C´è un nuovo scandalo per i marines intere famiglie sterminate per vendetta

Un´accusa infamante pende sui soldati americani in Iraq: quella di avere ucciso per vendetta ventisei civili iracheni, comprese donne, bambini e un neonato di soli pochi mesi. Due episodi – uno avvenuto mercoledì scorso, l´altro il 19 novembre 2005 – che qualora provati aprirebbero un nuovo devastante scandalo per il Pentagono, una piccola My Lai (il villaggio vietnamita dove vennero massacrati a sangue freddo centinaia di civili) irachena.
Ad accusare i militari Usa questa volta è la stessa polizia irachena. Il 15 marzo nel piccolo villaggio di Abu Sifa (distretto di Ishaqi), cento chilometri a nord di Bagdad, «le forze americane hanno fatto ingresso nella casa di Faiz Harat Khalaf ad Abu Sifa. Hanno radunato tutti i membri della famiglia in una stanza assassinando undici persone, due uomini, quattro donne e cinque bambini tra cui un piccolo di sei mesi. Poi hanno fatto esplodere la casa, hanno bruciato tre veicoli e ucciso gli animali domestici. Il rapporto della polizia non sembra lasciare dubbi anche ma contraddice in modo evidente la versione ufficiale dell´esercito Usa che giovedì scorso aveva definito quanto successo «un´azione militare durante la quale i soldati Usa sono stati fatti oggetto di fuoco nemico, hanno ucciso quattro nemici e arrestato un uomo sospettato di fare parte di Al Qaeda».
«Faremo un´inchiesta approfondita, le due versioni sono troppo differenti», ha dichiarato ieri il portavoce dell´esercito Barry Johnson rifiutandosi di scendere nei dettagli; «si tratta di un chiaro e gravissimo crimine», ha replicato il capo della polizia locale colonnello Faruq Hussein rivelando come l´autopsia abbia provato «che tutte le vittime sono state assassinate con un colpo alla nuca, tutti avevano le mani legate dietro la schiena». Un particolare, quest´ultimo, che è stato però negato dal maggiore Tim Keefe, un portavoce dell´esercito Usa a Bagdad: «Ho visto le foto dell´autopsia e non mi sembra proprio che fossero legati».
Il secondo episodio – su cui, ha rivelato la settimana scorsa l´Associated Press, è stata aperta una inchiesta già da gennaio – riguarda invece uno scontro armato avvenuto il 19 novembre del 2005 a Haditha. Quel giorno dodici marines fecero irruzione in due case dopo che un loro compagno era morto a causa di una bomba piazzata lungo la strada che porta alla cittadina dell´Iraq nord – occidentale. Dopo avere circondato due case i marines sfondarono le porte, e uccisero tutti quelli che si trovavano all´interno: quindici persone di due diverse famiglie, comprese sette donne e una bambina di soli tre anni.
Allora i militari Usa diedero la colpa agli “insurgents”, sostenendo che le milizie ribelli avevano usato i quindici civili come “scudi umani” e che erano dunque morti innocenti, ma casualmente, durante uno scontro armato «tra marines e terroristi». Nei giorni successivi su alcuni blog erano circolati dubbi sulla versione ufficiale, dubbi ripresi dal settimanale Time a inizio gennaio. Domenica scorsa lo stesso “magazine” aveva messo online una «inchiesta esclusiva» sull´accaduto; con numerose testimonianze, suffragate da un videotape ottenuto due mesi fa da uno studente di giornalismo di Haditha, Time smontava la versione ufficiale del comando Usa.
L´indagine degli uomini del Naval Criminal Investigative Service (Ncis) – le cui gesta sono immortalate da un serial televisivo di grande successo – che hanno inviato un team di specialisti a Bagdad deve stabilire se si è trattato di «legittima difesa, di un incidente, oppure di una vendetta a sangue freddo».
In questo ultimo caso si tratterebbe di un crimine gravissimo per le leggi militari Usa. «Prendiamo le accuse molto sul serio», dicono al Ncis, aggiungendo che ci vorrà del tempo per appurare la verità e confermando che saranno riesumati i corpi delle vittime per determinare con precisione le modalità con cui uomini, donne e bambini sono stati uccisi. Secondo la Nbc una militare interrogato avrebbe confidato agli uomini del Ncis che un ufficiale diede l´ordine ai marines di sparare indiscriminatamente contro i civili.