«C’è chi vuole la moratoria contrattuale»

L’accordo che avvia il rinnovo dei contratti per tutti i comparti del pubblico impiego non è piaciuto a Confindustria e ai suoi media. Ne parliamo con Carlo Podda, segretario generale della Fp-Cgil.

Quali i punti forti di questo accordo?

Gli stessi che mi avevano convinto a novembre. Abbiamo semplicemente ripristinato il principio che ci volevano risorse sufficienti per rinnovare il contratto 2006-2007. Sia pure con la formula che riconosce, per il 2006, esclusivamente lo stanziamento previsto dalla finanziaria di Berlusconi e, per il 2007, quello che porta a 101 euro l’incremento a partire da gennaio ma che verrà pagato da gennaio 2008.

Sulla «vacanza contrattuale»: non c’erano margini per un ripensamento?

Quello che è sempre stato – ed è – in discussione è se nel settore pubblico fosse lecita o no una «moratoria contrattuale», per il biennio in corso o per il 2008-2009. Abbiamo già un sovraccarico di 3,5 miliardi sulla prossima finanziaria, ma quando la si discuterà dovremo chiedere al governo di destinare le risorse per rinnovare il biennio successivo. Dopo cinque anni vorremmo riuscire a discutere un rinnovo contrattuale prima che questo scada. Il ritardo era una prerogativa del settore pubblico, ma negli ultimi anni si è generalizzata questa prassi insopportabile per i lavoratori, che si vedono attribuire in ritardo risorse peraltro spesso insufficienti a recuperare l’inflazione. Ripeto: il rischio vero era ed è la moratoria contrattuale.

Molti giornali titolano «premio ai fannulloni», o «soldi per bloccare la riforma»…

E’ una cosa strana: tutto sommato, rinnovare i contratti è un diritto dei lavoratori. Quando furono aboliti gli «automatismi», si disse che i contratti avrebbero provveduto a difendere le retribuzioni dall’inflazione. Questo funziona finché fare i contratti è un fatto fisiologico. Negli ultimi anni abbiamo visto il tentativo di negare il diritto al contratto. Da questo punto di vista, il governo attuale non presenta alcuna discontinuità con quello precedente. O perlomeno, ci sono molte contraddizioni al suo interno; molti pensano che il pubblico impiego andrebbe semplicemente ridotto. E’ ovvio che se i servizi pubblici diventano mercato, sono anche molto appetibili. Solo la sanità vale 100 miliardi.

Mentre il salario italiano è precipitato in fondo alla classifica europea…

C’è un’altra favola metropolitcana secondo cui i salari pubblici sarebbero di chissà quale livello. «Modello 730» alla mano, oltre l’84% guadagna meno di 27.000 euro lordi l’anno; il 50% è sotto la soglia dei 25.000. I famosi mille-milleduecento euro al mese. Un professore di liceo, al massimo della carriera, sta sui 1.400. Forse sono le retribuzioni in altri settori ad essere state «depresse» oltre ogni limite.

Non temete che all’Aran si tenterà di legare questi aumenti a incrementi di produttività?

Temo di più la divisione tra lavoratori, che gli operai delle fabbriche credano a queste leggende. La storia dei «fannulloni» mi preoccupa perché favorisce una campagna d’odio tra lavoratori. E poi: come si fa a chiedere una «maggiore produttività» su un periodo pregresso? Se introduciamo sistemi oggettivi per rilevare l’effettivo funzionamento dei servizi, verrà fuori di chi sono le responsabilità. Nel privato, Marchionne è un somaro oppure un drago. Nel pubblico, se le cose non funzionano, è colpa dei lavoratori. E’ insopportabile l’idea che per avere più «produttività» bisogna introdurre la licenziabilità o assegnare al dirigente di turno un certa somma di denaro da infilare nelle buste paga in base a un giudizio individuale. La tragedia vera è che ogni dirigente è nominato nella catena di comando direttamente dal politico che governa…

Poi, con lo spoil system…

… si è allargata a dismisura. A questo tentativo ci opporremo frontalmente. Viceversa, se vogliamo parlare di premiare chi sta a diretto contatto col pubblico, o cose simili, si può farlo; perché sono cose che vanno a vantaggio dei lavoratori.

Ma chi è che giudica se un servizio è ben fatto oppure no?

E’ il grande tema della democratizzazione dei servizi pubblici. Noi non vogliamo tornare ai vecchi carrozzoni clientelari, ma che ci sia un sistema pubblico efficiente e democratizzato. Ossia in cui i cittadini esercitano il diritto di penetrare in questa zona opaca e verificare organizzazione e modo di spendere i fondi.

Per l’avvio delle trattative, mi sembra di capire che restate in «marcatura stretta»…

E’ accaduto più volte che per passare dall’accordo al negoziato ci sia voluto qualche sciopero e qualche mese. Spero che ci troviamo in condizioni diverse. Ma ormai siamo vaccinati e vogliamo vedere se il negoziato si apre davvero.