Catania, anche il call center vota autonomista

Sono almeno trenta i call center che hanno sede a Catania, secondo l’ultimo censimento Infocamere. Come altre «reti» siciliane, dalla sanità al sistema cooperativo, anche questi servizi si offrono, attraverso l’alto turn-over e la forte ricattabilità sociale, come base di radicamento del clientelismo: lo testimonia il sistematico successo delle liste del Movimento per l’Autonomia, i cui esponenti figurano, direttamente o indirettamente, collegati alla creazione dei call center e alla relativa gestione del mercato del lavoro.
Facciamo alcuni nomi: Carmelo Leanza, fratello del più celebre onorevole Lino Leanza, figura di spicco del movimento autonomista, non è forse lo stesso personaggio che, mentre come capo del personale della Mibi licenziava 34 dipendenti, a qualche centinaio di metri fondava, nel febbraio di quest’anno, una cooperativa dal nome suggestivo, la «Incoming», in cui venivano reclutati 200 nuovi contrattisti a progetto dopo aver partecipato a una megaselezione avviata alla vigilia delle elezioni nazionali del 9 aprile? A gestire le selezioni è una società, la Infor Group, di proprietà di Sergio De Pasquale, già responsabile della multinazionale olandese Select (oggi Vedior), che controlla la stessa Mibi. Tutto questo mentre un’altra cooperativa, che gestisce il call center Progetto Lavoro, la cui presidente del cda è Denise De Pasquale, figlia di Sergio, riversa il proprio personale in Incoming. A negare questi legami, rimane soltanto Carmelo Leanza, mentre evita imbarazzato le telecamere delle Iene. A confermare i collegamenti, le visure camerali, che fanno emergere Elisabetta Cerrai negli organi direttivi di tutte le società citate, imprese capaci di intercettare incentivi e risorse pubbliche per conservare il personale giusto fino al loro esaurimento: il 2 luglio, infatti, scadono i benefici della Legge 407, e il 2 luglio ai lavoratori della Mibi verrà dato il benservito.
Ma non tutti si dilettano col Sudoku societario. C’è infatti chi, come il management della Cos di Alberto Tripi, si limita a dettare legge stabilendo arbitrariamente i livelli retributivi, le scadenze contrattuali, la gestione del turn-over. Eppure, alla Cos di Misterbianco non è che avrebbero di che lamentarsi, se è vero, come si afferma nel bollettino del Gruppo, che il sito catanese è tra i più produttivi d’Italia. Almeno un decimo del fatturato complessivo della Cos (250 milioni di euro nel 2005) è prodotto dai 750 lavoratori a progetto di Misterbianco cui vengono corrisposte retribuzioni medie che oscillano tra i 250 e i 300 euro al mese e che costano nel loro complesso all’azienda poco meno di 2,5 milioni l’anno. In altre parole, il 90% del fatturato del sito catanese si traduce in profitti, a fronte di un modesto 10% che viene destinato al costo del lavoro o, come amano dire alla Cos, alle «fasce di disponibilità» gentilmente elargite agli operatori.
I 3500 operatori che tirano avanti il baraccone dei call center a Catania, rappresentano, accanto alla microelettronica e alla grande distribuzione, uno dei settori «di punta» del privato. Ma denunciare la loro precarietà non sembra sufficiente, considerato che i signori dei call center mostrano per la propria immagine lo stesso rispetto che hanno per i lavoratori: nullo. Certo, alla Wind, alla Telecom, a Sky qualcosa della propria immagine dovrebbe ancora importare. Ma loro, i committenti, sono «un’altra cosa» e non sono tenuti a conoscere pratiche e abusi di chi opera per loro conto. Noi abbiamo ribadito tutto questo durante il primo corteo provinciale dei lavoratori dei call center, venerdì 16, con oltre mille persone in piazza. Il Prefetto si è impegnato a istituire un Osservatorio provinciale. Speriamo finalmente di venire ascoltati: che la nostra conversazione valga più di 42 centesimi lordi al minuto, tasse incluse.

*Direttivo Cgil Sicilia -**Nidil Catania