Celebrazione della Resistenza durante la battaglia contro il governo Tambroni

Noi non intendiamo pronunciare qualche parola di circostanza per compiere un dovere, sia pure sacro, verso i caduti, verso gli eroi, i torturati, i massacrati, verso i migliori di noi che la loro vita immolarono per la libertà d’Italia e del popolo nostro.
 
Cade oggi il XXII anniversario del lento assassinio perpetrato dal fascismo di Antonio Gramsci; e con lui ricordiamo Giacomo Matteotti, don Minzoni, Giovanni Amendola, i fratelli Rosselli e tutti i mille e mille altri martiri della libertà.
 
Ma è un dovere per noi anche verso i giovani che devono apprendere dalla scuola, dai libri, dalle lotte, ma ancora prima da questa nostra Assemblea, che la storia della loro patria passa attraverso la Resistenza.

Il 25 aprile non è una data di parte, la Resistenza appartiene all’Italia; per questo, prima ancora che sulle piazze, per iniziativa di questa o di quest’altra associazione o di tutte le associazioni di ex combattenti unite, dev’essere celebrata nel Parlamento nazionale. Questa data segna la riconquistata unità del popolo italiano. Se essa fu la conclusione di una guerra civile, non fummo noi a volerla; ci fu allora imposta dai tedeschi e dai fascisti, e noi 1’accettammo come una dolorosa necessità per conquistare la pace, la libertà e l’indipendenza del nostro paese, per salvare cio che era ancora possibile salvare: un patrimonio ideale, morale, umano e materiale. Questo si doveva salvare e noi 1’abbiamo salvato per tutti gli italiani, anche per gli stessi fascisti.
 
Ma cio che ci spinge a parlare non è un dovere formale, noi sentiamo oggi il dovere di rinnovare un giuramento, di assumere, senza jattanza ma senza esitazione alcuna, un impegno ben preciso: non sarà permesso a nessuno di calpestare la Resistenza, di oltraggiare la Costituzione, di sfidare il paese.
 
Non è certo soltanto per il fatto che si sono compiuti quindici anni dal 25 aprile dell’insurrezione nazionale vittoriosa, che si sono ritrovati 1’altro giorno su cento e cento piazze d’Italia, fianco a fianco, proprio come quindici anni or sono, uomini di fedi e di ideologie diverse, ma uniti nell’amore per la liberta: socialisti, comunisti, uomini già del Partito d’Azione, repubblicani, socialdemocratici, assieme a liberali e a cattolici.
 
Non e un caso che l’altro ieri la grande ed operosa città di Milano, interpretando il sentimento di tutte le altre città italiane, abbia voluto ufficialmente e solennemente, autorità e popolo concordi, festeggiare e decorare i comandanti del CVL (Corpo Volontari della Libertà): Cadorna, Longo, Parri ed i due presidenti del CLN di Milano e della Lombardia, Sereni e Meda, e con loro: Mattei, Stucchi, Argenton, Marazza.
 
Le manifestazioni solenni ed unitarie di questo 25 aprile hanno un ben preciso significato, hanno inteso far sentire che, al di sopra delle diversità politiche e ideologiche, c’e qualche cosa che unisce profondamente tutti gli uomini che hanno lottato per dare all’Italia la Costituzione repubblicana, per fare dell’Italia un paese civile.
 
Di fronte ai pericoli che minacciano le istituzioni democratiche, ogni italiano che ha sofferto e lottato per la libertà, che crede nella Costituzione, ha sentito che non si poteva, che non si può restare a guardare, ma che ogni italiano può celebrare degnamente il 25 aprile soltanto operando oggi per dare al paese un governo democratico che ci permetta di ricordare senza arrossire i nostri caduti, di ricordare che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, sorta dalla Resistenza.
 
Quando l’art. 1 della nostra Costituzione afferma solennemente che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, non dice soltanto che la nostra Repubblica non è fondata sul privilegio, sui monopoli, sulla corruzione, sulle discriminazioni tra i cittadini, sui relitti del fascismo, ma afferma che tutte le istituzioni, le leggi (e, in primo luogo, il governo della Repubblica) devono essere informate ed adeguate a quei valori che si chiamano diritto del lavoro, giustizia sociale, onestà, libertà della vita democratica.
 
Non si tratta di principi astratti, ma di impegni da tutti i partiti democratici continuamente affermati. Con questi principi e con questi impegni non si concilia un governo che si regge con i voti di coloro che ancora oggi osannano al defunto e per sempre seppellito regime fascista.
 
Abbiamo udito con piacere, ieri 1’altro, celebrare il 25 aprile anche da diversi autorevoli esponenti del partito della Democrazia Cristiana, con nobili parole di esaltazione degli ideali della Resistenza. Ma occorre che a quelle parole corrispondano i fatti.
 
Una certa indifferenza, un certo scetticismo e anche il già denunciato scadimento delle nostre istituzioni sono anche il risultato di questo contrasto, ogni giorno più stridente, tra le parole e i fatti.
 
Tutti, ma specialmente i giovani, provano una ripulsa quasi fisica per le parole che ricoprono una realtà diversa da quella che esprimono, per le parole che non sono che un mezzo per distrarre 1’attenzione dai fatti, dal fondo delle cose reali.
 
La gente onesta vuole, esige che le parole corrispondano ai fatti, e lo esige da noi tutti, da tutti i partiti. E se oggi molti si irrigidiscono, si insospettiscono davanti ad ogni discorso, chiunque lo pronunci, è perché temono di essere «ingannati», e perché troppo spesso accade che le stesse parole, le stesse frasi vengano usate da tutti i partiti indistintamente, il che significa che spesso quelle parole non hanno un contenuto o esprimono cose che vengono poi offese nella pratica quotidiana.
 
La Resistenza non può essere, non è per noi una cosa viva soltanto nelle parole. Noi non possiamo degnamente celebrare il XV anniversario del 25 aprile senza levare la nostra sdegnata protesta nel Parlamento e nel paese contro certi connubi che sono un oltraggio alla Resistenza ed alla Costituzione.
 
I1 nostro grido di «Evviva le Resistenza!», «Evviva it 25 aprile!», è un evviva che deve unire tutte le forze democratiche, che deve unire tutti gli italiani, ma è un grido che dice a questo governo: andatevene.

Un cadavere ambulante (2)
 
Un cadavere ambulante e quello dell’on. Tambroni; ma anche i cadaveri possono recar danno se non sono sepolti in tempo. L’on. Tambroni rifiuta di andarsene, una parte almeno del suo partito non è decisa a licenziarlo, i liberali mandano per aria l’accordo già raggiunto, la DC ricatta i partiti e il Parlamento. Questa la situazione.
 
In questi giorni si è passati di sorpresa in sorpresa, le voci più disparate ed anche allarmistiche correvano, assieme alla cavalleria ed alle camionette della Celere tuttora scorrazzanti per le strade di Roma, che ha l’aspetto di una città presidiata, quasi in stato d’allarme.
 
C’era chi parlava di tenebrose manovre e persino di colpi di mano in gestazione, nel tentativo di instaurare un regime di tipo gaullista. Senza indulgere verso esagerati allarmismi – 1’Italia non è la Francia – non c’e alcun dubbio che la situazione creatasi nel paese permane ancora grave. Non si devono sottovalutare i tentativi delle destre, del Vaticano, dei circoli dell’imperialismo americano tesi ad impedire che il nostro paese possa avere un governo democratico orientato a rispettare ed a fare rispettare la Costituzione.
 
L’on. Saragat aveva affermato nel suo intervento alla Camera che «era urgente dare vita ad un governo di emergenza per una situazione di emergenza, una formazione governativa che rompa risolutamente col neofascismo, largamente aperta alle aspirazioni sociali delle classi lavoratrici e che sia qualificata nel suo programma e nella persona che la dovrà guidare da una profonda sensibilità democratica e sociale, un governo che significhi ritorno alla Costituzione ed una effettiva tregua politica che consenta di ricreare nel paese un clima di civile convivenza».
 
Tale impostazione venne immediatamente accettata, con grande senso di responsabilità, dai partiti di sinistra, consapevoli che la gravità dell’ora imponeva di non irrigidirsi su pregiudiziali e programmi pur legittimi di partito, per favorire una soluzione «aperta» atta a ristabilire la normalità della vita democratica.
 
Questa impostazione, accettata dalla grande maggioranza del Parlamento, non ha potuto avere l’immediato suo sbocco naturale perché Tambroni si ostina disperatamente a restare in carica, anche se il suo governo non ha la maggioranza ed è sostenuto in modo aperto soltanto dai fascisti.
 
La situazione che si e creata nelle ultime 48 ore è assurda e ridicola ma, al tempo stesso, non priva di pericoli. Quando un governo che non riscuote più la fiducia ne del Parlamento, ne del paese si rifiuta di dimettersi, sia pure col pretesto che i partiti non hanno ancora raggiunto un accordo preciso sulla nuova maggioranza, tutto c’e da aspettarsi, specialmente dopo le chiare prove che l’on. Tambroni ha già dato di dispregio della legalità democratica.
 
Una situazione di questo genere non può e non deve durare. Tutti i partiti, tutte le organizzazioni di massa, tutti i cittadini e specialmente quelli che sono alla testa degli organi tutori della legalità costituzionale devono assumere in pieno le loro responsabilità.
 
L’unità, la lotta, l’iniziativa comune di tutte le forze democratiche, dei giovani e degli anziani che si richiamano alla Resistenza e all’antifascismo sono più che mai necessarie in questo momento.
 
II governo Tambroni deve andarsene al più presto, subito. Nessuno si illuda di poter calare il sipario su ciò che è accaduto, sul sangue versato e riprendere il tran-tran quotidiano in Parlamento come se nulla fosse stato. Noi respingiamo la politica dell’arbitrio, della provocazione, dell’illegalismo e della violenza, noi respingiamo la politica di coloro che vogliono creare il disordine, ma proprio per questo le cose non possono finire cosi.
 
Il governo alleato dei fascisti, responsabile dei tragici eccidi, che non ha più la fiducia nel Parlamento, deve andarsene. Il MSI deve essere sciolto, le leggi di PS fasciste devono essere abrogate e adeguate alla nostra Costituzione democratica. Questo chiedono e vogliono, questo esigono le forze della Resistenza, le forze democratiche unite affinché il paese possa riprendere it suo ritmo normale di lavoro, di operosita, di progresso.(3)
 
 
Note:
 
1) Discorso pronunciato il 27 aprile 1960 al Senato per celebrare il XV anniversario del 25 aprile. Vedere Nel corso della battaglia contro it governo Tambroni, DC-MSI, «l’Unita», 28 aprile 1960.
Dopo la celebrazione tenuta a nome dei comunisti dal compagno P. Secchia. prese la parola il presidente del Consiglio on. Tambroni. Mantre stava per aprire bocca, il comunista Bertoli ha gridato: «Morto che parla».
Tambroni a rimasto un attimo interdetto poi ha detto: «A nome del governo mi associo alla rievocazione celebrativa del 25 aprile, auspicando. maggiori e pacifiche fortune per tutto il popolo italiano».
Una frase che suonava non omaggio, ma insulto alla Resistenza.
 
2) “Baita”, 16 luglio 1960
 
3) L’8 aprile 1960, il governo partorito con gravi difficoltà, otteneva alla Camera ed al Senato una esigua maggioranza i cui voti determinanti erano quelli del MSI. Ne era seguita una politica di repressione alle manifestazioni popolari culminata con 1’autorizzazione al MSI di tenere il suo congresso a Genova, città medaglia d’oro della Resistenza che insorse contro tale oltraggio; con 1’eccidio del 7 luglio a Reggio Emilia (dove furono uccisi dalla polizia Lauro Ferioli, Ovidio Franchi, Marino Serri, Emilio Reverberi, Afro Tondelli), con 1’eccidio dell’8 Iuglio a Palermo dove, nel corso di una manifestazione antifascista, furono uccisi Francesco Verra, Andrea Gangitano, Rosa La Barbera, Giuseppe Malleo, e con 1’eccidio di Catania dove, durante una manifestazione, fu ucciso Salvatore Novembre, veniva a crearsi una situazione sempre più insostenibile per Tambroni. Sconfessato dal suo stesso partito, il 19 luglio Pon. Tambroni fu costretto a dimettersi.