, quello del segretario generale della Cgil Sergio Cofferati…

Il suo destino e il suo impegno personale appartengono ambedue solo a lui. Certamente Cofferati ha rappresentanto in questi anni un punto di chiarezza su molte questioni.

La crisi a sinistra e del centrosinistra, comunque, viene da lontano, forse da prima di quel ’98 quando ci fu la rottura con Rifondazione che ha causato la caduta di Prodi…

Secondo me la crisi è iniziata prima: una volta esaurito il risanamento non siamo stati capiaci di darci una missione. Nel ’97, quando Bertinotti minacciò la rottura, ci fu una reazione popolare. Nel ’98 quella stessa reazione non ci fu. Seconda cosa: la sinistra va avanti insieme e va indietro insieme, questo è innegabile. Quindi, calma. E’ evidente che ci sono stati su entrambi i versanti enormi errori di valutazione politica. E allora, facciamo un ragionamento e poi si ricomincia a vedersi. E’ chiaro che nel frattempo si continua a interloquire sui temi, i contenuti, le prospettive. Non mi interessa recriminare, ma nemmeno far finta che non sia successo niente. Questo no.

Già in altre occasione Bertinotti ha invitato la sinistra moderata a “rompere la gabbia del centrosinistra”. Sembra un ostacolo insormontabile per recuperare una rapporto…

Questa è una formula politicista. La questione è un’altra: discutere dei problemi della società contemporanea e di come la sinistra deve rispondere; discutere dell’egemonia culturale neo-conservatrice, che poi io sono convinto che non sia così forte, visto che negli Stati uniti non è vero che Bush ha sfondato, ma è minoritario come Berlusconi in Italia. Significa che c’è una società che si muove da cui ripartire. Poi vedremo con chi fare alleanze su questo. Rutelli su questi temi ha avuto dignitose posizioni di centrosinistra.