Caro Paolo, perché sei contrario all’unità dei comunisti?

Caro compagno Ferrero, credo sia tempo di porti una domanda:

perché respingi la proposta, avanzata dal Pdci – ma ormai fatta propria da tanta parte dei quadri e della base del Prc, dalla diaspora e dall’elettorato comunista – di unire i due piccoli partiti comunisti italiani?

Non è una domanda retorica, un artifizio: è tutta quell’area, ormai vastissima ( anche esterna ai due partiti comunisti , che chiede l’unità, che non sopporta più di vedere i comunisti dissanguarsi, dividersi ) a portela. E’ una domanda vera: vorrebbero tutti conoscere i motivi di fondo (politici, teorici, tattici, strategici, quelli che siano) che ti spingono a dire no.

Ti pongo la questione in questi termini poiché mai, in verità, né tu come segretario né il gruppo dirigente del Prc avete mai formulato una risposta chiara a proposito, che motivasse seriamente il no. E credo che questo rimuovere il problema sia anche irrispettoso, sia per chi la proposta l’ha avanzata che per quell’ormai vasto senso comune comunista che l’unità la vuole ed è già pronto a praticarla. Nel senso che se motivi profondi per il no ci sono è giusto che la nostra base li conosca e possa autonomamente riflettere.

Va ricordato che nessuno – tra tutti coloro che propongono l’unità dei comunisti – pensa a fusioni a freddo, a pure sommatorie di gruppi dirigenti, a improvvisate scorciatoie unitarie. Pensano tutti ad un processo unitario (dai tempi tuttavia politici e non storici); si pensa ad una riflessione ed una ridefinizione politico teorica comune, come base avanzata dell’unità. Nell’appello per l’unità dei comunisti del 17 aprile 2008, nel documento dell’ultimo Congresso nazionale del Pdci, nello stesso documento de “l’Ernesto” al nostro ultimo Cpn, si parla chiaramente di un progetto di unità che si basi sull’autocritica per gli errori fatti da Prc e Pdci e che tale l’unità avvenga sia attraverso il terreno di un nuovo conflitto sociale comunemente vissuto che attraverso la ridefinizione comune di una piattaforma politica e teorica avanzata e adatta alla fase. E’ così che si concepisce il processo unitario e perché – dunque – un comunista non dovrebbe esserne interessato? E’ di buon senso, è facile capirlo, viverlo, organizzarlo. L’unità dei comunisti in un unico partito di lotta e cardine autonomo dell’unità della sinistra anticapitalista – oggi la Federazione – susciterebbe una nuova passione, sia tra i militanti uniti che nei compagni oggi senza partito.

Perché, dunque, questo no ostinato?

Sai benissimo – la dura realtà italiana è sotto i nostri occhi – che siamo di fronte ad un regime reazionario di massa, che per i lavoratori, i precari, le donne, gli immigrati è durissima, che la sinistra è in grande difficoltà, che una primavera politica è lontana, che per i comunisti vi è persino il pericolo di estinzione. E’ anche da questo punto di vista – ad esempio – che la proposta di giungere ad un unico partito comunista e ad un obiettivo comune di 100 mila iscritti ( con sedi uniche, un unico giornale, commissioni di lavoro uniche, cose importanti anche alla luce delle nostre difficoltà economiche) appare di assoluto buon senso e, dunque, molto sentita e voluta da un numero sempre più alto di compagne e compagni.

Perché no, allora? Non trovi giusto che i nostri compagni – dopo tutto questo tempo – ne conoscano finalmente i motivi?

Posso aiutarti? A me sembra che la parte del nostro gruppo dirigente contrario all’unità ragioni più o meno così: “il Prc ha avviato profonde innovazioni, politiche e teoriche, e il Pdci non lo ha fatto”. Prendiamo sul serio questa argomentazione: quali sono queste nostre innovazioni? E’ stata un’innovazione la cancellazione, da parte nostra, della categoria dell’imperialismo? E’stata un’innovazione seria la scelta bertinottiana di affidare completamente il ruolo di “intellettuale collettivo” ( centrale nel pensiero gramsciano) allo spontaneismo dei movimenti ? E’ stata un’ innovazione positiva aver affermato ( Bertinotti e Gianni) che “ i dirigenti e gli intellettuali comunisti del ‘900 sono tutti morti e non solo fisicamente”? E’ stata mai delineata un’analisi profonda, critica ma non liquidatoria, della storia del movimento comunista, o una lettura seria delle nuove contraddizioni di classe in Italia, dei nuovi processi produttivi? No, mai. E’ stata innovativa la leadership – monarchica e mediatica – di Bertinotti e del suo gruppo dirigente sull’intero Partito? Ha prodotto – essa – una forma partito nuova, democratica, unitaria? Noi possiamo dire che il rapporto forte con i movimenti è stato certamente innovativo: ma perché dovremmo pensare che questa lezione non possa essere assunta dagli altri compagni?

Insomma, se il gruppo dirigente del Prc crede di aver risolto il problema della rifondazione comunista ed essere in possesso delle nuove Tesi di Lione e in ragione di ciò non possa unirsi con i comunisti trinariciuti del PdCI, credo che saremmo nella falsa coscienza, nel senso che se c’è qualcosa di concretamente verificabile è che – al posto della rifondazione – il bertinottismo ci ha portati ad un passo dalla liquidazione comunista.

Se la questione che si vuol porre, invece, è quella dell’inclinazione istituzionalista del PdCI è chiaro che – dopo il nostro Congresso di Venezia, il governo Prodi e le nostre cento esperienze subordinate negli Enti Locali – dovremmo più onestamente dire che il problema ( da superare) di tale inclinazione è ormai dell’intero – e piccolo, diviso – movimento comunista italiano.

La questione è ancora quella della scissione del 98 ? D’accordo, per molti è ancora dolorosa. Tuttavia, dopo undici anni e con un regime di destra che toglie il respiro alla “classe” e al Paese non sarebbe meglio andare a vedere le carte, appurare cioè se la proposta unitaria è sincera, fattibile, se lo stesso progetto unitario – di fronte al dolore sociale dilagante – non sia più importante degli attriti passati ?

C’è una tua argomentazione – Paolo – che ha fatto capolino negli ultimi tempi : l’unità tra comunisti non sarebbe praticabile perché – essendo unità tra diversi – porterebbe a nuove scissioni.

La trovo un’argomentazione debole, dai caratteri speciosi e anche un po’ paradossale, nel senso che – seguendone il filo – per non rischiare una eventuale scissione domani si ratifica una profonda scissione oggi. In essa non si considerano alcune questioni; primo, il Pdci non è una cristallizzazione salina, ma è un’organizzazione fatta da donne e uomini in carne ed ossa, da compagne/i esposti anch’essi al mutare del tempo sociale e politico, e oggi noi non siamo più di fronte al primo Pdci cossuttiano, ma ad una formazione in evoluzione e dalla forte pulsione unitaria, che occorre conoscere e non rimuovere pregiudizialmente; secondo, la tesi delle diversità non unificabili varrebbe – allora – anche all’interno del Prc, ove permangono diversità profonde tra varie tendenze comuniste. In verità, ciò di cui non si vuole prendere atto è che, essendo fallito il progetto di rifondazione comunista – come base primaria di un superamento e di un’unità condivisa e non burocratica delle varie “scuole” comuniste – ciò che ora occorre è ripartire dallo spirito originario che ci unì tutti dopo la Bolognina: una consapevole unità tra diversi avente lo scopo di giungere ad una sintesi alta delle differenze attraverso la pratica del conflitto condiviso e una ricerca politico e teorica antidogmatica, aperta, profonda – anche temporalmente lunga, ma seria – e volta alla costruzione di un partito comunista dotato di una prassi e di un pensiero della rivoluzione in occidente ( che nessuno, oggi, detiene).

Non trovi più razionale, compagno Ferrero, persino più appassionante, tentare di ricostruire, attraverso l’unità e attraverso le dure lezioni della storia che tutti abbiamo subito quel processo unitario che tanto ci appassionò dopo la Bolognina? Siamo convinti che questa strada è possibile: i militanti e i dirigenti Prc e Pdci e tanti compagni/e oggi senza partito sono in quest’ordine di idee e attendono fiduciosi.

*Direzione Nazionale Prc